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Torino sotto le bombeC’è la Balilla rossa 508C con cui i vigili del fuoco correvano a spegnere gli incendi sulle macerie. Ma ci sono anche le divise da gerarca fascista, le uniformi da pompiere e le maschere antigas per i civili: struggente la fotografia di una esercitazione in classe proprio con quelle maschere scattata negli anni Quaranta. C’è poi una bomba inglese del 1942, ma anche una “valigetta didattica” con alcuni ordigni disinnescati (veniva usata a scuola per spiegare quanto fossero pericolosi i residuati bellici) e un grande abbecedario pubblicato da Carroccio nel 1941 con la «A» di aeroplano e la «N» di nave (da guerra, naturalmente). E poi le foto più drammatiche: quelle di Torino in ginocchio sotto i bombardamenti a tappeto del luglio 1943, quando 250 Lancaster scaricarono 413 bombe dirompenti e alcune decine di migliaia di spezzoni incendiari. Nulla fu risparmiato dalla tremenda onda distruttiva, non ci fu quartiere senza una casa o un palazzo distrutto. In sottofondo il suono assordante delle sirene, nelle registrazioni d’epoca. E’ una mostra di grande impatto emotivo, «L’urlo delle sirene. Memoria e immagini di una città bombardata», aperta a Torino nelle sale di Palazzo Barolo, fino all’8 giugno. Curata da un giovane ricercatore, Edoardo Accattino, appassionato di arte e di storia, la retrospettiva emoziona non solo per le opere esposte - oltre 300 foto, meravigliose, di una città sotto le macerie, e 400 oggetti tra documenti, video e cimeli conservati in collezioni e archivi pubblici e privati, in particolare quello dei Vigili del fuoco ricco di ben 15 mila scatti, da cui ne sono stati tratti 80 per questa mostra - ma soprattutto per la sua straordinaria location, quel Palazzo di via delle Orfane, nel cuore storico della città, già residenza dei conti Giulia e Tancredi di Barolo, campioni di solidarietà nella Torino dell’Ottocento: i suoi saloni e le sue cantine valgono, da soli, una visita. La mostra è così coinvolgente, con gli ambienti illuminati da luci soffuse come dovevano essere in tempo di guerra e le testimonianze dei sopravvissuti che scorrono sui video installati alle pareti, che sembra di rivivere davvero quelle tragiche notti sotto i bombardamenti, con “l’urlo delle sirene” presagio di morte e distruzione. In contemporanea le sale di Palazzo Barolo ospitano «Pinocchio sotto le bombe. L’editoria per i ragazzi in tempo di guerra 1940-1945», una rassegna di sessanta volumi tra rare edizioni e tavole originali (una trentina) sulla produzione dei libri per l’infanzia curata da Pompeo Vagliani, presidente del Museo della scuola e del libro per l’infanzia (Musli). Esposte anche le splendide edizioni di «Pinocchio» realizzate da Paravia e da Sei nel bel mezzo dei bombardamenti. «Perché in quegli anni bui», ha spiegato Vagliani, «molti scrittori e giovani artisti propongono testi innovativi, con illustrazioni di grande qualità, quasi a testimoniare la profonda voglia di evasione, creatività e libertà». Proprio nel 1940, primo anno di guerra, ma anche il cinquantenario dalla morte di Collodi (1890), proliferano nuove edizioni di «Pinocchio», anche sull’onda del successo del film Disney (in Italia uscirà nel 1947). Tra le tante edizioni pubblicate a Torino negli anni di guerra, le due più importanti sono quelle illustrate da Giuseppe Porcheddu (Paravia) e da Giovanni Battista Gallizi (Sei). «L’urlo delle sirene» comincia il 12 giugno 1940, una data che per Torino ha significato subito guerra. Erano passate appena ventiquattro ore dalla dichiarazione di guerra a Francia e Gran Bretagna e già le prime bombe aeree iniziavano a cadere sulla città. In apertura dell’esposizione, una gigantografia in bianco e nero mostra una Torino sfregiata alle spalle di piazza Castello e sullo sfondo, intatto, Palazzo Madama. E poi una poesia del piemontese Nino Costa, «In ascolto», canto di compianto per la città, in ricordo del bombardamento a tappeto del ‘43. «Torino ha un triste primato», ha detto Pier Luigi Bassignana direttore dell’Archivio storico dell’Amma, «è stata la prima città ad essere bombardata insieme a Genova. Gli storici raccontano oggi che si “salvò” grazie ai suoi ampi viali e alle sue grandi piazze che la difesero dagli incendi. L’altra fortuna per Torino fu che all’inizio della guerra, quando era tra gli obiettivi strategici degli Alleati per gli stabilimenti della Fiat Mirafiori, a bombardare c’erano gli Inglesi: i loro aerei usavano bombe molto grandi, ma pochi spezzoni incendiari, i più pericolosi. Quando arrivarono gli