Francesco il pontefice "anticlericale"

È passato un anno da quando un gabbiano aveva preceduto la fumata bianca del comignolo della Cappella Sistina. Abbiamo vissuto un anno di rara intensità in cui la vita della Chiesa, abituata a ritmi di movimento elefantiaci e faraonici, ha subito un’accelerazione imprevedibile, eppure così necessaria. Nel giro di un anno il Papa è diventato un “superman” di cui tutti parlano, tutti scrivono, che tutti fotografano.

Il numero di libri pubblicati su papa Francesco e lo spazio dedicato sui media di ogni tipo e di ogni tendenza è stupefacente. Eppure papa Francesco sembra andare diritto per la sua strada rimanendo “indifferente” al fuoco incrociato che viene continuamente “sparato” sulla sua persona. Certo, perlopiù sono lodi e acclamazioni, ma non è solo questo. Il cammino di conversione verso cui papa Francesco ha indirizzato la rotta della Chiesa fa perdere il sonno a molti. La vela della barca di Pietro sembra essere stata interamente srotolata, tanto che il vento dello Spirito può soffiarvi dentro, sospingendola ancora una volta «in altum» (Lc 5) senza che la zavorra di tanti pesi inutili ne arresti la corsa: la vela gonfia di vento vince il peso dello scafo e lo rende leggero.

Dopo questo anno, il sentimento più profondo è quello della gratitudine. Rimane fermo il primo segno dato da papa Francesco quando, un anno fa, si presentò alla Chiesa di Roma e chiese al popolo di ratificare, con la preghiera e la benedizione, la scelta fatta dai cardinali di santa romana Chiesa. Il segnale che resta fondamentale è quello della spoliazione che significa concretamente abbracciare un lungo processo di declericalizzazione delle strutture e dello stile nella vita della Chiesa. Declericalizzare significa rinunciare continuamente alla mentalità di un potere ricevuto e da esercitare per riprendere, invece, ogni giorno, a imitare e assumere «i sentimenti» (Fil 2) e lo stile di Cristo Signore messosi ai piedi dell’umanità.

Il “successo” che papa Francesco ha nel mondo, salvo qualche significativa e agguerrita eccezione, non sembra interessare più di tanto il Vescovo di Roma. Penso si possa dire che per il Papa, soprattutto a partire dalla sua indole e dal suo stile, è una gioia essere un buon vicino di casa per tutti e gli faccia piacere essere trattato con amicizia e simpatia. La sua persona sembra non essere recepita come una minaccia proprio da quanti si sentivano imbarazzati dai continui giudizi della Chiesa docente. La porta del cuore di Francesco è sempre aperta e soprattutto si limita a “fare il suo lavoro” nel rispetto assoluto di quello che compete agli altri, senza confusioni, sovrapposizioni e sostituzioni. Felice di essere così amato, papa Francesco non si preoccupa di essere gradito, ma cerca di essere se stesso fino in fondo e con il senso chiaro del limite del suo ministero che è per la Chiesa, affinché essa sia a servizio dell’umanità secondo l’intenzione e la passione di Cristo Signore. La spoliazione dei segni ereditati dal Pontefice Massimo che era l’imperatore di Roma, lo rende capace di costruire ponti senza rinunciare all’essenziale verità del Vangelo che è l’umiltà e il servizio.

Ciò che rappresenta il cuore del ministero di papa Francesco, come Vescovo della Chiesa di Roma che presiede alla carità di tutte le Chiese, è la guerra aperta al clericalismo come struttura inveterata e incancrenita. Papa Francesco ha intuito che se non si esce da questo vicolo cieco del clericalismo non si può fare nessuna riforma della Chiesa che sia reale e duratura. Ad esempio, riconoscere un ruolo adeguato alla donna nella vita della Chiesa non sarebbe possibile e, soprattutto, non sarebbe all’altezza della richiesta se prima non si rompe l’incantesimo che ha fatto ereditare al clero una serie di privilegi e attitudini del sacerdozio pagano, soprattutto nella forma particolare dell’impero romano-bizantino. Persino la questione delicata e grave della pedofilia diventa più grave per i chierici proprio perché l’abuso sessuale sembra germinare e innestarsi sull’abuso ancora più grave che è quello spirituale: l’illusione e la pretesa che un chierico sia esente e quasi al di sopra delle regole che impone agli altri, ma non richiede a se stesso. Come ricorda Raimon Panikkar «Essere prete è in fondo una chiamata, è essere mediatori, non intermediari. Intermediario è un terzo che avvicina tra loro due altre realtà: il mediatore deve far parte di entrambe le realtà che collega».

In questa guerra dichiarata al clericalismo non ci si può aspettare molto dai chierici, di vario genere e grado, ma molto ci si aspetterebbe dal popolo di Dio. Certo, papa Francesco ha aperto la porta della speranza a molti che ormai nella Chiesa si sentivano estranei in casa propria, ma bisogna stare attenti, molto attenti, che il “satana” non ci faccia un brutto scherzo, facendo il suo gioco. Il rischio è che in questo momento il popolo di Dio cada nel gioco, che è una trappola, di un “dolce clericalismo” che si invera in una eccessiva attenzione verso il Vescovo di Roma e rischia di distogliere dal lavoro di incarnazione e di conversione nel tessuto reale delle comunità cristiane. Se è bello cogliere quanto Francesco sia capace di dare speranza a tutti, e soprattutto a quanti se ne sentivano derubati, non bisogna abbassare la guardia e mantenere la rotta che lo stesso Vescovo di Roma sta indicando ai suoi fratelli e sorelle non solo in umanità, ma anche nella discepolanza del Vangelo.

Se potessi dare un piccolo consiglio per sostenere papa Francesco, direi che bisognerebbe andare di meno a Roma e lavorare di più nella propria realtà concreta, chiedere meno ingressi a Santa Marta e pretendere più serietà nella predicazione e nella celebrazione dei sacramenti dai propri preti. I laici, e in particolare le donne, non devono aspettare che sia dato loro un posto di prestigio nella Chiesa, ma essere profeti di un modo nuovo di essere Chiesa, in modo sempre più discepolare e sempre meno clericale non sognando per se stessi un posto tra i chierici, ma chiedendo a chierici di prendere posto tra loro… come loro. Come insegnano i padri del deserto talora bisogna accettare di perdere qualche battaglia per vincere la guerra contro la mondanità che abita il cuore di ciascuno. Siamo solo agli inizi… ma siamo a buon punto.

MichaleDavide osb



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