L'Europa e il futuro

Le elezioni di domenica prossima 25 maggio (in Italia: altrove si comincia prima, già giovedì 22 in Olanda) per il rinnovo del Parlamento europeo non hanno un significato solo politico e istituzionalmente limitato alle funzioni dell’assemblea dei deputati dei ventotto Paesi dell’Unione europea. Dai risultati del voto dipenderà molto del futuro delle singole Nazioni e della loro complessiva comunità di popoli, dall’Atlantico ai confini con il rinascente impero russo.

Questa previsione non deve essere ritenuta eccessiva: per accettarla come ragionevole basta dare un’occhiata alle condizioni in cui gli europei vanno alle urne sotto gli effetti della crisi economico-finanziaria e quindi soprattutto sociale, con ventisei milioni di disoccupati e alcuni Paesi, quelli che si affacciano sul Mediterraneo, tutt’altro che fuori da incubi di fallimento.

Nelle pagine che seguono si parla di come si apprestano a votare la Gran Bretagna (che non fa parte dell’area euro, ma ne ha fin qui approfittato finanziariamente) e la Francia; e le riflessioni sui possibili effetti delle elezioni, maturate grazie all’esperienza di un antico eurodeputato italiano; così come la scorsa settimana avevamo parlato dello stato d’animo con cui i tedeschi vanno alle urne, politicamente influenzati dalla strategia internazionalmente egemonica della cancelliera Angela Merkel.

A Strasburgo siederanno sugli scranni parlamentari 751 eletti, dei quali 73 saranno italiani (scelti dagli iscritti in cinque grandi circoscrizioni della penisola, più quelli viventi all’estero: in tutto 51 milioni di aventi diritto al voto, sui quattrocento milioni complessivi). Quanti di loro voteranno, fra le 7 e le 23 di domenica? Si teme un forte astensionismo (alle ultime scorse elezioni la partecipazione dei cittadini europei fu del 43 per cento) ma soprattutto, specie in alcuni Paesi come Francia, Olanda, Gran Bretagna e Italia, si preventiva una forte avanzata dei partiti euroscettici o addirittura anti-unionisti. A cominciare dalla tendenza all’uscita dalla moneta, propagandata in Italia dal M5S e da quello che resta della Lega nord dopo la scaduta etica della sua classe dirigente.

Per quanto riguarda in particolare la Germania, il noto sociologo Jurgen Habermas, in un sincerissimo saggio sull’ultimo numero di «Esprit», giustifica la necessità di una rinnovata politica europeista con «tre problemi urgenti, ma finora largamente negati. Il governo federale tedesco, dopo il maggio del 2010, ha fatto avanti, con una estrema fermezza, la posizione egemonica della Germania in Europa. Così ha generato un effetto deflagrante nella politica interna europea, che nessuna retorica pacificatrice può mitigare. Inoltre, la gestione della crisi ha condotto in questi ultimi anni a una estensione informale delle competenze del Consiglio e della Commissione, il che aggrava in misura spettacolare l’attuale deficit di legittimazione dell’Unione europea e provoca l’interventismo delle resistenze nazionali. Questa politica è davvero inquietante perché non tocca le cause della crisi». Dette da un tedesco, queste parole non offrono equivoci di interpretazione.

Venendo all’Italia, va ricordato che domenica si vota, sempre dalle 7 alle 23, anche in due Regioni, il Piemonte e l’Abruzzo, dove si rinnovano i Consigli regionali in anticipo a causa di violazione delle norme generali anticorruzione; e in poco più di quattromila Comuni, fra i quali spiccano Firenze, Bari e Bergamo. La campagna elettorale ha dunque mescolato insieme questioni europee e problemi italiani, ma ha soprattutto sofferto gli effetti di una triplice storia di partito: la “rottamazione” del Pd da parte del premier Renzi, che ha suscitato vaghe ma non insignificanti beghe interne; lo scioglimento del Popolo della libertà nella risorta Forza Italia, nel Nuovo centro-destra, nel rinvigorito Fratelli d’Italia, sullo sfondo del malinconico declino personale di Silvio Berlusconi; l’incredibile aumento della popolarità del Movimento 5 Stelle, che con Beppe Grillo, con il suo mentore ideologico Casaleggio, e in Piemonte (come documentiamo a pagina 2) con il candidato alla presidenza Bono, invoca una vittoria elettorale devastante, «o noi o loro», con minacce di «lupara bianca» mafiosa per Matteo Renzi, insulti per tutti, autoparagoni peggiorativi con Stalin e Hitler (il che significa che l’ex comico non ha altre prospettive personali che l’autoritarismo, come ha osservato Berlusconi, il quale gli ha anche ricordato di essere stato condannato per un omicidio colposo di tre amici, ma di avere evitato il carcere, e di essersi fatto pagare in nero) e una «marcia su Roma» per imporre a Napolitano lo scioglimento delle Camere con nuove elezioni, e la sua defenestrazione dal Quirinale. In più, lo “squadrismo” della Lega, che a Torino ha addirittura assediato l’abitazione privata dell’ex ministra Fornero.

Chi va domenica al seggio elettorale tenga conto di tutto questo, e sappia scegliere fra chi crede ancora che la democrazia sia il voto con ragione e non con rabbia, con pregiudizi anche razzisti, con facondia inesausta su internet senza interlocutori saggi e competenti sulle gravi questioni economiche del momento, sui profondi cambiamenti in atto nel mondo, e soprattutto sulla storia di un Paese e di un continente che dei nazionalismi ciechi, violenti e criminali e delle ideologie discriminanti come il fascismo, il nazismo e il comunismo, hanno avuto nel secolo scorso fin troppe prove devastanti in due guerre mondiali.

Beppe Del Colle



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