Il tesoro Consolata

Torino celebra i 300 anni dalla proclamazione della Consolata a patrona della città e il santuario più amato dai torinesi, luogo di fede e di preghiera, meta privilegiata di pellegrinaggi, scrigno d’arte e bellezza, racconta la sua lunga storia in una piccola, ma preziosa mostra appena inaugurata e aperta fino al 7 giugno. Un’occasione unica per scoprire un luogo che, come ogni santuario, vive dell’incontro tra il sacro e il profano, il pubblico e il privato, la grande Storia e le piccole storie quotidiane. Un luogo venerato e amato nei secoli come centro di spiritualità e devozione popolare, sempre a fianco dei torinesi e della città nei momenti di difficoltà, lutto e dolore. Ma anche nella gioia ritrovata, nella paura superata, nella speranza riconquistata. Un santuario «crocevia» di molte strade, ponte tra terra e cielo, tra le ombre delle ordinarie preoccupazioni e la luce delle grazie ricevute.

E, infatti, basta varcare il pronao corinzio e alzare gli occhi alle migliaia di ex voto che ornano le pareti del santuario, per sentire riecheggiare le richieste di aiuto e le lacrime, le parole di devozione e di ringraziamento che per trecento anni sono saliti da quel tempio verso la Madonna Consolatrice. Quell’«Icona della Consolata» (giunta da Roma grazie al cardinale Domenico della Rovere verso la fine del XV secolo) che splendida nella sua cornice settecentesca a cherubino spicca in fondo alla chiesa sul ricco altare maggiore disegnato dallo Juvarra con le sue quattro svelte colonne corinzie. La tradizione collega il dipinto a un episodio centrale nella vita del santuario, anche se non documentato storicamente: la scoperta dell’icona ad opera del Cieco di Briançon, che riacquistò la vista nel momento del suo ritrovamento, il 20 giugno 1104. Per questo ancor oggi si celebra, nello stesso giorno, la festa della Consolata.

La mostra, curata dall’associazione «Amici della Consolata» (oltre cento volontari tra uomini e donne che dal 2010 con il loro lavoro e tanta dedizione sono diventati a tutti gli effetti “l’anima del Santuario”) si snoda negli ambienti al primo piano dell’antico monastero benedettino e cistercense, divenuto poi Convitto ecclesiale: lo straordinario corridoio degli ex voto, il lungo scalone dei monaci, la preziosa saletta dei reliquiari, l’ex cappella del monastero. Un’occasione da non perdere per visitare il cuore del santuario, entrare lì dove secoli fa vivevano i monaci, salire le stesse ripide scale in pietra, ammirare le piccole porte di legno delle «camere degli ospiti», scoprire la cappella privata dell’abate che un tempo comunicava con il suo alloggio privato e che oggi è protetta da una cancellata nera. Le decorazioni, spiega una volontaria dell’associazione che fa da guida all’inizio della mostra, «sono dell’Ottocento, ma nascondono gli affreschi originali del XVII-XVIII secolo, ancora visibili nella volta del cupolino… Anche la statua della Madonna è in attesa di restauro». Non basta: il muro intonacato lungo lo scalone «nasconde in realtà le antiche mura del campanile», straordinario esempio di romanico a Torino, con il suo ordine sovrapposto di bifore, trifore e bifore doppie. La salita, 150 gradini in tutto, regala un panorama stupendo sui tetti e i monumenti di Torino, dalla Mole alla cappella del Guarini.

Apre la mostra l’ordinanza comunale del 1714, donata dall’Archivio di Stato, con cui si proclamava la Vergine Maria «patrona della città». Fu in particolare il beato Sebastiano Valfrè nei difficili giorni dell’assedio francese, otto anni prima, ad affidare Torino alla Consolata. Una fede testimoniata oltre che dal continuo afflusso di fedeli al santuario, anche dall’abitudine di affiggere numerose riproduzioni della Vergine alle porte delle case per difenderle dagli attacchi, mentre gli stessi monaci cistercensi di san Bernardo, secondo alcuni cronisti, si legge nel libro «La Consolata, la città, la sua gente» curato da Lino Ferracin, con introduzione del rettore del santuario mons. Piero Delbosco, «esponevano un’immagine della Madonna sulla cupola della chiesa certi che l’avrebbe protetta dagli ordigni nemici». La liberazione della città avvenne il 7 settembre 1706, proprio alla vigilia della festa della Natività della Vergine e unanime fu la convinzione della sua intercessione per il felice esito della vicenda bellica apparsa inizialmente disperata.

