Non solo "Papa buono", ma affascinato dall'arte

Giovanni XXIII è per tutti il «Papa buono», per chi lo conosceva bene è sempre stato un Papa santo, amante della cultura e dell’arte. Ora il suo pronipote, Marco Roncalli (suo nonno, Giuseppe, era il più giovane dei fratelli del Papa), storico della Chiesa e uno dei massimi biografi del Pontefice, rilegge la vita del Papa nel libro «Papa Giovanni. Il Santo» (San Paolo, 2014), nel quale svela «non solo la sua esperienza di santità, ma anche il valore universale con cui l’ha declinata». Lo abbiamo intervistato.

Il volto di Giovanni XXIII è un volto amato, il volto di un uomo considerato santo da sempre. Quale fu il primo tributo dell’arte alla sua santità?

Come ricordo nel mio libro, lo scultore Giacomo Manzù fissa gli ultimi lineamenti del viso di papa Giovanni XXIII aiutato da un nipote del Pontefice. Essi sono eternati nel bronzo della «maschera della morte», ma mostrano il volto di un “giusto” che riposa. Per tanti si è consumato quello che la tradizione cristiana ritiene il transito di un Santo.

Uno degli aspetti che merita di essere indagato è la passione di Roncalli nei confronti dell’arte e della cultura…

La complessità della persona di Angelo Roncalli è tale che non possiamo conoscere quale fu realmente la sua cultura storica e umanistica. Ha avuto sempre una grande sensibilità per l’arte, e aveva una concezione sua del bello e della bellezza artistica. Se si leggono testi sulla figura di Roncalli si nota che questo tema è stato messo in secondo piano e trascurato perché lontano dal cliché di Papa «buono», proveniente dalla realtà «contadina». L’arte e la cultura hanno invece fatto parte del suo discorso di fede, e questo elemento è da mettere in evidenza.

Giovanni XXIII, come già don Angelo Roncalli, ha molto amato l’arte sacra, ma anche l’arte in generale?

Tra i tanti interessi culturali di Roncalli, soprattutto per la storia, vi era anche una certa predilezione per l’arte. Roncalli ha guardato l’arte come mezzo per educare alla fede, ed è stato consapevole di una bellezza espressa lungo venti secoli di cristianesimo, attraverso affreschi, pitture, mosaici, arazzi, sculture e soluzioni architettoniche. Non dimentichiamo che anche Roncalli è stato «figlio del suo tempo» e che indubbiamente il suo rapporto con l’arte nasce in base alla sua particolare conoscenza del clima culturale dell’epoca. Per lui l’arte è legata al suo rapporto con la liturgia, con la fede.

Nel rapporto di Roncalli con l’arte e con la cultura in generale come ha inciso la sua formazione in un ambiente culturalmente ricco come quello della Bergamo Alta e del suo Seminario?

In una città e in un seminario in cui si respirava un’aria intrisa di ricchezza culturale come quella di Bergamo vi era l’abitudine di fare qualche passeggiata e ruotare attorno ai grandi gioielli artistici che tutt’oggi possiamo ammirare: la cappella Colleoni, la chiesa di Santa Maria Maggiore, il duomo. I tesori artistici e i monumentali edifici della sua Bergamo lo attirano, e sin da giovane seminarista il futuro Papa impara anche a leggerli: per esempio sostando davanti a quel gioiello in piazza del Duomo che è il battistero del XIV secolo, disegnato da Giovanni da Campione. In particolare, lo colpivano all’esterno (su otto pilastri a forma di nicchia) le figure simboliche delle virtù teologali e cardinali mai dimenticate: fede, speranza, carità, fortezza, giustizia, prudenza, temperanza, con l’aggiunta della virtù della pazienza.

La città natale del futuro Papa tra fine Ottocento e i primi anni del Novecento vive un periodo di grande effervescenza culturale…

Sì. Questo ambiente lo condiziona non solo da seminarista, ma anche più avanti, nel periodo in cui è segretario di Radini Tedeschi. Inoltre, Roncalli viaggia e passa in rassegna tutta la bergamasca con le sue parrocchie e le sue chiese: ogni volta che entra in una chiesa, il futuro Papa vuole conoscerla e dimostra sempre un’attenzione particolare con gli elementi artistici e liturgici che la abitano.

