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Sinodo coraggioso e sette nuovi santiUna squaw, una figlia degli indiani pellerossa, della tribù degli Irochesi, è santa. La prima di quel popolo. E’ Kateri Tekakwitha, che volle restare vergine e tale morì a soli 24 anni, martire per la fede. E santo è un giovane filippino, catechista, Pedro Calungsod, che morì martire a fianco dei missionari nella sua terra dove annunciava il Vangelo. Sono santi della Chiesa cattolica, figurano nel calendario, modelli a cui rivolgere preghiere e a cui ispirarsi. E c’è Anna Schaffer, una giovane tedesca, che si ustiona al lavoro, vive in un letto in povertà e verginità attirando attorno a sé la gente che le chiede consigli e che a sua volta cerca conforto. Sono tre dei sette santi che il Papa ha proclamato nella Giornata missionaria, in una piazza San Pietro gremita come non mai (come ha notato lo stesso Papa) da 80 mila fedeli dei cinque continenti. Un tocco speciale i costumi degli Indiani di Nord America e Canada, rispettivamente i paesi dove nacque e si trasferì per preservare la fede «Lili (il Giglio) dei Mohawks» (di cui parliamo ampiamente a pagina 11). Pure i Filippini sono in massa a Roma. A Manila hanno festeggiato san Pedro Calungsod. I giovani hanno promosso un’anteprima della Giornata mondiale della gioventù per partecipare nel suo nome alla prossima edizione brasiliana. E poi il francese Jacques Berthieu, missionario in Madagascar dove era considerato dai nativi “padre e madre”, ucciso nel 1896. E ancora: il sacerdote bresciano Giovanni Maria Piamarta, fondatore di due ordini religiosi, dell’istituto degli Artigianelli e dell’editrice Queriniana, la spagnola Maria del Carmelo Sallés y Barangueras, che fondò scuole per educare i giovani, Marianne Cope che allestì due lebbrosari, curò i malati e morì accanto a loro. Tutti «veri modelli di questa volontà di annuncio del Vangelo», li ha definiti il Papa. «Diversi per origine, lingua, nazione e condizione sociale», santi per amore del Vangelo. La folla in Piazza San Pietro, davanti al Papa, attorno ai cardinali vestiti di porpora, ai vescovi in rosso, ai patriarchi, a fianco di diecine di sacerdoti in cotta bianca che si diramano a raggiera per distribuire la comunione. E a fianco uomini di governo, politici, diplomatici in rappresentanza di Paesi e popoli, dall’Africa all’Asia, dall’Oceania all’America del Sud e del Nord, all’Europa: una festa che si è riverberata dappertutto e che a Roma ha coinvolto ambasciate, consolati, comunità. «Felice coincidenza», dice ancora il Papa. E sintesi felice col Decalogo del nuovo evangelizzatore in un Sinodo in dirittura d’arrivo. Nei dibattiti sono emersi accenti di autocritica, una sorta di esame di coscienza, la confessione dei peccati (nella Chiesa ci sono, disse il Papa il 7 ottobre, ci sono la zizzania e i pesci cattivi), per purificarsi e presentare all’umanità del XXI secolo una Chiesa rinnovata, cosciente delle difficoltà dei fedeli, a cominciare da quelle dei divorziati, che desiderano accostarsi alla comunione. «Nessuno è buttato fuori dalla comunità per una sua irregolarità di situazione familiare, ma ha bisogno di essere accolto e sostenuto», ha detto l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, che presiede la Commissione per il Messaggio conclusivo. Altri vorrebbero che i divorziati e risposati fossero ammessi all’eucaristia. Il Presidente della Conferenza episcopale tedesca, Zoellitsch, ha sottolineato l’ampiezza e la delicatezza del problema. «La pastorale per le coppie divorziate torna ciclicamente e mi rafforza nella convinzione che bisogna cercare strade da percorrere». Il maltese Grech e lo svizzero Gmur hanno condiviso. «Dal mondo arrivano domande che dobbiamo ascoltare. Non tutti vivono come noi pensiamo. Ci sono persone che dopo un breve matrimonio religioso vivono per 50 anni un’unione felice. La vita di queste coppie non vale niente o è solo una realtà di peccato?». In ogni caso, una decisione spetta unicamente al Papa, e non sembra che questa eventualità sia all’orizzonte. Ma il tema di fondo non è stato di certo negletto. Il vescovo di Napoli, card. Crescenzio Sepe, ha bollato il