Le quattro parole del Papa

Papa Francesco «è quello che dice». Non comunica, «crea eventi comunicativi». Tra la parola e la vita, «sceglie sempre la vita». Cioè l’esempio: la vita è il paragone delle parole, se non reggono il confronto sono vuote. E se ci sono “parole piene” che arrivano dritto al cuore di credenti e non credenti sono proprio quelle di Bergoglio: per il Santo padre conta il gesto, solo dopo fioriscono le parole, se servono. Se sono inutili, meglio tacere. Il gesto è più efficace.

È la rivoluzione di Francesco raccontata nell’incontro clou del Salone del libro di Torino, sabato scorso, dedicato alle «Parole del Papa», dal segretario di Stato vaticano card. Pietro Parolin accompagnato sul palco dal cardinal Gianfranco Ravasi, presidente della Pontificia commissione per la cultura della Santa sede, e padre Antonio Spadaro, direttore de «La Civiltà Cattolica». Un incontro a tutto tondo sulla potenza comunicativa del Papa, ma anche sulla forza delle parole e, quindi, dei libri.

Ed ecco le «parole potenti del Papa», declinate da un cardinale che lo conosce da vicino, perché incarna la figura del collaboratore principe del Santo padre, del braccio destro del Pontefice nella governance della Sante sede. Nella semantica di Bergoglio, assicura Parolin di fronte all’arcivescovo emerito di Torino, cardinale Severino Poletto, all’arcivescovo mons. Cesare Nosiglia e ai vertici del Salone, Picchioni e Ferrero, in un Lingotto gremito, svettano quattro termini: tenerezza («Una virtù necessaria in tutti i rapporti»), misericordia («Il messaggio più forte del Vangelo e la più grande delle virtù»), verità (che si comprende meglio «in relazione alla bontà e alla bellezza») e giustizia («Finché qualcuno cercherà di accumulare beni soltanto per sé, non ci sarà mai giustizia, né tantomeno giustizia sociale»).

E proprio partendo dalla giustizia, il card. Parolin ha lanciato l’invito a non abbassare la guardia sulla corruzione: «La corruzione», ha detto a margine dell’incontro sollecitato dai giornalisti, «fa parte del male del mondo, c’è sempre il pericolo che risorga. Noi non dobbiamo mai abbassare la guardia. Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per combatterla, per assicurare trasparenza e comportarci bene». Per Parolin i vent’anni trascorsi da Tangentopoli comunque «sono serviti»: «Perché c’è stato un impegno che è entrato nelle coscienze. Finché esiste il mondo, il male continua ad avere i suoi effetti. Questo non per giustificare la corruzione, ma per dire che è una realtà umana e non dobbiamo mai abbassare la guardia».

Tenerezza, misericordia, verità e giustizia: quattro parole strettamente legate una all’altra e capaci, secondo Francesco, di disegnare un mondo nuovo. «Il Papa insegna che l’amore e la povertà non bastano da sole a restituire dignità ai più poveri», ha detto il card. Parolin, ricordando l’invito di Bergoglio ad andare nelle periferie del mondo, «c’è bisogno anche di giustizia sociale, perché la speculazione economica e finanziaria non trasformi in disoccupati milioni di lavoratori in tutto il mondo, compreso il ricco Nord. Le parole del Papa invece prefigurano una città affidabile, dove l’unità degli uomini è possibile, perché tutto è in tensione verso il bene comune».

La proposta di una «città abitabile», ha sottolineato il segretario di Stato vaticano, è a tutti gli effetti una «proposta politica» rivolta soprattutto alle giovani generazioni. «I giovani», non si stanca di ripetere il Papa, «sono le prime vittime dell’attuale mercificazione, la crisi allora diventa un’opportunità per affrancarsi dalla mediocrità dei comportamenti. Di qui, l’invito a guardare in alto per uscire dalla crisi attraverso il dialogo, la trasparenza, la legalità e la giustizia».

Le parole di Bergoglio aprono a un mondo nuovo, più umano e più giusto. Sarà per questo che il Papa è riuscito a raggiungere il cuore di credenti e non credenti. Anche se molto si deve al suo modo straordinario di comunicare. «Ricordate la prima volta che si è affacciato alla loggia per la benedizione?», chiede padre Spadaro. «Ebbene, prima di dare la benedizione al popolo, ha chiesto al popolo una preghiera... E da protagonista si è immediatamente trasformato in co-protagonista». E le foto con gli scout di Piacenza? Bergoglio accetta di fare un selfie, cioè di scattarsi una foto da cellulare insieme ai ragazzi, ed ecco che si trasforma di nuovo in co-protagonista. «Le sue parole, e prima i suoi gesti», sottolinea Parolin, «diventano emblemi e simboli su tutti i media. Non a caso è stato nominato uomo dell’anno dalla rivista “Time”. Ma attenzione: la sua novità, la sua forza comunicativa non è frutto di studiate tecniche, ma sgorga dalla sua autenticità evangelica».

