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Migranti al limite cosa si può fareSono stati oltre 20 mila i migranti soccorsi dal 18 ottobre 2013 a oggi da «Mare Nostrum», l'operazione militare e umanitaria nel Mar Mediterraneo meridionale. Nell’operazione, che ha un costo mensile che va dai sei ai nove milioni di euro, sono impiegati il personale e i mezzi navali e aerei della marina, dell’aeronautica, dei carabinieri, della Guardia di finanza, della Guardia gostiera, del personale del ministero dell'Interno e della Polizia imbarcato sulle unità della marina e di tutti i corpi dello Stato che, a vario titolo, concorrono al controllo dei flussi migratori via mare. Ma i barconi continuano ad arrivare. E i centri di accoglienza sono ormai al limite in tutto il Sud Italia. Così, torna a riaccendersi la polemica politica. Le opposizioni protestano, con in testa la Lega. «Emergenza sbarchi in Sicilia, 1.219 arrivi in 24 ore. La proposta della Lega in Parlamento: sospendere subito l’operazione “Mare Nostrum”, 300 mila euro al giorno spesi dagli italiani per aiutare gli scafisti e incentivare l'invasione», ha scritto su Facebook il segretario Matteo Salvini. Una frase simile a quella scritta sempre sullo stesso social network dal presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni: «Il governo deve fermare l’operazione “Mare Nostrum”, è ormai un irresistibile richiamo per i clandestini». Aiutare i migranti, ma non solo ad arrivare sani salvi, anche a costruirsi un futuro altrove, è invece l’auspicio di Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa. «Le persone in mare vanno salvate, e su questo non si può discutere. Da sempre sostengo che “Mare Nostrum” non sia sufficiente e che l’Europa dovrebbe fare di più affinché la richiesta di asilo non si debba porre attraversando a nuoto o sui barconi un mare che può uccidere. Finché non ci sarà altro modo di chiedere asilo, di sicuro non potremo lasciarli morire», ha detto. Dopotutto, il nostro Paese è già stato condannato dalla Corte europea per le politiche dei respingimenti. Ma come mai ancora non ci sono stati interventi concreti dall’Europa? E cosa si può fare per ridurre gli sbarchi? L’abbiamo chiesto a Elena Besozzi, docente di Sociologia interculturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Gli immigrati che sbarcano sulle coste italiane sono sempre di più. Come si può arginare il fenomeno? Bisogna affrontare il problema a monte. È necessario innanzitutto mettersi d’accordo con i Paesi di provenienza e decidere quote o altri sistemi di contenimento. Spesso, infatti, le persone che arrivano in Italia non sono identificabili. E poi i patti devono essere rispettati. Con la Libia, per esempio, è stato siglato un accordo, ma è stato del tutto disatteso. Non dimentichiamo che dietro agli sbarchi c’è un giro d’affari notevole per i Paesi di partenza. Le persone che emigrano pagano per partire, anche tre o quattro volte. Il fenomeno, poi, non riguarda solo Lampedusa, ma anche la Sardegna, le altre isole e le coste meridionali. Prestare soccorso ai barconi è importante, ma poi bisogna intervenire sull’accoglienza e c’è bisogno dell’aiuto dell’Europa. Però ancora non è stato fatto nulla. Come mai? Potrà esserci qualche novità con il semestre italiano di presidenza europea? È fondamentale un’azione concertata con tutti gli altri Stati europei e in tutto il bacino del Mediterraneo. Ma ci vuole tempo per organizzare interventi mirati. Proprio per questo il semestre italiano sarà un’occasione importante per portare gli sguardi dell’Europa e del mondo sull’Italia, che è particolarmente sensibile a questo problema, e sul Mediterraneo. La Spagna, per esempio, ha creato una barriera nello Stretto di Gibilterra e misure forti di polizia. Forse queste misure potrebbero essere condivise anche dagli altri Paesi europei. Quello che è certo è che non serve alzare la voce, come si è visto nelle scorse settimane in Parlamento. Purtroppo i provvedimenti che coinvolgono più nazioni, e in particolare la diplomazia, richiedono tempo e pazienza. Non devono solo essere decisi. Una volta effettivi, gli accordi vanno rispettati da entrambe le parti. I problemi del controllo dell’immigrazione sono sempre complessi. La stessa situazione si sta presentando anche al confine tra Stati Uniti e Messico. Quello che serve è una legislazione chiara e un’applicazione severa. I centri di accoglienza sono davvero una soluzione? Lampedusa, coste pugliesi, calabresi e siciliane: ormai gli sbarchi coinvolgono tutte le regioni meridionali. I centri di accoglienza scoppiano perché ospitano il doppio della loro capienza. Bisogna bloccare gli arrivi e soprattutto velocizzare le pratiche burocratiche per il riconoscimento dell’asilo. Cosa si dovrebbe fare quando le persone sbarcano in Italia? Chi arriva deve essere trattato secondo principi umani, sanciti dal diritto internazionale. Nel nostro Paese non è aggiornata la situazione legislativa sui rifugiati politici. Non viene fatta distinzione, cioè, tra le vittime e chi arriva per altri traffici illegali. Per essere regolarizzati ci sono poi iter molto lunghi, dovuti anche al fatto che continua ad essere in vigore la legge Bossi Fini. Ci sono troppe pratiche burocratiche e questo aumenta il numero di coloro che rimangono illegalmente sul nostro territorio. Un passo avanti è stato fatto con la cancellazione del reato di clandestinità. Ma non basta: le statistiche, infatti, confermano che la criminalità è diffusa soprattutto tra i clandestini. Sembra quasi che i discorsi politici sull’immigrazione vengano comunque a dividere la popolazione in due: noi e loro. Questo è un modo sbagliato di vedere la questione. È una prospettiva che cerca di risolverla in chiave elettorale e, a mio parere, è anche poco lungimirante. Ormai l’immigrazione è un fatto da cui non si può tornare indietro. Autoritarismo, sanzioni, emergenza sono parole che non possono esistere in una società multietnica in cui tutti i cittadini hanno pari dignità e contribuiscono secondo le loro capacità al benessere comune. Come si può, invece, favorire l’integrazione? L’integrazione avviene attraverso il riconoscimento dei diritti umani fondamentali. Lavoro, servizi di base, interventi di carattere sociale sono il primo passo per migliorare l’inserimento degli stranieri all’interno della comunità. Rispondere all’appartenenza giuridica, infatti, coinvolge la dimensione sociale e culturale dell’individuo. Non possiamo dire agli immigrati che ci vanno bene a livello economico ma non a livello sociale. Questo dibattito in Italia si è aperto circa vent’anni fa. Adesso è arrivato finalmente il momento di superarlo. Altrimenti si verificheranno problemi insormontabili. Si tratta di uno scoglio culturale nuovo per il nostro Paese, perché da noi non ci sono mai state discriminazioni, siamo sempre stati considerati come una popolazione accogliente. In questo periodo, invece, a causa anche della crisi economica, che porta molti italiani a un senso di paura, stiamo diventando sempre più un Paese sotto assedio, in cui si chiedono interventi di polizia e si ha paura a uscire di casa. A mio avviso, poi, sarebbe importante sottolineare l’importanza che gli stranieri possono avere per l’Italia di oggi e cercare un dialogo aperto, agevolando le persone che hanno un lavoro e che vivono in Italia regolarmente. Ma anche creando nelle scuole, nelle Università e negli altri luoghi educativi una cultura dell’accoglienza. Cristina Conti
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