Scuola: a Roma la grande festa

Respiro ecumenico della Chiesa, con l’imminente pellegrinaggio di papa Francesco in Terra Santa (24-26 maggio), e respiro universale, perché lo Spirito Santo «soffia dove vuole» e non si dovrebbe negare il Battesimo neanche ai marziani se venissero e lo chiedessero, come san Pietro battezzò i “circoncisi”; invito ai nuovi sacerdoti ordinati in San Pietro a non “bastonare” i peccatori in confessione, ma ad allargare i confini della misericordia, e ai futuri preti americani che frequentano le prestigiose università e accademie ecclesiastiche romane di non essere, rientrando nelle diocesi, “dottori”, accademici laureati, ma pastori e confessori. Per Papa Francesco bisogna aprire le porte. Tutti devono essere «ostiari», ha detto con termine latino. Nella Chiesa non ci sono quelli che chiudono le porte, ma gli «ostiari», quelli che le aprono.

Giornate ed eventi straordinari, con la grandiosa manifestazione per la scuola sabato 10 in Piazza San Pietro. Una festa. Una festa per la scuola, non contro. Così voleva essere e così è stata la manifestazione che ha visto confluire in piazza San Pietro più di 300 mila persone, il doppio rispetto alle previsioni, una manifestazione che papa Francesco ha definito nel suo valore positivo e propositivo. «Per» e «non contro», ha scandito. E la festa è cominciata subito con un’anteprima gioiosa che è il giro del Papa sulla jeep bianca in quel grande palcoscenico all’aperto che è piazza San Pietro, senza quinte, senza sipario, senza annunciatori e suggeritori, un palcoscenico che si allarga e si allunga, fino ai bastioni di Castel Sant’Angelo, per abbracciare quanti più fedeli possibile, quasi per parlare con ciascuno di loro, guardarlo negli occhi, salutarlo, e baciare i bambini che gli porgono, i disabili che gli si aggrappano.

Su questo grande palcoscenico, che Francesco vede come un testo da cui si possono apprendere molte discipline, dall’astronomia all’architettura alla storia, attori sono i ragazzi e le ragazze che armoniosamente e castamente danzano sul sagrato davanti al Santo Padre. Attori sono gli alunni che raccontano il loro rapporto con la scuola. Attori sono i bambini delle elementari che sventolano drappi azzurri, gli adolescenti delle medie, i giovani ginnasiali e liceali che al microfono descrivono il loro percorso. Attori sono gli insegnanti, i genitori che dichiarano il loro amore per la scuola, che la vogliono efficiente, sana, strumento di educazione e di preparazione alla vita. E ci sono gli attori di professione, quelli che vediamo al teatro, al cinema, in tv: Max Giusti, il comico che strappa risate con la sua capacità di rifare ogni dialetto, Giulio Scarpati, che ha legato il suo nome a «Un medico in famiglia» e ha impersonato don Milani, il priore di Barbiana, che qui viene ricordato come un antesignano che ha fatto scuola senza aule, banchi e sedie, e l’atleta olimpionico Yuri Chechi, il “signore degli anelli”, che con tutta semplicità tira fuori una frase scultorea («meglio una sconfitta pulita che una vittoria sporca») così efficace che il Papa la fa propria. Vuol dire senza trucco e senza inganno, senza doping. E ancora la cantante Fiorella Mannoia, che nelle sue canzoni («Sud») ha un messaggio, condanna le guerre, le persecuzioni, l’ostracismo contro gli immigrati, presenta un canto accorato, «Il viaggio», un figlio che va lontano e la madre non sa dove va, se arriva, se sopravvive.

Per la rossa cantante romana, orgogliosa di cantare davanti al Papa e in questo proscenio, è il canto elegiaco a una figlia non avuta e per cui lei non ha mai nascosto il rammarico. Non meno accattivante l’esibizione di Francesco Renga con «Angelo», la canzone vincitrice del Festival di Sanremo nel 2005 che esprime tutta la tenerezza dell’amore paterno per i figli. Quale musica per Francesco, che ama così tanto i bambini. Ora ci si chiede se in Vaticano si terranno concerti di musica leggera, naturalmente live.

