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Nahum ebreo erranteDon Giuseppe Costa, il responsabile della Libreria editrice vaticana, che ha studiato giornalismo e comunicazione in America, ha diretto il Bollettino salesiano e la Sei (Società editrice internazionale), ha insegnato all’Università pontificia, alla Lumsa, all’Università di Catania e poi è stato nominato da Benedetto XVI consultore del Pontificio consiglio delle Comunicazioni sociali, non si è mai stancato di seminare fraternità e cultura, di porre a confronto spiritualità e ragione, imboccando strade diverse per parlare di Dio, scovando tutti gli indizi di una ricerca di senso universale nel giornalismo e nella letteratura. Entrare nella sua scia, seppure per poche ore, è come entrare nella corrente di un vento che rischiara l’aria e i pensieri. Quando gli ho chiesto se poteva trovare un attimo da dedicarmi per parlare dell’eccezionale presenza della Santa Sede al Salone del libro di Torino, mi ha risposto che per la gioia si trova sempre spazio. Era di quella natura anche il sorriso con cui mi è venuto incontro alla Porta Sant’Anna, l’accesso più vicino alla Lev, che quest’anno porterà al Salone il 70 per cento dei suoi 3.600 titoli, altrettanti “mattoni” pronti a ricostruire il cupolone di San Pietro in uno stand che l’architetto Roberto Pulitani ha progettato rispettando la pianta originaria della basilica disegnata da Donato Bramante. La letteratura, le arti, l’educazione al bello, secondo la sua concezione, hanno sempre uno sfondo morale e la sapienza teologica, il carisma della bontà, la semplicità cristallina del sapere comune a tutti gli uomini, mirabilmente fusi per stile e sostanza nella figura di due Pontefici, rappresentano la sola famiglia capace di avvicinare uomini di diversa appartenenza formativa e culturale alla creazione. Con don Costa si può parlare di tutto, ma quei cento metri di scaffalature che per la prima volta avvolgeranno la Santa Sede in un Salone del libro hanno una valenza speciale, come se volessero testimoniare che la parola degli artisti, degli scrittori, degli studiosi diventa comunione, armonia, musica, bellezza, creazione. Il cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio consiglio della cultura e nominato a sua volta ospite d'onore e rappresentante della Santa Sede, coordinatore delle iniziative per il Salone, ha espresso in ogni sua pagina questa convinzione, che affonda le sue radici in un passato «che si deve ancora alimentare, nutrire, una bellezza capace di manifestarsi in tante forme e modi». Questo vale per tutte le arti, comprese quelle della parola, che dobbiamo custodire per «impedire che questa diventi chiacchiera». E basta pensare al grande codice della Bibbia, un alfabeto colorato nel quale hanno intinto pennini e pennelli i grandi artisti della storia, che trovavano lì «il loro lessico iconografico, il loro albo di immagini e la stessa cultura letteraria». La domanda che rivolgo a don Costa, allora, è anche quella della speranza in una modernità che sappia rinnovarsi affondando le sue radici nella sacralità delle sue origini. Don Costa, il Vaticano come ospite d’onore al Salone del libro rappresenta un altro indizio di rinnovamento del pontificato di papa Benedetto XVI prima e di papa Francesco dopo. Questa presenza di oggi secondo lei restituisce alla cultura del libro una funzione che travalica le pubblicazioni per le pratiche religiose di stretta osservanza? L’aspetto centrale di questa presenza dell’editoria vaticana al Salone del libro di Torino è il segno di un momento di maturazione che dovrebbe far nascere a livello mondiale un nuovo approccio all’editoria religiosa. Oggi in quest’ambito è maturato tutto un linguaggio, un know how tecnologico, organizzativo estremamente interessante, tanto che io pensavo che papa Benedetto XVI potesse anche essere candidato a un Nobel per la letteratura, non tanto per la teologia o per la pace, ma per la capacità di trasformare in parola scritta l’esperienza spirituale. Avevo preso dei contatti con altre Università a livello mondiale, ma poi non è partita l’operazione, che aveva origine da questo presupposto, che il linguaggio religioso non è solo un linguaggio settoriale e specifico, ma si inserisce nell’ambito di tutta la letteratura, per cui non è più uno spaccato che interessa i frati o i monaci e gli addetti ai lavori, ma diventa un’apertura al nuovo, all’umanesimo in quanto tale. Ora, la presenza di questi libri all’interno del Salone ha questo significato: una presenza che è maturata nel momento in cui Benedetto XVI pubblicava la sua opera omnia, il suo «Gesù di Nazareth» (29 edizioni in 33 lingue diverse, 5 milioni di copie in un solo anno). Il suo grande impegno in questo settore era il riconoscimento dell’importanza di questo aspetto culturale. Il successo editoriale di Benedetto XVI è stato quindi decisivo per questa svolta culturale all’interno dell’editoria laica? Parecchi si sono accorti che riconoscere una dignità letteraria all’editoria religiosa è estremamente importante, perché altrimenti resterebbe circoscritta in una specie di ghetto, come se il libro religioso fosse riservato solo agli addetti ai lavori. In passato, infatti, la tradizione religiosa è stata considerata come produzione editoriale d’ambito religioso e, dunque, non appartenente alla Cultura. La novità che sarà testimoniata al Salone sta proprio nel superamento di questa concezione. Certamente papa Francesco ha già avviato questa apertura al dialogo, anche in direzione di iniziative come quella del Salone di Torino, nella speranza che gli stessi cattolici si rendano conto che le pubblicazioni per le pratiche religiose sono solo un aspetto di un’editoria che punta soprattutto sui linguaggi che ciascun pensatore ha impresso nei libri. Quali saranno al Salone i momenti più significativi per testimoniare questo nuovo corso che chiama in gioco sia l’editoria religiosa che quella laica? Il dialogo tra il cardinale Gianfranco Ravasi e Claudio Magris, nuovo momento della fortunata serie del Cortile dei Gentili, in cui si confrontano credenti e non credenti. Il colloquio del segretario di Stato cardinale Pietro Parolin con padre Antonio Spadaro, direttore di «La Civiltà Cattolica», e il cardinale Ravasi, che prende avvio dalle recenti pubblicazioni di papa Francesco per riflettere sull'intensità del messaggio papale e delle speranze che suscita. Il convegno internazionale «Editoria religiosa nel mondo», a cura della Libreria editrice vaticana, coordinato da Giuliano Vigini, in cui intervengono Gregory Erlandson (Usa), Enrique Mota (Portogallo), Albrecht Weiland (Germania), Gianni Cappelletto (Italia) e poi gli editori che faranno una overview sulla cultura di tutto il mondo, che comprende religione e arte. Nel salutarmi, don Costa mi porge un libro in cui ha raccolto «immagini e pensieri per l’anima» di «Papa Francesco» (Edizioni White Star), che ha chiesto di puntare «sull’essenziale, sul necessario» e, dunque sul linguaggio, che quando s’imprime sulla carta stampata diventa uno specchio nel quale riconoscersi. Nel suo caso, come era alle origini, è una forma che diventa messaggio d’amore «rivolto a tutti, ma soprattutto a coloro che hanno perso il senso della vita». Giovanna Ioli
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