La Nato continua a impaurire Putin

Il punto è questo: qualunque sia la “questione Ucraina”, non si può risolverla senza parlare con la Russia. Men che meno si può risolverla “contro” la Russia. Ci piaccia o no. Proprio per questo, a quattro mesi dall’inizio delle proteste (partite a Kiev, in piazza Maidan, il 21 novembre 2013), la crisi internazionale scoppiata intorno all’Ucraina torna, con la trattativa tra il ministro degli Esteri russo Lavrov e il segretario di Stato Kerry, esattamente al punto di partenza. O, per meglio dire, a quello da cui sarebbe dovuto partire, se un clamoroso caso di “idiotismo politico” non avesse complicato qualunque discorso.

Per accettare questa realtà bisogna mettere da parte la propaganda e le “veline” di cui abbondano i giornali e affidarsi alla forza banale dei fatti. Quelli che riguardano l’Ucraina e quelli che riguardano la Russia, in particolare la sua politica nei confronti dell’Europa. L’Ucraina è un Paese, se non diviso, assai composito: dal punto di vista della geografia culturale, visto che va dalla Galizia che ebbe come capoluogo Lvov’ (o Lviv’, o Leopoli che dir si voglia) e fu parte notevole dell’Impero asburgico, alle terre dei cosacchi del Donbass, e ancor più da quello della geografia economica: l’industria mineraria e metallurgica, che da sola genera il 40 per cento delle esportazioni, è concentrata nelle regioni dell’Est, ed è per molti versi integrata nel mercato ex sovietico.

Proprio l’analisi delle esportazioni ucraine (che formano l’80 per cento delle entrate dello Stato) ci fa capire quanto il pregiudizio politico abbia influenzato certe decisioni. Le vendite all’estero dei prodotti ucraini si indirizzano in sostanza verso tre destinazioni: i Paesi del blocco ex sovietico, i Paesi dell’Unione europea e il resto del mondo, più o meno in uguale misura. Per fare un paragone: le esportazioni della Polonia vanno per l’80 per cento verso i Paesi della Ue. Ben altra storia. Inoltre: dei sei Paesi con cui l’Ucraina ha un attivo commerciale (India, Turchia, Libano, Egitto, Iran e Italia), solo uno, l’Italia appunto, appartiene alla Ue. Per quanto riguarda l’adesione alle proposte della Ue, quindi, una cosa è già chiara: aprirebbe il mercato interno ucraino alle merci europee senza incrementare in modo significativo le esportazioni ucraine. Primo risultato: un peggioramento dei conti della bilancia commerciale ucraina.

Converrebbe allora l’Unione doganale, in cooperazione con Belorussia e Kazakhstan, offerta dalla Russia? Il Cremlino offre all’Ucraina la riduzione di una serie di dazi finora imposti alle esportazioni ucraine e sostanziosi sconti sui prezzi di gas e petrolio. La Russia, d’altra parte, accoglie da sola il 29 per cento delle esportazioni ucraine. E, a differenza dei Paesi della Ue, non compra materiali grezzi, ma prodotti che in Occidente hanno poco mercato: per esempio, tubi speciali per oleodotti e gasdotti. Questo non basta a rendere attrattiva in senso assoluto la prospettiva filorussa. Perché i dazi dell’Unione, anche se ridotti rispetto al presente, sarebbero sempre un poco più gravosi di quelli ora garantiti all’Ucraina dall’adesione al Wto (Organizzazione mondiale del commercio), avvenuta nel 2008. Il vero punto forte dell’offerta russa sarebbe lo sconto su gas e petrolio. Nel 2012 la Belorussia, che è parte dell’Unione, ha versato 165 dollari per 1.000 metri cubi di gas, mentre l’Ucraina ha dovuto pagarne 426. Una bella differenza. Affidata, però, solo alla benevolenza del Cremlino.

La conclusione è una sola: non ci sono strade facili per l’Ucraina, qualunque sia la direzione che prenderà. E anche la scelta europea, compiuta dal governo provvisorio e appoggiata dalla piazza, costerà lacrime e sangue, a dispetto delle tante illusioni che troppi hanno contribuito ad alimentare.

La mediocre politica estera della Ue, inoltre, non ha tenuto in conto l’atteggiamento della Russia nei confronti dell’Europa, che ancora una volta si può ben spiegare con qualche dato economico. L’Unione europea è di gran lunga il principale partner commerciale della Russia: prima della grande crisi scoppiata nel 2008, era arrivata a costituire da sola il 52,3 per cento del suo fatturato commerciale globale. I 27 Stati dell’Unione, inoltre, sono il più importante investitore in Russia: valgono per il Cremlino il 75 per cento degli investimenti esteri diretti. Da parte sua la Russia provvede a circa il 25 per cento delle forniture energetiche necessarie al funzionamento dell’industria europea. Questa, che viene sempre descritta come una potenziale arma di ricatto del Cremlino ai danni di Bruxelles, è in realtà un doppio vincolo: noi non potremmo restare senza gas e petrolio russi, ma l’economia russa andrebbe in malora senza gli euro sonanti che l’Europa versa per averli.

E’ facile dedurre, allora, che l’idea delle sanzioni economiche contro il Cremlino per la Crimea è solo una delle tante sciocchezze che si sono sentite in queste settimane: una guerra commerciale tra Ue e Russia avrebbe somma zero e produrrebbe solo danni. A Bruxelles devono invece capire che la vera preoccupazione di Putin e compagnia sta nell’oggettivo schiacciamento della politica estera europea sulle esigenze della Nato, l’alleanza militare dominata e di fatto diretta dagli Usa. Dopo la fine dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia, la Nato non ha fatto che espandersi verso Est, secondo linee di convenienza dettate dalla Casa Bianca anche quando l’intesa con il Cremlino era ben più rodata di oggi: il “caso Kosovo”, con Boris Eltsin nemmeno informato, è stato l’esempio più eclatante. Il risultato è stato un meccanismo che, sfruttando revanscismi vari e oggettive memorie del passato, ha reso quasi automatico il contemporaneo ingresso nella Ue e nella Nato (che sono invece organizzazioni ben diverse con scopi ben diversi) e ha prodotto un oggettivo accerchiamento della Russia, che ora si trova il sistema bellico americano, grazie al cosiddetto “scudo antimissile”, sulle soglie di casa.

L’Europa ha una dirigenza troppo mediocre, incapace non solo di produrre un pensiero politico proprio ma persino di osservare la realtà. Quel che accade in Ucraina è solo la più recente delle dimostrazioni.

Fulvio Scaglione



SIR | Avvenire.it | FISC

PRELUM Srl - P.I. 08056990016