A raccontare la devozione dei torinesi alla Vergine ci sono inoltre documenti, paramenti, oggetti sacri e una sezione fotografica con gli scatti realizzati da quanti hanno risposto all’invito lanciato via web per fotografare piloni votivi, cappelle e affreschi dedicati al culto della Consolata. Oltre ai disegni, davvero originali, dei ragazzi delle scuole che hanno partecipato alla mostra: l’Istituto Agnelli, il Sociale, il Santo Natale e la Scuola San Michele. Da non perdere un ritratto del beato Valfrè dipinto da Amedeo Augero, le prime edizioni della storia della Consolata di Domenico Arcourt (1704-1705) e una preziosa legatura di velluto rosso ricamata con fili d’oro e d’argento, dono di Maria Cristina di Francia, che attesta il legame dei Savoia con la Consolata già dalla metà del XVII secolo. E, ancora, ostensori, croci d’altare e pissidi d’argento accanto a ex voto con episodi della Prima e Seconda guerra mondiale, spade appartenute ad ufficiali dei Carabinieri, spalline ed elmi da colonnello. Straordinari il piviale in raso di seta ricamata con fili d’oro e d’argento con monogramma della Consolata (XVIII secolo) e una pianeta indossata da san Francesco di Sales, in raso di seta broccato, con lo stemma del cardinale Caetani di Sermoneta (XVI secolo).

Tanti i santi e i beati che hanno nutrito una devozione profonda per la Consolata, come racconta bene il libro di Ferracin. Da san Carlo Borromeo, che nel 1578 «da Milano giunse pellegrino a Torino per venerare la Sindone e sostò in preghiera davanti all’immagine della Vergine», al citato san Francesco di Sales, che in visita a Torino rifiutò il sontuoso alloggio offerto dai Reali per dormire in una piccola cella del convento dei cistercensi («Sono qui a’ piedi della Madre di tutte le consolazioni, ove potrei stare meglio?», da una piccola finestra della cella il vescovo di Ginevra poteva scorgere l’interno della chiesa).

Ma sono soprattutto i «santi torinesi della carità» a eleggere il Santuario come uno dei principali riferimenti spirituali nella Torino dell’Ottocento che vedeva nascere le prime industrie e assisteva impotente alle prime grandi migrazioni di forza lavoro dalle campagne. Dal Cottolengo (1786-1842) fondatore della Piccola casa della Divina provvidenza, «che ogni sabato mandava alle funzioni in santuario parte dei ricoverati e prima delle lezioni i ragazzi della scuola accompagnati dalle suore», al Cafasso (1811-1860) la cui devozione per la Madonna fu «grande, vivissima, filiale». Il santuario conserva l’urna con le sue spoglie mortali e un’iscrizione incisa sul marmo, alla base di una colonna vicina all’altare della Madonna, indica il luogo in cui amava raccogliersi in preghiera.

Da don Bosco (1815-1888), il santo dei giovani, fondatore della grande famiglia salesiana, che fin da primi tempi di apostolato per le strade della città portava i suoi ragazzi a pregare davanti alla Madonna della Consolata, al Murialdo (1828-1900), che «alla Consolata era solito ricorrere per tutte le occorrenze della Congregazione di san Giuseppe e del Collegio degli artigianelli», fino al beato Giuseppe Allamano dal 1880, e per 46 anni, rettore della Santuario (quarant’anni dopo lo zio don Cafasso), che sotto la sua direzione conobbe un grande sviluppo: nel 1901 fondò l’Istituto della Consolata per le missioni estere e nel 1899 affidò all’architetto Crespi l’ampliamento del santuario, che assunse nel 1904 la fisionomia attuale. Nel 1906 Pio X elevò la Consolata alla dignità di Basilica pontificia.

Una lunga storia quella che lega la Consolata alla città. Ma la devozione alla Vergine, ci ricorda la mostra con i suoi cuori votivi e le sue cornici quadrate, ovali e rettangolari che contengono i più svariati ex voto, è stata ed è soprattutto popolare, a indicare una volontà di rapporto con Dio, radicata in chi è abituato a riferire il «tempo» con il «tempio», ossia la vita al centro della vita: Dio in mezzo a noi. Come amava ripetere don Giuseppe Pollano, teologo e scrittore: «La Consolata è un titolo carico di fascino: altissimo in Dio e vicinissimo a noi, ponte di significati estremi, dall’abisso del sublime all’abisso della miseria», senza interruzioni.

La mostra è aperta fino al 7 giugno nel Convitto del Santuario (via Maria Adelaide 2, primo piano) a Torino. Orario: dal venerdì alla domenica, dalle 10 alle 18. Sabato 7 giugno, fino alle 22. Visite su prenotazione (www.laconsolata.org) accompagnate dall’associazione «Amici della Consolata».

Cristina MAURO



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