E’ nel punto più alto del sagrato, papa Francesco, e tutti lo chiamano per nome. Segue tutto con attenzione e col sorriso sulle labbra. Accanto i maestri, le guide: il cardinale Angelo Bagnasco, il presidente dei vescovi italiani, che ha pensato per tempo questa manifestazione come testimonianza e espressione di valori, scuola vera, lontana da steccati e da derive, in grado di formare veri uomini e vere donne. Accanto a lui il dinamico segretario della Cei, mons. Nunzio Galantino, che ha sostenuto l’iniziativa fin dal primo momento, delucidandone in più circostanze la natura. E il ministro della Pubblica istruzione, Stefania Giannini, la responsabile del circuito e dell’intero sistema educativo del Paese, un sistema che è unitario, senza differenze tra pubblico e privato: la scuola per tutti, rispettando la libertà di scelta.

Certo, ci sono pericoli nella scuola. Il bullismo, il rischio delle droghe che vengono definite “leggere” e che purtroppo circolano, i tentativi di imporre ideologie, falsi principi. Ci sono anche carenze didattiche e deficienze materiali per edifici fatiscenti, servizi igienici inadeguati, infissi consunti. Le cronache ce le descrivono. Insegnanti, genitori, allievi si sono rimboccati le maniche e si sono improvvisati muratori, bianchini, elettricisti. Malgrado tutto, qui, in questo raduno di festa, la visione è positiva, l’orizzonte è vasto e sereno, prevale l’amore per la scuola e il Papa enuclea i tre motivi per cui ama la scuola. Si guarda al futuro.

Lo dice bene il Papa esaltando la festa. «Sappiamo bene che ci sono problemi e cose che non vanno, lo sappiamo, ma voi siete qui, noi siamo qui perché amiamo la scuola. Oggi abbiamo sentito qui che è più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca, ricordatelo, questo ci farà bene per la vita. Diciamolo insieme». E’ un coro che scuote le colonne del Bernini. Ricorda la sua prima maestra: «Mi ha aiutato a crescere e mai ho potuto dimenticarla». «Per favore», esorta papa Bergoglio, «non lasciamoci rubare l'amore per la scuola». Ringrazia tutti per «le tante cose belle, che mi hanno fatto bene. Si vede che questa manifestazione non è “contro”, è “per”. Non è un lamento, è una festa. Una festa per la scuola di tutta l’Italia».

Poi declina i perché del suo amore per la scuola. Perché «è sinonimo di apertura alla realtà, apre la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà. Gli insegnanti sono i primi che devono rimanere aperti alla realtà». Se non è aperto a imparare, non è un buon insegnante, e non è nemmeno interessante; i ragazzi capiscono, hanno «fiuto», e sono attratti dai professori che hanno un pensiero aperto, «incompiuto», che cercano un «di più».

La scuola, aggiunge Francesco, è un luogo di incontro. Perché tutti noi siamo in cammino, non è un parcheggio. La famiglia è il primo nucleo di relazioni, ma a scuola noi «socializziamo»: incontriamo persone diverse da noi, diverse per età, per cultura, per origine, per capacità. La scuola è la prima società che integra la famiglia. La famiglia e la scuola non vanno mai contrapposte. Sono complementari, e dunque è importante che collaborino, nel rispetto reciproco». Ricorda un proverbio africano: «”Per educare un figlio ci vuole un villaggio”. Per educare un ragazzo ci vuole tanta gente: famiglia, insegnanti, personale non docente, professori, tutti». La scuola, infine, «ci educa al vero, al bene e al bello. L’educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla. E nell’educazione è tanto importante quello che abbiamo sentito anche oggi: è sempre più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca. Ricordatevelo».

Tutto è pronto per il pellegrinaggio che sabato 24 maggio porta il Papa da Roma ad Amman, la capitale giordana, per raggiungere Gerusalemme e incontrarsi col «Fratello Andrea», il patriarca di Costantinopoli, nel 50° anniversario dello storico abbraccio tra Paolo Vi e Athenagora. Molto cammino si è fatto in questo mezzo secolo nel dialogo ecumenico. Ma ora sono maturi i tempi per andare ancora più avanti, nel rispetto reciproco. Ma nel viaggio c’è pure Betlemme, la «città del pane», dove nacque Gesù, e poi Tel Aviv, la capitale dello Stato d’Israele, in un contesto, il Medio Oriente, dove si intrecciano le grandi religioni monoteiste, ma anche razze, lingue e culture e dove i conflitti sono perenni. Pace e fratellanza sono i principi che ispirano il viaggio e che animano, si spera, tutti i protagonisti degli incontri, capi di Stato e leader religiosi.

Antonio SASSONE



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