Due papi, due santi per il mondo

Due nuovi santi per la Chiesa cattolica. Due nuovi santi per i credenti. Due nuovi santi per i cristiani. Due nuovi santi per il mondo. Ma c’era bisogno? Sì, c’era bisogno, perché i due nuovi santi, iscritti ora negli annali, invocati nelle litanie, celebrati nelle feste, sono Angelo Giuseppe Roncalli e Karol Jozef Wojtyla, due papi a cavallo del secondo e del terzo Millennio dell’era cristiana, lo scorcio del Novecento, il travagliato “secolo breve”, e gli inizi del Duemila, pronosticato felice. Più propriamente sono Giovanni XXIII, il bergamasco di famiglia contadina, e Giovanni Paolo II, l’operaio polacco.

Due giganti della storia, due benefattori dell’umanità, due campioni di coraggio, testimoni della fede nella letizia e nel dolore, in gioventù e in vecchiaia, nella vigoria e nella malattia, partecipata e non nascosta, e la morte vissuta come un trapasso comunitario, tra le preghiere e il pianto. «Vi ho chiamati e siete venuti», disse Wojtyla riferendosi ai «suoi» giovani.  Come gli antichi patriarchi li voleva attorno al letto per benedirli ancora una volta. Di Roncalli venivano riferite le invocazioni, i pensieri, gli auspici che esprimeva nel suo letto di morte e il direttore dell’«Osservatore Romano», Raimondo Manzini, che venne ad annunciarla ai giornalisti, non riuscì a trattenere le lacrime. Due Papi amati. Ecco perché sono santi. Perché amati, certo, ma anche e soprattutto perché hanno amato. Hanno amato l’umanità, senza distinzione di fedi, di razze, di colore.

L’umanità in quanto tutti figli di Dio. Hanno aperto le vie del dialogo tra religioni e popoli, e hanno aperto i confini tra gli Stati. Pochi fatti che si rievocano nelle pagine seguenti di questo giornale, ma che sono ormai scolpiti nelle cronache e nei libri di storia, oltre che essere impressi nella memoria delle generazioni e da queste trasmesse ai più giovani. Sono gli stessi elementi rievocati nella sintesi della loro vita nella domenica gloriosa, in piazza San Pietro, davanti a quelle 200 mila persone che possono trovare posto, mentre migliaia (nella sola Roma fino a 5 milioni) si pongono davanti ai teleschermi allestiti in molti punti della città, in luoghi strategici, come il Circo Massimo, Piazza del Popolo, gli stadi o davanti agli schermi televisivi in ogni parte del globo.

Pellegrini da ogni angolo d’Italia, soprattutto da Bergamo, Venezia, ma anche da Parigi, dalla Bulgaria, dalla Turchia, quelle città e nazioni che Roncalli, come nunzio apostolico e come Pastore ha percorso, dispensando saggezza e amore, aiutando i poveri, gli oppressi, salvando chi era in pericolo a causa della sua religione, come gli ebrei. E poi, da Papa, ogni sua decisione è apparsa come una rivoluzione, dall’assunzione del nome, che cancella quella di un omonimo anti-papa, alla decisione di indire il Concilio ecumenico contro ogni scetticismo e ogni dubbio. E la liberazione del cardinale Josyf Slipiy dalle carceri sovietiche, l’ostpolitik della Chiesa, l’udienza al genero di Kruscev. E, capolavoro dei capolavori, l’azione per fermare la terza guerra mondiale che stava per scoppiare da Cuba con le navi russe in arrivo e gli aerei statunitensi pronti a decollare. Tutto impresso in un’enciclica che fa epoca e impressiona fin dal solo titolo, Pacem in terris, cioè nelle «terre», ovunque.

E poi venne Wojtyla, un prete polacco, un uomo chiamato da lontano, dall’interno di quella cortina di ferro, dove i cattolici sopravvivevano clandestini, tra persecuzioni e prigioni. Un Papa che ha coniato il suo grido di battaglia in «Non abbiate paura», che ha portato il messaggio del Vangelo dappertutto, che ha fatto crollare il Muro di Berlino e sferzato la mafia, che ha fatto dei giovani un manipolo di entusiasti, di discepoli, di apostoli.