carrierismo di alcuni ecclesiastici, in un’intervista nella quale ha ricordato che il Papa aveva parlato, durante una Via Crucis del Venerdì Santo, di «sporcizia» che si annida in seno alla Chiesa. L’arcivescovo Rino Fisichella, il presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, ha osservato: «Ci siamo rinchiusi in noi stessi. Mostriamo un’autosufficienza che ci impedisce di accostarci come una comunità viva e feconda che genera vocazioni, tanto abbiamo burocratizzato la vita di fede e sacramentale». L’Arcivescovo filippino Socrates Villegas ha rincarato la dose, ponendo un interrogativo: «Perché in alcune parti del mondo c’è una forte ondata di secolarizzazione, una tempesta di antipatia o pura e semplice indifferenza verso la Chiesa? La nuova Evangelizzazione richiede nuova umiltà. Il Vangelo non può prosperare nell’orgoglio. L’evangelizzazione è stata ferita e continua ad essere ostacolata dall’arroganza dei suoi agenti. La gerarchia deve evitare l’arroganza, l’ipocrisia e il settarismo. Dobbiamo punire quanti tra noi sbagliano, invece di nascondere gli errori». Il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale Usa, ha invitato a prendere coscienza dei propri errori: «La risposta alla domanda, “Cosa c’è di sbagliato nel mondo”, sono due parole: sono io, come diceva Chesterton». Ha virato verso l’alto il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza episcopale italiana. «Noi, pastori e sacerdoti dobbiamo tener fermo lo sguardo sul volto del Signore, altrimenti affondiamo nei timori. Occorre essere uomini di fede per essere maestri di fede. Esiste nel popolo cristiano un diffuso tesoro di eroismo umile e quotidiano, che non fa notizia ma costruisce la storia. In Italia, la presenza di 25.000 parrocchie costituisce una rete di prossimità e un patrimonio da non disperdere». Occorre però, avverte il cardinale, «fare con animo nuovo le cose di sempre», tenendo presente «che la gente che incontriamo nelle nostre comunità spesso deve riscoprire la fede o scoprirla». C’è necessità «di una pastorale che integri il territorio con gli ambienti (scuola, ospedali, fabbriche, mondo dello sport), gli immigrati con i nativi, da esercitare con le aggregazioni laicali, movimenti, gruppi ecclesiali. Cristo deve essere annunciato per intero, nella sua Persona e nelle sue implicazioni antropologiche, etiche e sociali». Sugli scandali politici e il degrado morale ha lanciato l’allarme la Chiesa di Milano. «Gli scandali delle ultime settimane», denuncia in un comunicato la Curia ambrosiana, «possono essere interpretati come l'ennesimo segnale di una politica che ha smarrito la sua vocazione originaria». Il processo di degrado è avvenuto perché «sempre più la sfera della politica coincide con l'azione dei partiti» e ciò ha innescato «una spirale di delega» del bene comune «ad un settore autonomo, che si è via via costruito come un mondo a sé, autoreferenziale e sempre meno soggetto a regole e controlli». La nota rompe un silenzio che era stato suggerito dalla prudenza in attesa dallo sviluppo degli eventi. Ora gli scandali sono divampati e in un articolo mons. Luca Bressan, vicario del cardinale Scola per la Cultura, la missione e l’azione sociale, ha scritto che i politici, invece di dare testimonianza, indeboliscono il «codice di moralità» e così fanno danni, perché il «degrado morale» travolge tutto. Non si fanno nomi, ma è chiaro che ci si riferisce alla «corruzione dilagante e alle infiltrazioni mafiose» nella giunta della Regione Lombardia e al comportamento di politici cattolici. «I segnali di malessere e di fatica» che il sistema politico trasmette da tempo indicano che si é smarrita la vera vocazione della politica, e cioè realizzare il bene comune, e fanno temere «una crisi di sistema». Per questo la Chiesa milanese saluta con favore la legge anti-corruzione e guarda ai cattolici politici riuniti per la seconda volta in un anno a Todi, con la presenza anche della Compagnia delle Opere che fa capo a Cl, anche se il portavoce Natale Forlani si è dimesso, e i Coltivatori diretti hanno dato forfait, senza però uscire dal Forum. Antonio Sassone
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