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Nigel Farage, il terremoto britannicoI commenti dei media inglesi allo straordinario successo dell’Ukip (United Kingdom Independence Party, Partito per l’indipendenza del Regno Unito) nelle elezioni europee sono concordi e di carattere, diciamo così, tellurico. L’esito della consultazione è un «terremoto populista» per il «Financial Times», quotidiano della City; un «terremoto politico» per il radicale «Guardian» e un «terremoto» puro e semplice per la Bbc, la radiotelevisione statale (ma non governativa); e l’intero universo dell’informazione si adegua al loro referto, solo con qualche variazione circa l’intensità delle scosse, rilevate, con una immaginaria Scala Mercalli, da illustri politologi. Certo è che il 24 maggio si è verificato un forte sollevamento nel paesaggio politico del Regno, nel quale, da quasi un secolo, non si registravano cambiamenti di questa specie. I maggiori partiti, quelli che contano, sono stati sempre tre: uno conservatore, il secondo laburista , il terzo liberale. Ma adesso, quasi di colpo, ne è sorto un quarto, l’Ukip appunto, che nelle elezioni per il Parlamento europeo ha scavalcato tutti gli altri, assicurandosi 24 seggi, vale a dire quasi il doppio di quanti (13) ne occupava dal 2009. I laburisti, pronosticati come sicuri vincitori con largo margine, sono saliti da 9 a 20. I conservatori ne hanno ottenuti 18, perdendone 7; e i liberaldemocratici, di 11 che ne avevano son riusciti a salvarne uno solo, battuti, con tre seggi, perfino dal piccolo movimento ecologista dei Verdi. Il panorama è dunque mutato. L’Ukip, partito eurofobo, nonchè d’inclinazioni razziste, che propugna l’uscita di Londra dall’Unione, si è affermato quasi in ugual misura (col 27,5 per cento dei suffragi) anche nelle elezioni locali svoltesi insieme alle europee; e ha in programma ora un raid sensazionale sulla Camera dei Comuni per il maggio 2015, quando si terranno le legislative. Il leader dell’Ukip, Nigel Farage, conta d’entrare in Parlamento con un seguito di almeno venti deputati, sufficiente a condizionare qualsiasi governo privo, come l’attuale, di una maggioranza omogenea. Ma ha l’Ukip il nerbo e la sostanza per durare a lungo e crescere, come vorrebbe il suo capo e fondatore, sulla scena politica della Gran Bretagna? Trovarvi un qualcosa che somigli a una ideologia seria e portante è impresa che a nessuno è ancor riuscita. L’Ukip eurofoba ha succhiato voti alla destra conservatrice nostalgica dell’Impero e in questa misura avversa a ogni affermazione europea. E piace, l’Ukip, alla cosiddetta gente comune, innumerevole, che frequenta dal venerdì sera alla domenica quei pub di cui la televisione statale e quella privata, ormai da decenni, hanno fatto lo scenario permanente di commedie popolari a puntate quotidiane, sempre con gli stessi personaggi e attori, salvo che muoiano, non più nella finzione, ma per davvero. I pub della realtà, ai quali Margaret Thatcher concesse di dilazionare oltre la mezzanotte la chiusura prima obbligatoria alle 23, non sono tuttavia esattamente come i modelli della televisione; sono luoghi in cui avventori d’ogni ceto, d’ogni sesso e d’ogni età (tranne i minorenni) convengono a bere birra, disinibirsi e chiacchierare in linguaggio, appunto, disinibito. Trent’anni e passa di propaganda antieuropea dei media conservatori (la tv e la stampa di Rupert Murdoch e ogni giornale di destra) hanno avuto il loro effetto diseducativo sulla clientela. La crisi dell’economia e la conseguente crescita della disoccupazione hanno portato nei pub il tema degli immigrati stranieri, quali predatori dei posti di lavoro indigeni. Quei soggetti, regole imposte da Bruxelles e immigrazione, sui quali, appunto, s’innesta il proselitismo dell’Ukip tra i sudditi di sua Maestà. Il pub è uno dei ricetti più tipici, sebbene non dei più nobili, dei modi di vivere e, diciamo pure, della cultura inglese. Nigel Farage, che non manca di carisma, ha saputo penetrarne il cuore e installarvisi come un profeta, non si sa bene di quali princìpi, ma certo di robusti pregiudizi. Tre pinte di birra trincate da un boccale con la solennità di un rito, e la sua loquela si disinibisce e fa presa. Sa raccontare pianamente, con sprazzi di humour, ma senza presunzione. Dei rivali che l’Ukip ha sconfitto, il premier Cameron, il leader laburista Ed Miliband, quello liberale Clegg, ha detto all’indomani: «Ecco, guardateli ora: sono come pesci rossi caduti sul pavimento dalla loro vasca…». La gente dei pub che lo ha votato s’identifica in lui anima e corpo: «Nigel é uno di noi, uno che si presenta per quello che è». Ma non é vero. Farage, come il premier Cameron, il Cancelliere e la maggior parte dei membri del Gabinetto, é un ex alunno d’uno dei grandi college privati, per frequentare i quali al giorno d’oggi occorrono almeno cinquantamila sterline l’anno. E significativamente si veste per solito di tweed, la costosissima stoffa color verde muschio o grigia, intessuta a mano, prediletta dagli aristocratici che vanno a caccia di pernici e cervi nelle vaste tenute del Regno. Più che altro il leader dell’Ukip è un eccentrico che ha saputo volgere a proprio vantaggio certe debolezze degli uomini al potere, i quali, invece di sfidarlo, prima lo hanno irriso e poi si son messi a rincorrerlo, così rendendogli un servizio. Gli altri partiti dovranno imparare la lezione del voto europeo. Ma l’Ukip, noi pensiamo, basterà una netta ripresa dell’economia per farla appassire, privandola del suo ossigeno vivificatore che é il pubblico scontento. D’altra parte il cosiddetto «terremoto» del 24 maggio non ha causato danni vasti, né irrimediabili. Solo il 37 per cento degli aventi diritto al voto si é recato alle urne. Se alla prossima consultazione si muoverà di casa il restante 63 per cento, Nigel Farage avrà poche chances di far nuovamente breccia. Il suo destino potrebbe esser quello d’un altro famoso populista, il francese Pierre Poujade, che dopo aver vinto 52 seggi all’Assemblea Nazionale peccó di presunzione e si eclissó nel ridicolo. Carlo Cavicchioli
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