Don Adolfo Barberis campione di carità

Don Adolfo Barberis, sacerdote diocesano di Torino, «ha esercitato in grado eroico le virtù teologali e cardinali», per questo merita il titolo di «venerabile» e così fa un sostanzioso passo avanti verso la beatificazione.

Il 3 aprile papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle cause dei santi a emettere il decreto sull’eroicità delle virtù di un prete che si colloca nella rigogliosa fioritura della Chiesa torinese e piemontese che, tra Ottocento e Novecento, ha prodotto una meravigliosa schiera di santi di prima grandezza che hanno illuminato la Chiesa e l’Italia in un’epoca di rivoluzionarie trasformazioni sociali: Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco, Leonardo Murialdo, Luigi Orione, solo per citare i santi.

Il postulatore della causa di beatificazione, don Flavio Pelosi, che è direttore generale dell’Opera di San Luigi Orione, usa parole molto lusinghiere per questa «costellazione di santi»: «Ognuno ha aperto un cammino originale e benefico di santità e apostolato, risposta cristiana ai problemi spirituali e alle devastanti conseguenze delle ideologie socialiste e liberali. Don Barberis si accorse delle condizioni deplorevoli della donna asservita al lavoro e animò un movimento di solidarietà e promozione che chiamò “Famulato cristiano” per ancorare alla famiglia e alla fede le basi della dignità della donna. Esperto della periferia umana delle donne che non contano, don Barberis contribuirà a dare impulso al cammino della Chiesa chiamata a unire il profumo dell’incenso della preghiera con l’odore delle pecore più in necessità. Egli ha esercitato in grado eroico le virtù teologali della fede, della speranza e della carità verso Dio e verso il prossimo, e le virtù cardinali della prudenza, giustizia, temperanza e fortezza».

Sacerdote a 24 carati, uomo di preghiera e apostolato, maestro e consigliere del clero, «servitore delle serve», fondatore del Famulato cristiano, predicatore itinerante, artista e sindonologo. Rientra a pieno titolo nella folta schiera di quei preti che hanno illuminato le Chiese di Torino e del Piemonte con le loro virtù e la loro carità, i buoni samaritani che hanno vissuto le  beatitudini, che operarono con brillanti intuizioni apostoliche in risposta alle esigenze delle persone, delle comunità e dei tempi. Hanno saputo fare sintesi tra evangelizzazione e promozione umana, tra appello alla conversione e problemi della gente, tra slancio apostolico e soluzioni civili e sociali.

Adolfo Barberis nasce a Torino in via Vanchiglia 12, nella parrocchia di Santa Giulia, il 1° giugno 1884. Avverte presto la chiamata di Dio: studia nei Seminari di Giaveno, Chieri, Torino e alla Facoltà teologica, dove si laurea nel maggio 1912. A 22 anni è scelto come segretario dall’arcivescovo, cardinale Agostino Richelmy, che lo ordina sacerdote il 29 giugno 1907: quell’anno i novelli sacerdoti furono ben 25.

Uomo colto e poliedrico, don Barberis sviluppa numerose attività. È tra i fondatori dell’Opera diocesana Pellegrinaggi, iniziatore della Scuola di archeologia e arte sacra nei Seminari, primo docente di arte in Seminario, co-fondatore del Collegio universitario «Augustinianum», direttore del settimanale cattolico «La Buona Settimana» che nel 1920 diventa organo ufficiale della diocesi, architetto autodidatta, predicatore in tutta Italia.

Si dedica all’assistenza dei profughi e del clero militarizzato della Prima guerra mondiale. Soprattutto nel 1921 fonda il Famulato cristiano allo scopo di difendere le servette e dare loro una formazione umana, cristiana e professionale: le chiama «famule», cioè persone di famiglia, ma sono spesso sfruttate e oggetto di soprusi. Il Famulato ottiene il riconoscimento canonico dal vescovo di Ivrea mons. Paolo Rostagno l’8 dicembre 1953 e non dall’arcivescovo di Torino.

L’incarico di segretario del cardinale Agostino Richelmy, arcivescovo di Torino dal 1897al 1923, fa conoscere e apprezzare don Barberis, ma lo espone a critiche e incomprensioni, invidie e calunnie sotto gli episcopati di Giuseppe Gamba (1923-1929) e Maurilio Fossati (1930-1965). Per il canonico sono anni di dolori e di amarezze, che riesce a superare grazie alla sua forte e solida spiritualità, al suo impegno per il Famulato, all’intenso ministero come predicatore al clero, ai religiosi e al popolo in giro per l’Italia. Apprezzato direttore di spirito, è un grandissimo apostolo e divulgatore della Sindone, che vede nelle Ostensioni del 1898, 1931 e 1933, è nominato consulente ecclesiastico del Centro internazionale di sindonologia ed è tra i fondatori della rivista «Sindon».

«La santità, non bisogna farsi illusioni, si fa non con il pennello, ma con lo
scalpello»: la frase, ripresa da Teresa d’Avila, fioriva spesso in bocca al Barberis. Versatile e arguto, è affascinato dalla bellezza, che considera proiezione di Dio, ha una sensibilità strabiliante per le cose belle, ritiene l’arte sacra un aiuto a comprendere le verità cristiane e ad approfondire il senso del sacro: la sua sensibilità artistica, straordina­ria in un autodidatta, ha una radice culturale e spirituale. Eccelle in tutti i generi di ar­te: architettura, disegno, pittura, bassorilievo, sbalzo, miniatura.

Dice don Peloso: «Visse di grande speranza perché, per quanto alacre e geniale, tutto egli aspettava e sperava da Dio. La carità verso il prossimo lo spinse a privilegiare gli ultimi e i più bisognosi, a farsi prossimo degli ammalati e dei bambini. Seppe amare chi gli aveva fatto del male e perdonò sempre, anche le calunnie. Visse in modo esemplare i consigli evangelici: era povero nel vestire, nell’abitazione e nell’uso dei mezzi; condusse una vita casta e austera; era obbediente ai superiori, anche di fronte a incomprensioni e difficoltà».

È «tutto nella Chiesa, tutto con la Chiesa, nulla fuori della Chiesa», come scrive nelle costituzioni del Famulato. Muore a 83 anni il 24 settembre 1967. Per la beatificazione manca il riconoscimento del miracolo.

 Pier Giuseppe Accornero



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