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Cardinale Martini fedele all'Eterno e anche alla storia«Parlerò di lui con cuore pulsante, con il “cuore pulsante” di Etty Hillesum che Carlo Maria Martini mi aveva fatto conoscere». Con queste parole, vibranti di commozione, mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti, ha aperto il suo intervento nel convegno «Carlo Maria Martini - Fedele alla storia, fedele all’eterno». La manifestazione, organizzata dalla Fondazione intitolata al cardinale scomparso, si è svolta nell’affollato Teatro Gobetti di Torino. Oltre a mons. Forte vi hanno partecipato, dopo il saluto del sindaco Fassino, il gesuita padre Carlo Canalone e David Menghnagi della Shoah Università di Roma Tre che ha ricordato Carlo Maria Martini attraverso una conferenza del 1984 che rivela l’amicizia, l’ascolto e il rispetto che egli sempre ebbe per l’ebraismo. Ha coordinato l’incontro la nipote del cardinale, Giulia Facchini. Un evento profuso d’intimità familiare (è stato voluto fortemente dalla sorella Maris Martini Facchini) e ricco di pensieri profondi, di rara bellezza, che ha avuto nell’arcivescovo di Chieti, fraterno amico di Martini, un interprete particolare. Non è facile aggiungere ancora qualcosa al “tutto” che è stato detto e scritto sul cardinale scomparso. Mons. Bruno Forte è riuscito a farlo, ricordando momenti inediti di una vita e di un percorso interiore che continuano a vivere più che mai fra noi. A cominciare da quel momento misterioso che un giorno vide un bambino di cinque anni entrare in una chiesetta di montagna, sostare stupito e affascinato dal lume della lampadina dell’altare ed avvertire «come sarebbe stato bello stare sempre davanti a Dio». Quel giorno nacque la vocazione al sacerdozio di colui che sarebbe diventato, e che continua ad essere, uno dei personaggi più luminosi e profetici della Chiesa italiana degli ultimi sessant’anni. Iniziò quell’intimità con il mistero dell’Assoluto che Carlo Maria Martini ha vissuto tutta la vita con un atteggiamento reverenziale, ma nello stesso tempo segnato da una ricerca inquieta e dialogante nei confronti di una Presenza viva nella sua carne e nella sua anima. Un uomo di Dio che non ha mai cessato di essere uomo fra gli uomini «nel rispetto verso ogni persona, nel desiderio di stare sempre in mezzo alla gente e con la gente, sempre pronto ad ascoltare le ragioni dell’altro. A fermarsi per aspettare il parlare dell’altro con il gusto del discernimento. Un biblista che ha bussato alla porta della parola per cercarvi le ragioni di una speranza da offrire agli uomini. Che sognava una Chiesa più collegiale dove tutti potessero far sentire la propria voce come cristiani adulti pensanti, memori che il credente non è che un povero ateo che ogni giorno si sforza di credere», ha detto mons. Bruno Forte. Anche come pastore, Carlo Maria Martini ha inaugurato uno stile familiare, privo di ogni solennità, solo frenato dalla sua timidezza ed elegante discrezione, dal farsi da lato per lasciare la scena agli altri. «Ha cercato di tirare giù la figura del Vescovo dalla nicchia in cui è stata sigillata per secoli. Per lui il vescovo era il fratello e l’amico di tutti, il servitore della parola di Dio, il sottoposto al Vangelo, ma anche colui che, per consolidare la sua fedeltà alla “buona novella”, dedica molto tempo alla preghiera. E’ colui che aiuta la Chiesa ad esprimere la tenerezza e la misericordia con cui Dio guarda ogni creatura, come ci ricorda papa Francesco», ha ancora detto Bruno Forte, illustrando la fedeltà di Martini all’Eterno e alla storia. «Uomo di contemplazione, di preghiera, innamorato del silenzio, Carlo», come affettuosamente lo ha chiamato in tutto il suo intervento, «sapeva che non si amerà mai Dio evadendo da quella storia dove l’Eterno si compromette ogni giorno. Questa fedeltà non è mai stata astratta, ma fatta di volti, della carne e del sangue di ogni uomo, d’incontri. Delle parole scritte per far giungere alle persone luce di una frase». La fedeltà all’eterno e la fedeltà alla storia sono stati i fili conduttori di una vita divisa fra gli studi e l’amore per la compagnia degli uomini con la quale Carlo Maria Martini ha sempre camminato nelle strade del mondo. Due fedeltà che, saldandosi fra loro, gli hanno permesso di leggere nel cuore della gente e di vivere il mistero della fede non attraverso una teologia teorica, ma con un contatto fisico con il fuoco divorante dell’Altissimo. Gli hanno permesso di liberarsi di ogni ideologia che non fosse quella del primato di Dio. Un primato anche sulla stessa Chiesa che tanto ha amato, ma per la quale anche ha tanto sofferto, quando la vedeva allontanarsi da questo primato. Il suo sogno era morire a Gerusalemme anche per quel profondo amore che ha sempre avvertito e praticato verso il popolo ebraico «custode di Dio», verso la fede d’Israele. La malattia lo ha obbligato a ritornare in Italia, nella casa dei gesuiti di Gallarate dove poteva essere curato e dove ha vissuto l’esperienza di una sofferenza che ha annientato il suo corpo, ma non il suo spirito, rimasto indomito fino all’ultimo. A conclusione del suo intervento, Bruno Forte ha ricordato con voce commossa l’ultimo incontro con il suo grande amico, poco prima che morisse: «Mi avvertirono che non gli rimaneva più molto tempo, corsi subito e giunsi mentre si concludeva la Messa che avevano celebrato nella sua stanza. Era come assopito, gli lessi la lettera che gli avevo scritto nella luce della speranza condivisa. Poi gli presi la mano e recitai il Padre Nostro. Le sue labbra si mossero sommessamente in sintonia con le mie. Nell’ultimo Padre Nostro della sua vita c’era la sintesi di tutta la sua esistenza e della sua esperienza contemplativa: pregare e stare sulla soglia dell’infinito, prigioniero della speranza, testimone luminoso di due fedeltà: alla storia ed all’eterno». Mariapia Bonanate
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