Il silenzio della politica sugli interessi economici

«Del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip), in fase di negoziazione tra Europa e Stati Uniti, circolano poche informazioni; se ne parla giusto sul sito della Commissione europea o nei circuiti governativi americani. Servirebbe invece maggior chiarezza, poiché l'intesa si ripercuote su parecchi aspetti del nostro modello sociale (sanità, ambiente, lavoro, ecc...) e sulle garanzie che ne sono alla base». A dirlo è Alessandra Algostino, docente di Diritti umani e globalizzazione all'Università di Torino, che abbiamo interpellato per avere qualche ragguaglio su questa trattativa commerciale che da tempo coinvolge le due sponde dell'Atlantico.

Cosa è il Ttip?

La Commissione Ue lo presenta come il più grande accordo commerciale del mondo che, a regime tra dieci anni, dovrebbe apportare all'economia europea 120 miliardi di euro l'anno e a quella statunitense 90 miliardi. Si stima un incremento del Pil europeo dello 0,5 per cento e un aumento medio del reddito annuo, per una famiglia di quattro persone, di 545 euro. In ballo ci sarebbero 2 milioni di posti di lavoro nell'intera Unione.

Tutto bene, dunque...

In realtà emergono parecchi dubbi sulle cifre che vengono diffuse e persino negli Usa, da più parti, si dubita di tutto questo ottimismo sparso a piene mani. Un secondo aspetto critico, inoltre, è la ripartizione dei benefici, sulla cui equità è lecito dubitare, e che invece potrebbe favorire piuttosto un aumento delle diseguaglianze sia tra Paesi ricchi e più poveri che all'interno di ogni singolo Stato. Non dimentichiamo che, in genere, quando si tolgono barriere agli investimenti, liberalizzando i movimenti dei capitali, si favoriscono i potentati finanziari e assai meno l'economia reale. Anche il Nafta, l'accordo dei Paesi del Nord America, stipulato venti anni fa tra Messico, Stati Uniti e Canada, prometteva milioni di posti di lavoro, ma poi, in concreto, l'occupazione è diminuita, specie negli Usa. In più, ovunque, si è avuta una riduzione sulle tutele dei lavoratori; fenomeno che oggi potrebbe riguardare l'Europa, che, rispetto agli Stati Uniti, è l'area dove sono più forti le protezioni per il mondo del lavoro.

Perché questo trattato crea problemi ai diritti sociali o ambientali?

Tutto deriva dalla deregolamentazione che ridurrà molti standard oggi previsti a livello europeo, chiamando le imprese a rispettare solo una serie di norme minimali. Quindi meno tutele sulla salute o sull'ambiente: dagli ogm all'estrazione del gas di scisto (shale gas). Temi sui quali l'Ue adotta regole molto severe, seguendo il principio di precauzione. Un'armonizzazione legislativa con gli Usa porterebbe ad un abbandono di questo principio, posto a favore delle persone. Ripercussioni si avrebbero poi sulle tutele del lavoro, che già di per sé sono considerate con fastidio dal mondo delle imprese e che ancor più sarebbero a rischio, perchè in contrasto con gli interessi degli investitori, tenendo per di più conto che, comunque, negli Usa le garanzie per i lavoratori sono minori rispetto a gran parte dei Paesi europei. Un altro problema è l'immissione sul mercato di molti servizi oggi pubblici con una loro generale privatizzazione a favore di soggetti nazionali o stranieri. Un impatto potrebbe esservi sul servizio sanitario, con una parte di esso data in appalto a chi vuole ricavarvi dei profitti, anche a scapito degli standard sanitari o del loro assetto pubblico e universale. A destare inquietudine c'è poi un altro elemento del trattato…

Quale?

Si tratta del meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stati e investitori con arbitrati che mettono sullo stesso piano le due parti. In pratica, un investitore che ritiene di aver subito un danno legato ai propri profitti a causa di scelte politiche e legislative di un certo Stato potrà rivolgersi ad una sorta di Tribunale internazionale del commercio per veder tutelati i propri interessi. Già oggi si assiste a situazioni inverosimili con centinaia di cause, legate agli accordi di libero scambio con altri Paesi.

