Populismo: le ragioni e gli effetti

Un fantasma si aggira per l’Europa. Ai tempi di Marx e Engels, e del Manifesto del partito comunista, lo spettro si chiamava comunismo. Oggi ha cambiato nome, si chiama populismo o, alternativamente, eurofobia. Alla vigilia dell’appuntamento con le urne per il rinnovo del Parlamento europeo, il 25 maggio, il principale motivo di inquietudine è questo: quale sarà l’ampiezza del terremoto euroscettico, o meglio euro-ostile, che rischia di sconvolgere l’Unione europea e i 28 Paesi che la compongono?

Se dall’inizio dell’anno la situazione economica sembra essere leggermente migliorata, se la paura dell’implosione dell’euro si è allontanata, i segnali di crescita sono ancora debolissimi. L’Europa attraversa una profonda crisi di sfiducia, e i suoi cittadini hanno l’impressione di pagare a carissimo prezzo la passività di cui hanno dato prova i loro governi in questi ultimi anni. Il baratro del debito (pubblico e privato), la crescita vertiginosa della disoccupazione, la diffidenza verso le classi politiche che hanno perduto ogni credibilità, il risentimento nei confronti delle istituzioni europee considerate responsabili delle difficoltà finanziarie, l’incapacità dei governi che non riescono né a risolvere né a tenere sotto controllo i gravissimi problemi dell’immigrazione. Tutti questi fattori spiegano perché il populismo che spesso rima con estremismo (di destra o di sinistra) e l’eurofobia (che rima con demagogia) hanno il vento in poppa.

Insomma, il populismo è il male oscuro dell’Europa d’oggi, il discorso populista si nutre di retorica anti-intellettuale e anti-istituzionale. E quello che è increscioso è che il populismo sembra andare di moda. Chi è stato, se non Silvio Berlusconi, il prototipo del leader populista? E populisti, a modo loro, si potrebbero definire anche il nuovo presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi e il neo primo ministro francese Manuel Valls. Si attende con ansia, preoccupazione e anche un po’ di angoscia il momento in cui tutti i nodi verranno al pettine, ossia quando saranno scrutinati i voti dei milioni di cittadini europei chiamati alle urne per rinnovare l’Europarlamento. A parte il tasso delle astensioni, che rischia di battere ogni record, i sondaggi annunciano una clamorosa affermazione dei partiti e movimenti euroscettici e populisti.

In Francia, per esempio, dove il Partito socialista al potere da meno di due anni ha subito una tremenda sconfitta nelle elezioni amministrative dello scorso marzo, si prevede che nelle europee arriverà in testa il Fronte nazionale guidato da Marine Le Pen, che dovrebbe rastrellare il 24-25 per cento dei voti e diventare il primo partito di Francia, davanti all’Ump(centro-destra) e al Ps, ai quali i sondaggi attribuiscono rispettivamente il 22 e il 19 per cento dei voti. Dopo la batosta elettorale dello scorso marzo, il presidente socialista François Hollande ha tentato di correre ai ripari licenziando lo scialbo, impopolare primo ministro Jean-Marc Ayrault e sostituendolo con il popolarissimo, giovane e dinamico Manuel Valls, già ministro degli Interni, che incarna «la destra della sinistra» ed è subito stato soprannominato «il Renzi francese». La manovra, però, non è stata vantaggiosa per Hollande, il cui indice di popolarità è ulteriormente crollato al 19 per cento, mentre quello di Valls sfiora il 55.

In Italia sono in molti a temere un’ulteriore ascesa del Movimento 5 Stelle guidato da Beppe Grillo. Stesso discorso per i populisti olandesi del Partito per la libertà di Geert Wilders. Le previsioni dell’istituto «Notre Europe» (fondato da Jacques Delors) sono buie: nelle elezioni del 25 maggio i partiti eurofobi (d’estrema destra e d’estrema sinistra) potrebbero rastrellare, in tutta l’Unione europea, più del 25 per cento dei voti e conquistare più di 200 seggi sui 751 dell’Europarlamento.

Una seria minaccia per la democrazia, tanto più seria in quanto l’equazione “crisi economica=crescita del populismo” non sempre si verifica. In Spagna, per esempio, dove la crisi ha colpito duramente e il tasso di disoccupazione è del 27 per cento, il populismo è quasi inesistente; mentre in Austria, un Paese che gode di un’ottima salute economica, il partito eurofobo e populista d’estrema destra FpÖ si è accaparrato il 21,4 per cento dei voti nelle elezioni politiche dello scorso settembre. Il populismo ha il vento in poppa anche in due dei Paesi più ricchi d’Europa, che però non fanno parte dell’Ue: in Svizzera il partito d’estrema destra Udc-Svp ha raccolto quasi il 26 per cento dei voti nelle ultime elezioni federali (ottobre 2011); ma il caso più clamoroso è però quello della Norvegia, dove il Partito del progresso ha ottenuto nello scorso ottobre un successo elettorale tale che gli ha spianato la via del potere. Guidato da una donna, Siv Jensen, il partito è entrato nella coalizione che governa il Paese, e controlla 7 ministeri su 18 fra cui quello, altamente strategico, del petrolio (l’”oro nero” è, insieme con la pesca, la principale fonte di reddito del Paese).

La xenofobia, l’anti-europeismo, la lotta contro l’immigrazione e contro la mondializzazione sono i denominatori comuni di tutti questi partiti populisti, il più delle volte di estrema destra, ma se ne trovano anche all’estrema sinistra, come, in Francia, il Parti de la gauche guidato da Jean-Luc Mélenchon, che spesso si trova sulla stessa lunghezza d’onda del Fronte nazionale. Il populismo, infatti, associa forze politiche diverse, a volta opposte fra loro ma unite contro l’Unione europea e contro l’euro, l’odiatissima moneta unica. L’elenco dei populisti coinvolge gli anti-europeisti dell’Europa settentrionale e quelli dell’Europa orientale. Prova ne sia il recente trionfo del Fidesz di Viktor Orban in Ungheria (dove Jobbik, il movimento di estrema destra, ha superato il 20 per cento) e la presenza di Alba dorata in Grecia.

Il Fronte nazionale in Francia e il M5S in Italia sono altri esempi del populismo che cresce. Per imporsi sulla scena pubblica è imperativo adottare uno stile “populista”. Un termine che sino a pochissimo tempo fa suonava come un insulto, ma che oggi è rivendicato, senza complessi, da personaggi come Beppe Grillo o Marine Le Pen (la quale non esita a definirsi «nazional-populista», invocando il ritorno alle frontiere e alla sovranità nazionale).

C’è, nel populismo, uno sgradevole profumo di xenofobia e a volte addirittura di antisemitismo. In questo campo, il primato va attribuito a una donna, Krisztina Morvai, deputato europeo e leader del partito d’estrema destra ungherese Jobbik. La rozzezza e la volgarità dei suoi discorsi hanno superato ogni limite, specie quando se la prende con i rom e con gli ebrei: si fa beffe del loro aspetto fisico e esprime persino dubbi sulle loro capacità sessuali. Nonostante i suoi eccessi verbali, però, la Morvai, ex militante della “Guardia ungherese” (un gruppo paramilitare ufficialmente sciolto nel 2009), è riuscita a farsi ammettere nella commissione del Parlamento europeo per la parità dei sessi.

Paolo Romani



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