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Benedetto XV il profeta cent'anni faMentre giustamente si canonizzano due grandi Pontefici che hanno segnato svolte epocali nella storia della Chiesa contemporanea e colpito a fondo il cuore e il pensiero di tutto il mondo, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, è doveroso ricordare con particolare intensità un altro Pontefice, Benedetto XV, specialmente oggi, nel centenario di quella Prima guerra mondiale di cui egli, in cinque sole parole, ha colto immediatamente, come nessun altro, il radicale, sconvolgente significato universale, l’apocalittica fine di un plurisecolare ordine di civiltà. Letteralmente cinque parole, compresa una semplice preposizione , che definiscono perfettamente quel sanguinoso terremoto: «Inutile strage» e «suicidio d’Europa». Forse nessuno è stato altrettanto capace di simili sintesi di un processo smisurato. Con l’aggettivo «inutile», Benedetto XV non intendeva certo dire che altre stragi possano essere utili, ma sottolineare non soltanto l’inumana tragedia bensì pure l’assoluta gratuità di quella carneficina, alla fine della quale infatti tutti i problemi che l’avevano provocata rimasero irrisolti e anzi ancor più acuti. In quella sua diagnosi, il Pontefice aveva ben pochi che la condividessero. Alcuni socialisti e anarchici pacifisti, mossi più da nobili principi e sentimenti umanitari che da un preciso giudizio storico. Quasi tutti auspicavano o almeno accettavano la guerra, illudendosi tra l’altro che fosse simile a quelle del passato, già di per sé sciagurate, e non potendo o non volendo immaginare le proporzioni del massacro che si stava preparando. Ognuno pensava di dare una sberla al proprio nemico più vicino, confidando in una rapida e vantaggiosa conclusione delle ostilità e non pensando che queste potessero assumere dimensioni mondiali. I nazionalisti di ogni Paese vagheggiavano vittorie che avrebbero accresciuto la loro potenza; molti liberali si attendevano la correzione di antiche ingiustizie che avevano favorito alcuni popoli a spese di altri. I comunisti speravano che la guerra provocasse la rivoluzione, cosa che avvenne ma in forme che ben presto negarono le idee di giustizia, di eguaglianza e di umanità che erano state alla base della rivoluzione. Molti democratici sognavano l’abbattimento di tutte le frontiere, la fine di regimi e sistemi autoritari, l’inizio di un dialogo fraterno fra i popoli. Dalla guerra, speravano molti nobili spiriti, sarebbe nato l’uomo nuovo, fratello di tutti gli altri. Il grande storico Adam Wandruszka mi raccontò che si chiamava Adam perché, quando il padre era partito per il fronte, sua madre era incinta e il padre le aveva detto, avviandosi a morire poco dopo, sul Carso, che, se fosse stato un maschio, avrebbe dovuto chiamarsi Adam, perché da quella guerra, che sarebbe stata l’ultima delle guerre, sarebbe nato il nuovo Adamo, in un mondo ritornato Eden. Gli inauditi massacri di Verdun, del Carso, di Leopoli («tomba di popoli») lasciarono alla fine un’Europa non solo devastata, ma avvelenata dai vecchi problemi ancor più irrisolti. L’Europa di Mussolini, di Hitler, di Stalin inevitabilmente avviata a una Seconda guerra mondiale o meglio a un secondo tempo dell’unica Guerra Mondiale, che ha visto pure un terzo tempo, ancorché combattuto in corpore vili in terre lontane da noi, con la “guerra fredda” (45 milioni di morti fra il 1945 e il 1989) e speriamo non ne veda un quarto, peraltro tutt’altro che escluso e forse già serpeggiante. Come Giovanni Paolo II, genialmente ancorché vanamente oppostosi alla guerra contro l’Islam, Benedetto XV ha avuto grandi intuizioni di politica mondiale. Lo è pure l’altra frase, «suicidio d’Europa». Sino al conflitto del 1914-1918, l’Europa, da secoli, era stata il centro del potere del mondo, nel bene e nel male. Con la Prima guerra mondiale, il suo impero è finito. Altre potenze, a Occidente e ad Oriente, hanno iniziato, e non certo ancora finito, a contendersi il dominio del mondo. L’emorragia dell’Europa, materiale e spirituale, ha permesso a tanti popoli extraeuropei sino allora soggiogati, sfruttati ed oppressi di liberarsi e di iniziare il cammino verso la libertà, di spezzare inique catene. Chi crede con Hegel nello Spirito del Mondo che si realizza nella Storia, potrebbe ritenere che la Prima guerra mondiale sia stata un male necessario, un prezzo pur durissimo per la successiva, e ancor oggi in gran parte solo potenziale e futuribile, liberazione di milioni e milioni di uomini sino allora neppure considerati uomini a pieno titolo. Anche se fosse così, quella guerra resterebbe, come disse allora un inascoltato vescovo di Roma, «un suicidio d’Europa». Claudio Magris
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