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Conclave. Il mondo in attesa
Nel primo caso, se i due terzi dei presenti convergeranno sulla stessa persona con 77 voti, dal comignolo della Cappella si sprigionerà la «fumata bianca» che annuncerà al mondo l’Habemus Papam e allieterà di nuovo i cuori. «Fumata nera» in caso contrario. E allora bisogna ricominciare: con la preghiera e il confronto. Il Collegio cardinalizio, quasi per intero (elettori e non elettori over ottanta) ha avviato le Congregazioni generali a ritmo serrato per approfondire i reciproci punti di vista, analizzare i problemi della Chiesa in quest’epoca di globalizzazione, conoscere i suoi mali e le sue difficoltà, prospettare rimedi per purificarla, per rinvigorire la fede. Ha convocato le Porpore da quattro angoli della terra il cardinale decano, Angelo Sodano. Sono a Roma, ospiti nelle case pontificie, nei seminari, nei conventi, da lunedì 4 marzo. Si parlano e pregano. Entro sette giorni, lunedì 11, potrebbe aprirsi il Conclave, questa singolare Camera elettorale. Il nuovo Papa potrebbe affacciarsi dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro la domenica successiva, o in quella delle Palme se i tempi, nella fase delle Congregazioni e in quella successiva del voto, dovessero essere posticipati, come è in facoltà dei cardinali, secondo le norme più recenti. L’interesse è enorme. E’ universale. E non è curiosità. Capi di Stato e di governo, semplici cittadini, cattolici e non, guardano a Roma. Vi guardano cristiani e atei, africani e cinesi, americani e australiani. Il mondo in attesa di un leader al di sopra delle parti, rivestito di autorità, che proclama la pace e la convivenza, la dignità della persona umana e la solidarietà. La potente Chiesa ortodossa russa ha formulato i suoi auspici e forse Papa e Patriarca di Mosca finalmente si incontreranno. La collegialità nella Chiesa cattolica avrà un peso reale. Anche la Cina, con le sue due chiese, una romana e una governativa, guarda a Roma e qui c’è il cardinale elettore Tong Hon John. I porporati entrano nell’Aula del Sinodo, passando dalla Sala Nervi, seguiti e accerchiati da fedeli, turisti, curiosi e da diecine di giornalisti venuti da tutto il mondo con registratori, macchine fotografiche, telecamere. Arrivano insieme il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola (dato per papabile) insieme al suo predecessore, l’emerito Dionigi Tettamanzi, non conclavista, ma quasi un “consigliori”. L’arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, è in compagnia di Camillo Ruini, già numeri uno e due della Cei sotto papa Giovanni Paolo II. E chi può escludere che il fine politico Ruini non eserciti la sua influenza? E quella dell’anziano Giovanni Battista Re, e dello stesso decano Angelo Sodano, che dirige le operazioni nella fase preliminare e depone i poteri davanti alla Sistina? E così il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana e vice di quella europea, egli stesso nella rosa dei papabili, con i tanti, dal Nord e Sud America, da New York, Argentina, Brasile, dall’Africa e dalle Filippine, senza escludere il resto dell’Europa, specie dell’Est, dall’Austria all’Ungheria. Ed eccoli qui i 22 italiani, i 33 europei, ai quali si aggiungono i 50 dell’altra parte del mondo (35 americani, 11 asiatici, 11 africani) per comporre il «plenum» di 115 votanti. Se non ci saranno altre assenze nelle ultime ore, per eleggere il Papa serviranno 77 voti. Per ora, dagli originali centodiciassette due soli elettori hanno rinunciato: uno perché malato, l’altro è lo scozzese O’ Brien, che si è dimesso e ha presentato le sue pubbliche scuse per le manchevolezze in ordine al dramma e allo scandalo della pedofilia, che ha investito anche il cardinale californiano Roger Michael Mahony, di cui si chiedeva il ritiro, ma lui ha chiesto scusa e non ha ritenuto di doversi ritirare. Una delle piaghe della Chiesa, questa della pedofilia del clero, insieme ai dissidi, al carrierismo che si è manifestato nella Curia, alle dicerie sulla conduzione dello Ior, l’Istituto per le opere di religione, ossia la banca vaticana. Di tutto questo si stano occupando i cardinali arrivati in San Pietro a gruppetti, o gli statunitensi in pulmino, o alla spicciolata, alcuni in macchina, in taxi, o a piedi. I Pastori delle diocesi si confrontano con i cardinali di Curia. Incontri fraterni e cordiali che autorizzano a pensare che personaggi autorevoli avranno una certa influenza nell’indirizzare il voto. Tra i maggiori leader si possono annoverare il camerlengo Tarcisio Bertone, elettore