![]() Accesso utente |
Oggi a scuola educare conta più di una voltaSabato pomeriggio, 10 maggio, papa Francesco incontrerà la scuola italiana per iniziativa dei vescovi italiani. Docenti, allievi, genitori di istituti statali e paritari saranno presenti in massa in piazza San Pietro per dire ad alta voce che la scuola è un bene comune di cui non si può fare a meno e per ascoltare la parola del Santo Padre. Il senso dell’evento, annunciato dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, lunedì della scorsa settimana, è stato così spiegato dal segretario, mons. Nunzio Galantino: «Andremo ad ascoltare la voce del Papa, non a rivendicare finanziamenti per la scuola cattolica. Vogliamo lanciare un segnale politico: la scuola non può essere il bancomat da cui, attraverso i tagli, attingere il denaro da sprecare in altre direzioni». «Siamo tutti consapevoli della crisi economica che non risparmia neanche i beni di prima necessità», ha aggiunto mons. Galantino, ma tra questi, «la scuola va difesa e promossa a costo di qualsiasi sacrificio, perché ne va della qualità della vita pubblica e della stessa democrazia». La manifestazione voluta dalla Cei arriva da lontano e rientra nel progetto della Chiesa italiana di impegnarsi con particolare intensità in campo educativo. L’indicazione di papa Benedetto XVI, contenuta nella lettera alla diocesi e alla città di Roma del 2008, di compiere ogni sforzo per contrastare l’«emergenza educativa» si è infatti tradotta negli Orientamenti pastorali 2010-2020 che destinano un’attenzione tutta speciale proprio alla questione educativa. La Chiesa italiana è da tempo molto preoccupata per le sorti degli istituti cattolici, ma in questo caso lo sguardo si amplia e prende in considerazione la realtà scolastica nel suo insieme. La scuola vive una stagione difficile, guai ad abbandonarla a se stessa perché costituisce una risorsa di straordinaria importanza, anche se a molti, politici e non, questo aspetto sembra sfuggire, ritenendo che i soldi spesi nell’istruzione siano una passività da contenere. In un mondo sempre più percorso dall’individualismo e tentato dalla realtà virtuale (quante ore i ragazzi trascorrono davanti al pc collegati con i social network?) l’esperienza di apprendimento e di socialità compiuta a scuola è più importante che in passato. I compiti svolti dalle scuole non possono essere confinati nella sola dimensione dell’istruzione e della formazione di competenze, ma vanno estesi in senso anche educativo, e cioè orientati verso la formazione della responsabilità personale, la maturazione della libertà consapevole, la capacità, in una parola, di compiere scelte ragionate. Su questo secondo punto si sconta invero una certa diversità di vedute. La parola «educazione», in specie se impiegata in ambito scolastico, è infatti una sorta di “sorvegliato speciale” guardata a vista da cospicui settori del mondo laico che in questi anni si sono ben guardati dall’aderire, anche se avrebbero potuto farlo con motivi propri, agli inviti del mondo cattolico di agire d’intesa per contrastare l’«emergenza educativa». Il timore, venato da qualche nostalgia libertaria di marca vetero-sessantottina, è che dietro la parola «educazione» si celi qualche finalità autoritaria, qualche regola che limiti la libertà, qualche tentativo di «indottrinamento dei preti». Vecchi e stantii discorsi sentiti mille volte da chi non riesce a capire che l’insegnamento del Vangelo va nella direzione della libertà e non dell’oppressione. La scuola ha dentro di sé straordinarie risorse per aiutare i ragazzi a vivere in modo genuino e reale la loro libertà, se hanno la fortuna di trovare insegnanti competenti e appassionati, figure di «adulti significativi». Essa resta, come ha ancora detto mons. Galantino, «l’ambiente in cui si offrono gli strumenti critici necessari per mettere il singolo in condizione di affrontare e di abitare in maniera consapevole e sensata questo mondo. E allora diciamo ai genitori: “Vi interessa il luogo in cui i vostri figli trascorrono gran parte delle loro giornate? Vi interessa che siano resi capaci di abitare in maniera critica e consapevole il loro tempo? Vi interessa che vengano loro forniti gli strumenti per non essere preda dell’ultimo avventuriero o venditore ambulante che va in televisione e dell’ultimo propagandista di talent scout?”