Solitamente si parla del rapporto di papa Giovanni XXIII con l’arte indicandolo solamente nel momento dell’incontro tra il Pontefice e Giacomo Manzù.

In effetti, a parte il rapporto con Manzù, non si è data molta attenzione al rapporto tra Giovanni XXIII e l’arte. Bisogna invece dire che Roncalli ebbe una grande attenzione per il mondo degli artisti, prima ancora di conoscere Manzù.

In quali luoghi?

Roncalli era attirato dalle icone, dai capolavori d’arte e dalle pietà nelle cattedrali e abbazie di Francia, così come si dimostrò invece esitante o perplesso davanti ad alcune opere esposte alla Biennale di Venezia, quando era patriarca sulla cattedra di San Marco. Anche lui era figlio del suo tempo, legato quindi a un’idea dove almeno l’arte sacra doveva tenere in conto esigenze di liturgia e catechesi, oltre al buon senso. Così rimane nota la “querelle veneziana dei plutei”, la discussione sulle lastre marmoree del transetto dell’iconostasi della basilica di San Marco, opera di Iacobello e di Pier Paolo Dalle Masegne, realizzata nel 1394, per le quali Roncalli suggeriva l’adozione di un congegno tecnico in grado di consentirne l’abbassamento temporaneo e reversibile durante le celebrazioni. Il futuro Papa seppe però immaginare e desiderare anche un nuovo incontro delle arti e degli artisti con gli uomini di Chiesa: forse i tempi non erano maturi, e forse non ebbe il tempo necessario.

Ci può parlare dell’incontro di papa Giovanni con Giacomo Manzù?

La figura di Giacomo Manzù si inserisce nel solco tracciato già da Pio XII, nel momento in cui l’arte moderna entra nelle Gallerie vaticane, e spiana la strada anche alla grande svolta della Chiesa nei confronti degli artisti voluta da Paolo VI. Con Giovanni XXIII Manzù è forse più interessato all’anima dello scultore, che al suo ritratto. Questo incontro consentì all’artista di portare a compimento, seguendo l’ispirazione e in piena libertà, la celebre «Porta della morte» per San Pietro e di immortalare la cronaca del pontificato giovanneo e il profilo del Pontefice bergamasco. Questo grazie anche al “prete romano” don Giuseppe De Luca, sacerdote vicino ad artisti e scrittori in partibus infidelium, amico vero di Manzù, che ne leggeva la scultura come «pietà».

Ci sono stati altri scultori per papa Giovanni XXIII?

Certamente, Angelo Roncalli è stato al centro delle interpretazioni dall’esito differente di molti altri scultori: dal francese Bartelletty a Emilio Greco, da Floriano Bodini a Pietro Brolis e Stefano Locatelli, da Lello Scorzelli a Enrico Manfrini, da Carlo Balljana ad Alessandro Verdi, a Mario Toffetti.

E pittori?

Il volto di Angelo Giuseppe Roncalli è stato celebrato anche da pittori, noti e meno noti: i primi ritratti ufficiali eseguiti dal veneziano Felice Carena o dall’austriaco Hans Kallmann, dal fiorentino Pietro Annigoni e dal bergamasco Raffaello Locatelli. Inoltre lo ritrassero Aligi Sassu e Mario Donizetti, Pietro Cascella e Bernard Buffet, Ibrahim Kodra e Yan Pei-Ming, e così anche Trento Longaretti e Angelo Capelli. Possiamo dire che il suo fu un «volto d’angelo» amato dagli artisti.

Che cosa rappresentò l’arte per papa Giovanni XXIII?

Si può dire che lui abbia considerato gli artisti come «angeli di Dio», come intermediari che aiutano a creare la congiunzione con Dio. Nell’ambito del Vaticano II, Roncalli sapeva che il Concilio avrebbe dovuto aprire gli orizzonti anche agli artisti: non dimentica la liturgia, lo spazio sacro all’interno delle chiese, l’architettura, l’edilizia. Questo rapporto profondo con l’arte dimostra la sensibilità di Roncalli e la sua cura dell’anima.

Michela Beatrice Ferri



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