Anche espressioni brevi e dense, pensiamo ad esempio a «Dio spray» o alla «Chiesa che non deve essere una baby-sitter», sono certo adattissime ai nuovi media, ma allo stesso tempo rivive in esse la sapienza dei padri della Chiesa. Diceva Agostino: la Chiesa non è riservata a pochi adepti, ma è amica degli uomini e sceglie la via della colloquialità e della semplicità per arrivare al cuore di tutti. «Così papa Bergoglio sceglie un linguaggio soave e amoroso, mette il suo interlocutore in condizione di parità e non di distanza, usa parole che aprono, abbracciano, facilitano…».

Ma quali sono i termini più utilizzati nella comunicazione del Pontefice nelle udienze, nelle omelie da Santa Marta, all’Angelus o nei documenti ufficiali? Il primo ministro del Papa ne cita due: «Tutto, tutti» (ha usato questa espressione oltre 300 volte) perché Bergoglio vuole superare i recinti e aprire le porte della Chiesa, e «camminare-andare», alle quali seguono «uscire-seguire», e quindi «vedere-ascoltare». Tutti termini che esprimono un movimento, un uscire da sè, un’attenzione verso l’altro. Al Papa non piace una «fede da laboratorio», che si compiace della propria autosufficienza. Il Papa non vuole portare la frontiera a casa, ma chiede di andare nelle frontiere del mondo («La realtà si capisce meglio dalle periferie», ha detto durante una visita in una parrocchia romana). Di contro, le parole che attirano l’avversione del Papa sono soprattutto due: le «chiacchiere» (intese come pettegolezzo) e il «lamento».

Bergoglio, dice ancora Parolin nel suo lungo e accorato intervento, dimostra anche di essere creativo con la parola, al punto da costruire veri neologismi. Come nel caso, per esempio, di «memoriosa». «La preghiera, dice il Papa, deve essere memoriosa, ossia piena di memoria per i gesti operati dal Signore nella vita di ciascuno di noi». Infine, nota il segretario di stato, c’è da considerare la frequenza delle domande negli interventi del Papa. «Francesco conclude molte omelie con degli interrogativi. Le sue però non sono domande retoriche, ma autentiche, perché la domanda, l’attesa è il tratto principale della condizione umana. Rivolgendosi ad alcuni ragazzi arrivati dal Belgio per intervistarlo, il Pontefice ha rivolto una domanda presa dal Vangelo: “Dov'è il vostro tesoro? Perché la dove è il vostro tesoro, lì c’è il vostro cuore”. Il cammino che abbiamo davanti dipende da come ognuno di noi risponderà a questa domanda».

Alla fine dell’incontro, i tanti convenuti all’incontro, sono usciti con una certezza: il Papa non solo interroga la nostra vita, ma scombussola anche la lingua. «E lo fa», avverte Parolin, «per trovare vie sempre nuove per annunciare il Vangelo agli uomini del suo tempo». Esattamente come facevano alle origini i padri della Chiesa. Si spiega allora anche il successo dell’iniziativa lanciata dal card. Ravasi, il Cortile dei gentili, uno spazio di dialogo tra credenti e non credenti sulle grandi domande della fede.

E per spiegarlo al pubblico del Salone del libro di Torino, Ravasi racconta due aneddoti. Il primo riguarda Ionesco, l’amico storico e drammaturgo franco-romeno: «Sotto lo sconcerto, si nasconde sempre una domanda. Ero andato a trovarlo quando era già molto malato. Mi diceva: “Il telefono squilla raramente. Ma quando suona mi alzo e corro perché desidererei sentire la voce di Dio o quella degli angeli della sua segreteria…”. Il giorno prima che morisse, lessi sul suo Diario questa frase: “Pregare. Non so chi. Forse Gesù”. E pensai: tutti abbiamo bisogno di sentire una risposta a questa domanda sospesa”.

Ed ecco la parabola moderna (e commovente) di Ravasi che ha chiuso l’incontro col card. Parolin: «Seconda guerra mondiale, un cappellano è finito insieme ai suoi soldati in un sacco, accerchiato dai nemici. Le solite parole di consolazione non hanno senso. Non c’è più nulla da dire di accettabile. Allora toglie dalla tasca la copia dell’Antico testamento che portava con sé, strappa le pagine del libro e ne dà una ad ogni soldato. Era l’unica “parola” che potevano leggere prima di morire». La parola di Gesù è consolazione e salvezza. Come insegna papa Francesco.

Cristina MAURO



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