. E allora la manifestazione del 10 maggio è per voi, come lo è per i professori e per tutto il personale di una scuola che non sia solo un parcheggio di abusivi, ma abbia la capacità di formare uomini e donne che abitino criticamente la complessità». Papa Francesco saprà sicuramente dire una parola profonda ed efficace, come ha più volte fatto nella veste di vescovo di Buenos Aires. «La domanda che mi pongo», disse in un incontro con gli insegnanti della capitale argentina del 2007, «e che pongo a voi, educatori, è questa: abbiamo il cuore abbastanza aperto per lasciarsi sorprendere ogni giorno dalla creatività del bambino, dalle illusioni di un ragazzo? Riesco a sorprendermi dalle esigenze di un ragazzo, dalla sua trasparenza? Oppure mi rinchiudo in un recinto di conoscenze acquisite e di metodi educativi conosciuti, che devono essere per forza perfetti, che devo imporre senza imparare nulla?». Talvolta siamo ingiusti con la scuola, marcandone soprattutto gli aspetti critici: i livelli di apprendimento inadeguati e non competitivi con quelli che si registrano nei Paesi più avanzati; gli investimenti insufficienti; i locali fatiscenti quando, addirittura, non a rischio; metodologie di insegnamento ancora ferme a qualche decennio orsono che stentano a tenere il passo con la generazione 2.0. Ma va anche lealmente riconosciuto che la scuola di questi tempi si trova a dover risolvere questioni ben più impegnative, e sotto certi aspetti anche inedite, che in passato. Basta pensare all’inserimento degli alunni immigrati, alla presenza sempre più numerosa dei soggetti portatori di handicap, alle sfide portate dalle nuove tecnologie rispetto a cui gli allievi manifestano abilità maggiori rispetto a quelle dei docenti, alla difficoltà di coinvolgere nell’impegno scolastico ragazzi attratti e coinvolti nel mondo della virtualità che spesso confondono, purtroppo con un’illusoria realtà, stili di vita poco inclini alla riflessione. Forse nessuna professione come quella di maestri e professori è sottoposta a stress particolarmente frustranti: da una parte la riduzione delle risorse (come se queste venissero sistematicamente sprecate), dall’altra la pressione e la critica delle famiglie poco disposte ad accettare osservazioni e voti negativi, più in generale una perdita complessiva di prestigio sociale che condiziona la visione complessiva del ruolo dell’insegnante. Una riflessione ad ampio raggio su questi temi servirebbe, al di là delle polemiche, a restituire alla scuola il prestigio di cui dovrebbe godere. Anche se l’incontro con papa Francesco non ha lo scopo di sollevare la questione della scuola paritaria, tuttavia non è possibile fingere che il problema non esista. Tra i molti impegni che il ministro Giannini si è assunto (secondo alcuni osservatori anche troppi) c’è anche quello di ripensare e riprogrammare la parità in tutta la sua estensione, compresa quella finanziaria. Nessuno si nasconde le difficoltà e nessuno pretende che la questione aperta da settant’anni sia risolta in pochi mesi. Sarebbe già un grande passo avanti se il ministro desse un segnale di voler ampliare gli spazi dell’autonomia delle scuole, di ridimensionare il ruolo gestionale dello Stato, di consentire alle scuole statali di scegliere i propri insegnanti. Il contenimento/superamento dello statalismo rappresenta la necessaria svolta culturale perché il sistema scolastico sia davvero costruito su due poli omogenei e realmente paritari. Giorgio Chiosso
|