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Misteri del vivere umanoCi sono segreti e segreti, da quello svelato da san Paolo agli uomini, che vide la verità delle cose celesti (il «tanto secreto ver» di Par. XXVIII 136) al «Secretum» di Petrarca, quello delle angosce, delle debolezze, dell’amore per la gloria, per Laura e, dopo secoli, quello amoroso di Montale, zitto, «tra gli uomini che non si voltano», custode «sterile» di un «prodigio fallito», di un’alata intimità, sacrale, ma anche ossessione per la verità e lo svelamento di «uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l’anello che non tiene». Il segreto in tutte le sue sfumature di significato è ora in un piccolo grande libro di Claudio Magris («Segreti e no», Bompiani, pp. 58, euro 7), un altro dei suoi viaggi nella storia e nel misterioso animo umano, usando come scandaglio una parola labirintica, che significa soprattutto silenzio e invisibile. Ci sono sei stazioni in questo viaggio, che comincia da un racconto d’infanzia, tra bambini che sognano di fare l’agente segreto, primo sintomo dell’esigenza di avere una doppia identità, per accarezzare l’idea di essere incompresi ed essere confortati dalla consapevolezza di essere «unici». Nella veste di re in incognito sono molti personaggi delle fiabe, che si sveleranno solo nel lieto fine, ma anche nella narrativa, dove si manifesta o si cela ancora più profondamente la parte più intima di un autore. La domanda di fondo di questo esordio è tuttavia un’altra e chiama in causa il potere apparentemente innocente della modernità, quello “internettiano”, che, come affermava lo scrittore nero caraibico Édouard Glissant, priva del sacrosanto diritto «a non essere passato da parte a parte, nel profondo del suo essere e del suo sentire, dai raggi X di alcuna conoscenza globale». Maestro di rispecchiamenti, Claudio Magris pone tuttavia subito di fronte al lettore l’esatto contrario di questa sorta di gogna mediatica, riportandoci alle origini degli «Arcana» del potere politico, che non si limita all’esercizio di attività che velano ragioni di Stato a cittadini o sudditi, ma rendono anche irreperibile la verità: «Non c’è Stato, per quanto liberale e democratico possa essere, che non abbia i suoi servizi segreti» e l’operare di questi ultimi, con le debite differenze storiche e territoriali, «è sempre avvolto da un’aura tenebrosa in cui la lotta col male si confonde, nell’immaginario ma spesso anche nella realtà, col male stesso». Uno degli esempi più atroci di questo genere di velo è quello dell’occupazione nazista a Trieste, dove lavorò a pieno ritmo il forno crematorio della «risiera» e dove furono cancellati, non dai carnefici ma dai liberatori, i nomi dei colpevoli scritti sui muri dai condannati, che potevano rivelare collaborazioni e responsabilità inquietanti. Così fu per i documenti che i governi alleati portarono via, secretandoli per sempre. Lo stesso avvenne per una miriade di pubblici delitti, dall’assassinio di Kennedy alle stragi del terrorismo o di Ustica, che forse saranno svelati solo quando non potranno più nuocere, perché faranno parte di una storia ormai antica e dimenticata. Ancora oggi, scrive Magris, «sapere se Gesù sia stato processato dai romani o dagli ebrei potrebbe avere delle conseguenze politiche» e così resta un segreto Sacro, come erano seppure in altra forma quelli custoditi in tempi ancora più remoti dagli iniziati, i mistoy, custodi dei culti del mysterion, preposti a «chiudere gli occhi e le labbra» di un popolo impreparato alla verità della vita e della morte. Tutte le grandi civiltà hanno avuto gerarchie di iniziati, detentori di misteriosi poteri indicibili ai mortali. Nell’epoca moderna, invece, questa disuguaglianza ha smarrito anche la sacralità, declassando «i Misteri Eleusini a tunnel dell’orrore di un luna park», lasciando fiorire le «peggiori ideologie», che vanno dalle «ineffabili verità dell’occulto» alle più «pacchiane» forme totalitarie, con mostri sacri intolleranti di ogni critica, come quelli rappresentati in chiave romanzesca nel romanzo «Il rifugio magico» di Mircea Eliade. L’autentico mistero del vivere viene così falsificato, trasformandolo in spazi inaccessibili di misteriose associazioni, che non celano alcun segreto degno di una qualsivoglia aura mistica, ma solo lo squallido vantaggio personale a spese di chi ha meriti ben più alti per occupare i posti che loro invadono come una delle piaghe del Giudizio. Speculare a questo genere di segreto del potere pubblico sta, invece, quel «diritto all’opacità» rivendicato da Glissant, ovvero quella forma di rispetto e di libertà per il non sapere, per l’innocenza di una tranquilla naturalezza di esistere. Anche per il narratore spagnolo Javier Marías raccontare la verità rischia sempre di deformare i fatti e perciò diventa pericoloso anche ascoltare, perché significa sapere qualcosa di potenzialmente pericoloso, che può nuocere o ferire persone che amiamo e tacerla non significa mentire, ma cancellare, «un piccolo favore da fare al mondo». Per motivi simili l’autore barocco Torquato Accetto scrisse un trattato sulla «dissimulazione onesta», ovvero sul modo «non di falsificare la verità, bensì di rispettare il suo pudore». E questo può valere nei rapporti personali, con amici parenti o compagni di vita, evitando quegli «sfoghi laceranti» che una volta pronunciati non potranno più cancellarsi. Alla fine di questo viaggio nel cuore di una parola, Magris può affermare che il diritto di mantenere il segreto senza sfumature di sorta può essere attribuito solo a chi siede dietro la grata di un confessionale, l’unico ad avere il dovere normativo di stendere un velo di valore sulle colpe commesse da ognuno di noi. Il cerchio si chiude e Magris, come Ulisse, ritorna al punto di partenza, citando il «Nuovo dizionario di teologia morale» (ediz. San Paolo) che alla voce «Segreto», curata da Luciano Padovese, conferma il dubbio iniziale nei confronti dei moderni mezzi di comunicazione, che avvolgono il nostro diritto a vivere la nostra più intima quotidianità in una spirale di esibizione di massa. La «disabilità digitale» che caratterizza la scrittura di Claudio Magris e la sua grafia, meravigliosamente decifrabile solo per pochi iniziati, sono il segno che il segreto nei suoi libri sta proprio nella libertà di scrivere ciò che gli altri dimenticano o ignorano: i tanti fatti trascurati da una Storia che, anche secondo Montale, non è mai magistra di qualcosa che ci riguardi. Il formato e l’essenzialità di questi suoi «Segreti e no», allora, acquistano una loro funzione: quelli di essere il solo blog autorizzato a parlare di sé. Giovanna Ioli
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