L'embrione in collegio

«Sono proprio ammattiti», è stata l’esclamazione dell’embrione quando si accorse di essere stato depositato in un utero affittato. «Sono andati sulla Luna, hanno perforato la terra per estrarre metalli e petrolio, hanno messo una intera Treccani in un dischetto, hanno trasformato stracci in carta pregiata, sono riusciti persino a costruire cuori artificiali, a leggere nel mistero dell’atomo e mille altre cose straordinarie, ma hanno perso il buon senso.

Se l’utero fosse un semplice contenitore non ci sarebbe alcuna difficoltà a mettermi in questo o quell’utero. Sarebbe come quando uno nasce prematuro: non ha importanza in quale culla termica lo mettano, purchè funzioni. Ma l’utero non è un semplice contenitore, è la mia mamma. Possibile che questi cervelloni non lo capiscano? Mi hanno già fatto una violenza perché mi hanno separato dalle persone che mi hanno dato la loro vita, e mi hanno trasferito in un’altra persona che mi è completamente estranea. Pensano di essere persone raffinate e non capiscono le cose più semplici, come, nel mio caso, l’importanza del legame profondo che unisce la mia persona alle persone che hanno deposto in me la loro stessa vita. I giudici hanno detto che non c’è nulla di irregolare. Ma vorrei vedere cosa farebbero se, quando nasce loro un figlio, si trovassero tra le braccia un bimbo che non è il loro, per uno scambio di culle, e li calmassero dicendo di non fare tante tragedie perché un figlio vale l’altro. Immagino la rabbia e le azioni legali per riavere il proprio figlio  e per punire quelli che hanno fatto quel tragico scambio».

«Ma per me tutto deve andar bene, perché per loro sono una “cosa” e possono mettermi su un vetrino, o in un congelatore, o nell’utero della donna che fa loro più comodo. Come fanno a non capire che per me l’unico luogo in cui desidero abitare è quello della donna che con il mio papà mi hanno dato la vita. La stessa vita ci lega, la stessa umanità vive in me e in essi, lo stesso sangue circola in noi. Si dice che tra noi si è creata una unione viscerale, ma forse è meglio dire che è un legame ontologico, nel senso che la stessa vita pulsa in me e in loro. Nei primi nove mesi, mentre sono nell’utero della mia mamma, le mando segnali e lei mi passa attraverso il cordone ombelicale tutto il necessario per sviluppare quella sua vita che ha messo nella mia vita. Non è un fatto solo biologico, ma sono continui gesti di amore, perché non mi passa solo il nutrimento fisico, ma tutta la sua umanità fatta di calore, di affetto, di amore, di attenzione, di dedizione, di trepidazione. Fin dal primo istante sono il suo figlio e lei è la mia mamma».

«Anche quando mi mettono nell’utero di un’altra donna mi viene passato il necessario per vivere e svilupparmi. Ma non è la mia mamma, non porto in me la sua vita, mi trasmette una iniezione di vita diversa. E’ la stessa differenza che c’è tra il vivere in famiglia e il vivere in un collegio. Quando saranno finiti i nove mesi e uscirò alla luce, pensando che finalmente troverò la mia mamma, mi metteranno invece tra le braccia di una donna, una estranea che non porto nel mio Dna e nel mio patrimonio cromosomico. Mi sentirò come il ragazzo che dopo aver vissuto nell’anonimato del collegio e aver sognato ogni giorno la sua mamma, al ritorno si trova tra le braccia di una sconosciuta, e si sente dire che tutto è regolare. E se tra me e la mamma provvisoria si è creato un legame affettivo (e si crea, perché non si dà vita per nove mesi senza che nasca un qualche legame) questo legame viene spezzato con una indifferenza che denota solo la rozzezza di chi lo compie».

La perdita del buon senso genera mostri. Gli uomini hanno perso il dono prezioso del buon senso, che è la ragione non ancora condizionata da interessi e ideologie. Non sanno più distinguere tra uomo e donna, tra uomini e animali, tra unione omosessuale e eterosessuale, tra bene e male, tra adolescenza e maturità, tra dominio e servizio… Tutto è uguale, non esistono differenze e in questo modo credono di essere diventati saggi e tolleranti. Invece hanno perso la ricchezza della varietà della vita. Un esempio semplice. L’uomo raccoglie il grano e i frutti della terra, se ne impossessa e dice che sono sua proprietà. Dimentica un fatto elementare: non è stato lui a far germogliare il grano. Il suo intervento si è limitato a seminarlo, sarchiarlo, raccoglierlo in covoni, ma la trasformazione del chicco in spiga è stata opera della terra e del programma di vita racchiuso in quel chicco. Dovrebbe ringraziare la terra, il seme e il Creatore della terra e del seme. Una volta lo faceva, come Abele che offriva al Signore le primizie del raccolto per ricordare a se stesso che quello che aveva tra le mani era dono di Dio. Oggi invece gli uomini si comportano come il padrone di una fabbrica che pretende di impossessarsi dei prodotti senza pagare gli operai, dicendo che quei prodotti sono suoi perché sua è la fabbrica e le macchine che li hanno prodotti.

L’uomo si comporta allo stesso modo con la vita E’ mia e ne faccio quello che voglio. Dimentica tre verità semplicissime: a) che l’uomo è capace di creare vita è perché Qualcuno ha messo in lui questo potere; b) che la vita che è stata procreata deve essere trattata col rispetto che è dovuto alla persona umana; c) che questo rispetto è dovuto fin dall’inizio del suo primo apparire nell’esistenza. Non esiste nei confronti della persona umana lo jus utendi et abutendi, come non è l’uomo che stabilisce quando deve iniziare il rispetto per l’uomo, perchè questo rispetto nasce con l’uomo stesso. All’uomo spetta solo riconoscerlo e rispettarlo. Si polemizza contro la sperimentazione sugli animali e si chiede giustamente  che vengano trattati come si conviene a dei viventi-sensitivi, e poi non si dice nulla contro la decisione di usare esseri umani (tali sono gli embrioni) per la sperimentazione, o per strapparli al processo naturale del loro sviluppo, lasciandoli in balìa dell’arbitrio dell’uomo.

L’utero in affitto specula sulla sofferenza della coppia sterile, sfrutta la miseria di chi presta l’utero, ma soprattutto infligge al figlio la violenza di essere strappato ai suoi genitori naturali e di costringerlo a vivere in una estranea. Aveva ragione Achille Campanile quando in una della sue novelle diceva: «Siamo fragili come cristalli e ci diamo botte da orbi». E per dare botte da orbi ci serviamo talora della ragione e del diritto, che dovrebbero invece essere usati per difendere e promuovere la vita e la dignità della persona.

Giordano Muraro o.p.



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