Può farci qualche esempio?

Un caso eclatante è il contenzioso tra la Vattenfall, azienda svedese che opera nel campo energetico, e la Germania. Quando Berlino ha deciso di abbandonare gradualmente il nucleare la Vattenfall ha reagito, ritenendosi lesa negli investimenti sperati. Altro caso è quello tra Philip Morris e Australia, poiché questa ha aumentato gli avvertimenti di pericolo per la salute sui pacchetti di sigarette. La multinazionale, a quel punto, ha intentato causa al governo federale. Con questo sistema di dirimere le contestazioni viene bypassata l'intera giustizia ordinaria sia nazionale che internazionale. Oltretutto le sedi di arbitrato rischiano di essere condizionate dai grandi interessi privati in gioco poiché non sono dei veri e propri tribunali che operano rispettando in pieno le tipiche garanzie della magistratura di indipendenza, imparzialità e soggezione soltanto alla legge. Lo Stato può anche vincere le cause, ma a prezzo di notevoli costi, per cui si rischia la totale subordinazione della politica all'interesse economico e finanziario.

Chi spinge per un'approvazione del Ttip?

Ovviamente tutte le grandi lobby industriali e finanziarie, sia europee che americane, interessate a una totale liberalizzazione che favorirebbe i loro interessi. Vi sono invece preoccupazioni sia da parte dalla centrale sindacale europea (Cese) che dall'Afl-Cio americana. Pressoché inerte è invece la politica, speriamo che se ne parli almeno con le elezioni europee. In Italia per ora tutto tace, salvo qualche fermento della società civile con un Forum, “Stop-Ttip”, che raccoglie diverse associazioni (tra cui Arci, Attac, Movimenti dell'acqua), nel segno della cosiddetta “democrazia dal basso”.

Il Parlamento europeo ha voce in capitolo?

I negoziati sono condotti dalla Commissione, mentre il Parlamento interviene solo alla fine del processo, quando tutto sarà già deciso. I cittadini sono esclusi due volte: direttamente, perchè in assenza di un dibattito, e indirettamente con l'esautoramento dell'istituzione che li rappresenta. La prima cosa da fare è dunque informare i cittadini di cosa sta accadendo, spezzando quell'alone di riservatezza che avvolge il negoziato. Servirà un'attività informativa a tutela dei diritti, sperando che la politica cominci a muoversi. Nel 2012 il Parlamento europeo ha respinto l'Acta, l'intesa commerciale sui brevetti e sui servizi legati alla rete, negoziata della Commissione, e dunque di fronte ad una forte pressione popolare potrebbe accadere qualcosa di analogo.

Quale è il ruolo della politica rispetto ai grandi interessi economici?

La politica ormai è subalterna alle ragioni dei mercati e del libero movimento dei capitali. Si assiste ad una crescente limitazione della sovranità dello Stato e dunque, in una democrazia, alla sovranità popolare. La volontà dei cittadini espressa dal suffragio universale rischia di venir travolta dai desiderata dei potentati economici che hanno interesse ad ampliare oltre l'immaginabile i confini del profitto anche intaccando beni e diritti collettivi come l'acqua o l'accesso alle cure sanitarie. Logiche in pieno contrasto con la Costituzione italiana, che pone al centro la persona e i suoi bisogni, subordinando, non a caso, l'iniziativa economica privata alla sua funzione sociale.

Come si esce da questa situazione?

Bisogna rivitalizzare la partecipazione della gente, ricostruendo dei partiti politici che sappiano farsi veicolo delle istanze provenienti dalla società. Partiti che recuperino la capacità di organizzare in forma collettiva idee e bisogni che provengono dai cittadini e in particolare dalle classi più deboli, che invece oggi risultano quasi emarginate.

Il mondo cattolico può dare un suo contributo?

Con l’attenzione che ha verso la dignità della persona umana, il mondo cattolico ha sicuramente molto da dire di fronte a queste questioni. Non a caso i temi della disuguaglianza e delle iniquità sociali sono al centro dell'impegno di papa Francesco.

Aldo Novellini



SIR | Avvenire.it | FISC

PRELUM Srl - P.I. 08056990016