e papabile con i suoi 78 anni, e il decano Angelo Sodano, attivo e dinamico, ma al di là con gli anni. Ai preliminari, sono già presenti 142 cardinali sui 207 che indossano la porpora. Ma dal corpo elettorale ne mancano solo 13. Sono a Roma già 103, sul plenum di 115. Qualcuno è sul filo di lana degli ottant’anni. Ad esempio, il cardinale Severino Poletto, arcivescovo emerito di Torino, che li compie il 18 del mese. O Raffaele Farina, che li compie a settembre. Tra i non italiani, il compleanno del cardinale Walter Kasper è contestuale alla seconda congregazione. Mentre attraversano piazza San Pietro, non si sottraggono a qualche domanda volante. Non si lasciano impressionare. Rispondono che non ha importanza né la nazionalità, né l’età del candidato, ma che sia uomo di fede. Studiano la procedura, giurano di rispettarla, decidono di inviare un messaggio al Papa emerito, Benedetto XVI, in ritiro a Castel Gandolfo. Atto doveroso, fraterno e umano. In attesa che il card. Sodano presieda la messa «Pro eligendo Pontifice», e i cardinali, tutti insieme, decidano di rinchiudersi nel Conclave. Al momento dell’ingresso nella Cappella Sistina, sarà impartito l'«extra omnes» («fuori tutti») dal Maestro delle celebrazioni liturgiche. La maggioranza richiesta, come detto, è di due terzi, ma dopo la 33ma o 34ma votazione si passerà direttamente, e obbligatoriamente, al ballottaggio fra i due cardinali che avranno ricevuto il maggior numero di voti nell'ultimo scrutinio. Anche in questo caso sarà sempre necessaria una maggioranza dei due terzi. I due cardinali rimasti in lizza, inoltre, non potranno partecipare attivamente al voto. Se per un candidato i voti raggiungono i due terzi dei votanti, l'elezione del Pontefice è canonicamente valida. All’eletto si chiederà se accetta l’elezione e quale nome vuole assumere. Quindi si ritira per indossare i paramenti papali. La sartoria Gammarelli, al Pantheon, ha già esposto tre modelli di differenti taglie, piccola, media e grande. Sono abiti in lana bianca, con la fascia, la mozzetta e la mantellina. Ci sono anche le famose scarpe rosse, che alcuni ritenevano fossero un vezzo di papa Ratzinger, anziché un’imposizione rituale. Certo, i problemi della riorganizzazione della Curia romana incideranno sulla scelta del Papa. Potrebbero avere un peso nella scelta di un papabile che abbia anche senso pratico, oltre che oculatezza pastorale. Doti che si possono riscontrare in molti. E poiché non è possibile sottrarsi ai pronostici (li ha fatti perfino la cattolica «TV 2000», sui cui schermi è apparso, come tutti i direttori delle altre reti, anche Dino Boffo, in passato vittima del «Vatileaks») vengono ritenuti «papabili» due membri del consiglio di sorveglianza dello Ior, il brasiliano Peter Scherer e l'indiano Telesphore Placidus Toppo. Non è neanche esclusa l’ipotesi di un «papato di transizione o a termine», che ripeta l’atto dimissionario di Benedetto XVI. I cardinali ne parlano. Altro porporato su cui si appunta l’interesse è l'arcivescovo di Buenos Aires, il settantaseienne gesuita Jorge Mario Bergoglio, di origini torinesi, arcivescovo della capitale argentina, già votato nel 2005, pastore di una Chiesa che «va nelle strade, nelle piazze, nelle stazioni per evangelizzare e amministrare i sacramenti». Un cardinale che non vuole una Chiesa «ammalata di autoreferenzialità» e dove «il peccato maggiore è l’atteggiamento della mondanità spirituale». Sarebbe importante per l’America latina, grande bacino della fede, come tutto il mondo ispanico. A lui potrebbero guardare porporati che sono stati nunzi apostolici in quei Paesi, come il presidente del Governatorato Giuseppe Bertello e il prefetto della Congregazione delle Chiese orientali Leonardo Sandri, o grandi emeriti come Giovanni Battista Re. Uno dei nomi che viene fatto con maggiore frequenza, come detto, è quello dell'arcivescovo di San Paolo del Brasile, Odilo Pedro Scherer, 63 anni, dal 1994 al 2001 della Congregazione dei vescovi. Altro candidato dell'area geografica latinoamericana è l'arcivescovo di Guadalajara, il messicano José Francisco Robles Ortega, 64 anni. Restano al proscenio nomi indicati fin dall’inizio, come il canadese Marc Ouellet, che ha abitato per molti anni in Sudamerica, l'arcivescovo di Milano Angelo Scola, 71 anni, e quello di Budapest, Peter Erdö, 60 anni. Ma rimane sempre valido l’antico adagio, frutto di saggezza e di fiducia cristiana, che «nel Conclave chi entra Papa esce cardinale». Sarà così anche questa volta? Antonio SASSONE
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