Americani, con incursioni veloci e bombe di piccolo-medio calibro a tappeto, Torino non è più così strategica, se non per lo stabilimento di Fiat Lingotto e per l’area dello smistamento ferroviario, concentrati in meno di un chilometro quadrato nel quartiere Nizza». Torino si “salva” dalla distruzione totale, ma dopo cinque anni di guerra piange 2.069 morti, quasi 3 mila feriti e 82 mila abitazioni distrutte (il 40 per cento degli edifici della città). Le foto in mostra raccontano la guerra, ma anche le «prove di guerra». Nel 1936 per esempio il governo emana una serie di leggi e regolamenti per la difesa passiva della città e la predisposizione di rifugi negli edifici di nuova costruzione. Nel 1939 vengono intensificate le incursione antiaeree: ecco allora una grande prova generale di sfollamento organizzata a San Salvario, il 15 marzo. L’ultima è annunciata il 20 maggio 1940, con incursioni simulate di giorno e di notte, e con l’esplosione di razzi e di colpi a salve. Pochi giorni prima della dichiarazione di guerra viene proibito il suono delle sirene che nelle fabbriche segnava l’inizio e il termine del turno di lavoro. Da quel momento avrebbero suonato solo in caso di “attacco aereo”. Da qui il titolo della mostra. Nonostante le «prove di guerra», ricorda Accattino, al primo bombardamento la città viene colta di sorpresa: le sirene suonano solo con l’inizio del bombardamento, e molti non riescono a mettersi in salvo. Non solo. Quando gli aerei inglesi giungono su Torino trovano una città illuminata come in tempo di pace. La contraerea non abbatte gli aerei, ma colpisce uno stabilimento in via Petrarca e raggiunge le tegole della stazione di Porta Susa. Torino non è affatto preparata: nel dicembre del 1944 i ricoveri pubblici saranno solo 137, possono accogliere 46.400 persone, quelli casalinghi (indicati con una «R» bianca vicino al portone) non più di 56 mila persone. I numeri sono impietosi: i rifugi in totale riescono a proteggere solo il 15 per cento della popolazione. Irrisorio anche lo scudo della contraerea che avrebbe dovuto difendere la città: nei cinque anni di guerra gli aerei abbattuti saranno solo quindici. La guerra è iniziata, ma le foto in mostra raccontano una Torino coraggiosamente ancorata alla normalità della vita quotidiana. C’è una gita fuori porta in bicicletta, 15 agosto 1940; ci sono le sfilate di moda organizzate negli atelier sotto le gallerie del centro (1941); ma anche l’inaugurazione del Museo della montagna al Monte dei Cappuccini nel 1942 e della nuova sede dell’Eiar in via Verdi. Tra gli scatti spicca poi una piazza Castello in festa per la trebbiatura del grano. Il grano in piazza Castello?, si chiederanno i ragazzi delle scuole. Sì, il grano in piazza, perché le parole del Duce allora erano state chiare: «“Non una sola aiuola dovrà rimanere incolta” e la resa degli orti urbani a Torino era stata molto elevata…». Le foto con le immagini di una quotidianità cercata nonostante il conflitto cambiano radicalmente tra il novembre 1942 e l’estate 1943, quando per Torino inizia l’inferno, il peggiore che la città abbia subito in tutta la guerra. Il Bomber Command inglese dà inizio ai bombardamenti a zone, con la devastazione di interi quartieri e complessi industriali. Ecco allora una piccola foto in bianco e nero scattata dai Vigili del fuoco che racconta la notte del 28 novembre quando, per la prima volta su una città italiana, furono impiegate le tremende bombe da 8 mila libbre che provocarono la distruzione completa di interi edifici, fino alle fondamenta, in borgo San Paolo. In calce alla foto, la scritta: «Per i terribili danni Borgo San Paolo fu rinominano “borgo Stalingrado”». Nelle tredici incursioni che seguirono furono sganciate 2003 bombe dirompenti e il profilo della città fu distrutto. Ma il peggio doveva ancora venire. Come raccontano le drammatiche foto del luglio 1943: nella notte tra il 12 e il 13, un’imponente flotta di oltre duecento fra i più moderni aerei da combattimento fece piovere sulla città una quantità impressionante di ordigni, provocando morte e distruzione. Le conseguenze furono spaventose, nessun quartiere della città rimase indenne. La guerra finì solo due anni più tardi, l’ultimo bombardamento su Torino è del 5 aprile 1945, venti giorni prima della Liberazione. La mostra, L’urlo delle sirene, è aperta fino all’8 giugno a Palazzo Barolo (via delle Orfane 20/c) a Torino. Orari: da martedì a domenica dalle 10 alle 19. Ingresso: intero 8 euro, ridotto 5 euro, scuole 4 euro. CRISTINA MAURO
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