Roncalli e Wojtyla santi perchè

La simultanea canonizzazione di due Papi avvenuta durante la celebrazione eucaristica presieduta la settimana scorsa da papa Francesco e presenziata anche dal papa emerito Benedetto XVI, è un evento assolutamente storico per la vita della Chiesa cattolica e per la vita del mondo. Per la vita della Chiesa cattolica, l’evento appartiene all’«universo delle meraviglie» del Signore, allo stupore dell’imprevedibilità dello Spirito del Risorto e alla perenne creaturalità estatica del Padre; per la vita del mondo, l’evento appartiene, invece, all’utopia della speranza dei popoli, al desiderio diffuso e infinito di toccare l’Oltre e al sogno costante e inappagabile di unirsi all’Oggetto immenso.

Chi conosce la storia della santità cristiana sa bene che essa è compenetrata alla storia quotidiana e povera della vita umana e a quella mistica dell’umanità: in questo senso, non c’è santità cristiana senza «mistica con Dio e con l’umanità», senza contemplazione divina e umana. Essere uniti a Dio e all’uomo è, allora e dopo l’incarnazione del Verbo eterno, «il dono specifico della mistica cristiana» e ciò è possibile soltanto se si è abitati dalla grazia dello Spirito del Risorto, che congiunge al Figlio glorioso e al Padre misericordioso: che congiunge, inoltre, «ai poveri e ai piccoli del Vangelo» (Evangelii gaudium, 186-216), alle «pietre di scarto» e alle «periferie esistenziali» (papa Bergoglio).

Il dono di lasciarsi abitare dalla grazia di Dio diventa, così, la scintilla che ridona dignità e vita agli assetati, agli affamati, ai carcerati, agli emarginati, ai senza niente e nessuno. Il segreto della santità cristiana è, in sintesi, donare agli altri il dono d’amore, senza limiti, che il Signore dona a noi, in comunione con il Suo Spirito: lungo questa direzione, la docilità all’energia soprannaturale dello Spirito Santo e il dono sincero di sé, senza se e senza ma, sono, per ogni cristiano, le due autostrade principali che portano là dove l’alba non conosce tramonto.

La santità di Papa Giovanni XXIII (Sotto il Monte-Bergamo, 25 novembre 1881; Città del Vaticano, 3 giugno 1963) la possiamo decifrare - spiritualmente e teologicamente - come l’incarnazione filiale e trasfigurata della «semplicità» e della «bontà» del Dio trinitario di Gesù Cristo. «La semplicità è un atteggiamento profondo della persona che segue i criteri più chiari alla luce di Dio. La semplicità si radica nella sincerità del cuore e si manifesta in opere buone che glorificano il Padre che è nei cieli» (E. De Cea). Additato, da intellettuali e storici di basso profilo etico, come figlio, sempliciotto e semplicista, di contadini non acculturati, Angelo Giuseppe Roncalli diventa, invece, Pastore universale della Chiesa di Gesù Cristo, con una «semplicità disarmante», il cui chiarore, volitivo e profetico – come, per esempio, l’indizione del Concilio Vaticano II (25 gennaio 1959) – è riconducibile, sul piano umanistico, alla «trasparenza dell’essere» e all’«essere della trasparenza».

La sua spontanea e amabile eloquenza nonché la sua lineare e fruttuosa opera magisteriale e morale sono gli effetti naturalmente soprannaturali delle «scintille multiple della grazia santificante», che illumina la scrittura della Parola e la sacralità della coscienza. Insieme alla «virtù della semplicità» - che predilige gli amici del Regno di Dio - la santità di papa Giovanni XXIII promana, altresì, dalla sua bontà, riflesso della bontà di Dio (E. Schillebeeckx): non è un caso, infatti, che dire «il Papa buono» e dire Giovanni XIII significhi dire la stessa persona. Ebbene, in Papa Roncalli «la virtù della bontà» assume delle connotazioni molto simili alla bontà di Dio, che, spesso, viene assimilata alle Sue qualità tipiche, come la misericordia, il perdono, la compassione, la pacificazione, la vicinanza e la Provvidenza. Il «cristiano buono» e il «Papa buono» appartengono, di conseguenza, alla «grammatica dell’amore pasquale» e alla «sintassi dell’eucaristia»: grammatica e sintassi che scaturiscono dalla “bontà eccedente” del Padre. La profondità della bontà di Giovanni XXIII gravita, quindi, attorno a una sfera che non ha nulla a che vedere col “buonismo populista ed eccentrico” degli esponenti più in vista dell’oligarchia economica e politica dei nostri tempi.

Qui, l’anima contemplativa e santificante della bontà di papa Roncalli altro non è che l’estensione a raggiera delle virtù che – oltre a quelle già segnalate – fanno capo all’accoglienza, all’affabilità, all’amorevolezza, all’ascolto, all’attenzione, all’autenticità, alla benevolenza e, soprattutto, alla sensibilità di «mettere al primo posto le esigenze degli altri», soprattutto delle «vite di scarto» (Z. Bauman). Una fine pedagogista contemporanea dice, con efficacia educativa e cristiana, che «la bontà è un cannocchiale che permette di vedere lontano: oltre le mille povertà dell’esperienza quotidiana, oltre un vedere presente giocato spesso in prospettiva strumentale, oltre la stessa ingratitudine di chi scambia un regale con qualcosa che gli è dovuto» (M. Pacucci).