Due santi. «Subito», come gridò il popolo. Anche senza i miracoli, seppure i miracoli in realtà ci sono stati. Ma un miracolo sono loro stessi, con la loro vita, da Papi e ancora prima. Così gli esperti in conferenza stampa al Vaticano e nei convegni rispondono al «perché santi» e scrittori, saggisti, storici, cineasti, poeti, cantanti, attori, mimi, ballerini, narrano la vita di questi due santi, san Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II, mentre i loro vessilli salgono sulla facciata della Basilica di San Pietro a perenne memoria e a onore e gloria di Dio, per un insegnamento che non verrà dimenticato, per la loro azione per un mondo più giusto e soprattutto senza guerra, senza guerre, senza odio.

Un messaggio che oggi è raccolto da un altro Papa, anch’egli venuto da lontano, anzi «dai confini del mondo», papa Jorge Mario Bergoglio, che in questo stesso contesto in cui proclama i due nuovi Santi rinnova il pressante per la pace, sul quale ha martellato senza interruzione in tutti i riti della Settimana santa, giorni gloriosi come quello di Pasqua e delle Palme, o suggestivi, significativi, dolorosi, come quelli del Giovedì e Venerdì santo. Papa Francesco eleva il grido «Cristo è risorto». Lo dice pure in greco: Cristòs anésti. Alithò sanésti. È risorto. Veramente è risorto! Perché quest’anno la Pasqua viene celebrata con gli ortodossi e gli ebrei.

Nel discorso al termine della solenne liturgia in piazza San Pietro, Francesco dice: «Risuona nella Chiesa sparsa in tutto il mondo l’annuncio dell’angelo alle donne: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto… Venite, guardate il luogo dove era stato deposto». Questo è il culmine del Vangelo, è la Buona notizia per eccellenza: Gesù, il crocifisso, è risorto! Questo avvenimento è alla base della nostra fede e della nostra speranza: se Cristo non fosse risorto, il cristianesimo perderebbe il suo valore; tutta la missione della Chiesa esaurirebbe la sua spinta, perché è da lì che è partita e che sempre riparte.

Il messaggio che i cristiani portano al mondo è questo: Gesù, l’amore incarnato, è morto sulla croce per i nostri peccati, ma Dio padre lo ha risuscitato e lo ha fatto Signore della vita e della morte. In Gesù, l’amore ha vinto sull’odio, la misericordia sul peccato, il bene sul male, la verità sulla menzogna, la vita sulla morte. Per questo noi diciamo a tutti: «Venite e vedete!». In ogni situazione umana, segnata dalla fragilità, dal peccato e dalla morte, la Buona notizia non è soltanto una parola, ma è una «testimonianza di amore gratuito e fedele»: è uscire da sé per andare incontro all’altro, è stare vicino a chi è ferito dalla vita, è condividere con chi manca del necessario, è rimanere accanto a chi è malato o vecchio o escluso…

Continua Francesco con un’invocazione contro i mali del mondo: «Aiutaci a sconfiggere la piaga della fame, aggravata dai conflitti e dagli immensi sprechi di cui spesso siamo complici. Rendici capaci di proteggere gli indifesi, soprattutto i bambini, le donne e gli anziani, a volte fatti oggetto di sfruttamento e di abbandono. Fa’ che possiamo curare i fratelli colpiti dall’epidemia di ebola in Guinea Conakry, Sierra Leone e Liberia. Consola quanti oggi non possono celebrare la Pasqua con i propri cari perché strappati ingiustamente ai loro affetti, come le numerose persone, sacerdoti e laici, che in diverse parti del mondo sono state sequestrate. Conforta coloro che hanno lasciato le proprie terre per migrare in luoghi dove poter sperare in un futuro migliore e, non di rado, professare liberamente la propria fede. Ti preghiamo, Gesù glorioso, fa’ cessare ogni guerra. Ti supplichiamo, in particolare, per la Siria, perché quanti soffrono le conseguenze del conflitto possano ricevere i necessari aiuti umanitari e le parti in causa non usino più la forza per seminare morte, soprattutto contro la popolazione inerme, ma abbiano l’audacia di negoziare la pace, ormai da troppo tempo attesa».

Francesco ha infine ricordato le vittime della violenza in Iraq, gli scontri nella Repubblica centroafricana, gli attentati terroristici in Nigeria e Sud Sudan. Poi ha concluso ricordando l’Ucraina: «Per la tua Risurrezione, che quest’anno celebriamo insieme con le Chiese che seguono il calendario giuliano, ti preghiamo di illuminare e ispirare iniziative di pacificazione in Ucraina, perché tutte le parti interessate, sostenute dalla Comunità internazionale, intraprendano ogni sforzo per impedire la violenza e costruire, in uno spirito di unità e di dialogo, il futuro del Paese».

Antonio Sassone



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