La santità di papa Giovanni Paolo II (Wadowice, 18 maggio 1920; Città del Vaticano, 2 aprile 2005) è possibile inquadrarla, invece, lungo due prevalenti direttrici spirituali e teologiche: in papa Wojtyla spiccano le due virtù connesse all’«evangelizzazione» e alla «marianità popolare». In ordine al coraggio e all’audacia dell’evangelizzazione del kerigma (cioè, Gesù Cristo s’è incarnato per noi e per la nostra salvezza e il Padre, grazie allo Spirito Santo, lo ha risuscitato dai morti), in ventisette anni di pontificato, Giovanni Paolo II ha letteralmente “invaso”, più volte, tutti i continenti, posti ai quattro punti cardinali del Pianeta. Il mandato missionario di Gesù Cristo di «andare in tutto il mondo e portare il messaggio del Vangelo a tutti gli uomini» (Mc 16,5) viene assunto dal Papa polacco in modo particolare, come una specie di «consacrazione speciale alla missione» e, più in dettaglio, come una specie di «consacrazione all’azione evangelizzatrice»: azione necessitata dai fenomeni del secolarismo, del nichilismo e dell’indifferentismo, presenti nei Paesi ricchi, e dai fenomeni del fondamentalismo, del sincretismo e dell’esoterismo, presenti nei Paesi poveri.

Le tredici lettere encicliche di Giovanni Paolo II hanno tutte un’accentuata tonalità missionaria, derivante dall’urgenza della «nuova evangelizzazione» dei Paesi di antiche tradizioni cristiane e dalla non più rimandabile «prima evangelizzazione» dei Paesi che, a vario titolo, non conoscono, ancora, il Salvatore e il suo messaggio di verità, di giustizia, di libertà e di solidarietà.

Su questo terreno, la santità di papa Giovanni Paolo II è evidente e palpitante e va aldilà di ogni ragionevole dubbio, tant’è che lo scardinamento dei sistemi sociali ad economia collettivista e ad economia capitalista non è stato capace di fermarlo né con gli attentati, né con le intimidazioni. Noi siamo testimoni oculari di questa realtà coraggiosa (parresia) e audace di Wojtyla: a Loreto, nel 1985, in occasione del 2° Convegno nazionale delle Chiese che sono in Italia, egli dice queste testuali parole: «Sulla strada che, in Cristo, porta alla verità dell’uomo, la Chiesa non può essere fermata da nessuno. Ripeto, da nessuno». È chiaro che chi è in grado di proclamare queste parole è un «contemplativo itinerante», un «mistico vivente», un «obelisco fluorescente», la cui sequela Christi ha messo nel conto ogni eventualità, anche quella del martirio: a questo livello, non è, ancora una volta, un caso che il suo “modello umano” di credente è il francescano san Massimiliano Kolbe (1894-1941) che dona la sua vita ad Auschwitz al posto di un’altra persona condannata a morte. «Chiamato ad evangelizzare senza risparmiarsi neanche l’ultimo struggente respiro», papa Giovanni Paolo II evangelizza i giovani, riuniti da tutto il mondo, in piazza San Pietro, a Roma, fino alle ore 21.37 del 2 aprile 2005: una scena luminosa di santità vissuta sino all’incontro personale col Signore glorioso.

La «maternità popolare» è l’altra virtù pellegrina e missionaria di papa Wojtyla: su questo punto l’empatia spirituale e morale del Papa si manifesta soprattutto durante le Giornate mondiali della gioventù e durante gli incontri ufficiali su Maria e per Maria di Nazareth. L’enciclica Redemptoris mater e altre esortazioni apostoliche sulla Vergine attestano con lucidità che il Papa propone la figura della Madre di Dio come modello del «discepolato cristiano». Le sue argomentazioni, soprattutto nella predicazione ordinaria e durante i «moltissimi pellegrinaggi mariani», sono curvate soprattutto sulle virtù mariane: virtù semplici che tutti possono vivere e sperimentare. La semplicità della fede, l’umiltà verso il Padre, l’accortezza per il Figlio, la docilità nei confronti dello Spirito Santo, il lavoro casalingo, la maternità responsabile, la genitorialità esigente.

In sintesi, papa Giovanni Paolo II indica ai giovani e alla Chiesa «la via mariana per arrivare a Gesù». Egli dice che, per i cattolici, la santità è semplicemente la misura alta della vita cristiana ordinaria (Novo millennio ineunte, 31): si tratta, cioè, di vivere una vita in grazia, di vivere una vita nella storia, di vivere una vita nella storia che anticipa la gloria.

Tommaso Turi



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