I Bot o le rendite cosa è meglio tassare?

Il nuovo esecutivo è nato da poco. E già si rincorrono voci su nuove tasse sulle rendite finanziarie. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ha annunciato che non ci saranno patrimoniali: «Il governo», ha detto, «valuterà un aumento delle tasse sulle rendite finanziarie che, al momento, non sono in linea con la tassazione europea al 25 per cento.

Tassare le rendite per destinare risorse alla fasce più deboli. Un valore che, a conti fatti dovrebbe aggirarsi sui 25-30 euro per chi ne ha da parte 100 mila». Qualche ora dopo la dichiarazione, arriva però una precisazione di Palazzo Chigi: non ci sarà nessuna nuova tassa, ma una rimodulazione delle rendite finanziarie e delle tasse sul lavoro. Anche il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, aveva però annunciato, qualche settimana fa, che ci sarebbe stata una rimodulazione della tassazione, anche se non una vera e propria campagna contro il risparmio.

Renzi intende utilizzare questa mossa per alleggerire l’imposizione sul lavoro: lo chiede il popolo del Pd e tutti coloro che percepiscono il divario non solo di fiscalità, ma anche di rischio e redditività dell’investimento finanziario rispetto al lavoro. Dal 23 al 45 per cento di Irpef in busta paga, vicino al 20 per cento per chi risparmia. La sfida per il nuovo governo non è tanto e non è solo quella di travasare i rispettivi gettiti rimodulando le aliquote, quanto di ridisegnare i contorni del mercato. Perché una cosa è la tassazione sulle plusvalenze finanziarie, che scatta al momento in cui il risparmiatore vende titoli o fondi per ragioni più spesso personali che legate alle contingenze dei mercati, un’altra è la patrimoniale, ossia il prelievo sui valori che da inizio 2014 è salito al 2 per mille e che quindi rappresenta un flusso costante su patrimoni la cui oscillazione è ridotta ogni anno a pochi punti percentuali.

Immediate le repliche, sia dagli alleati che dall’opposizione. «Sono convinto che, nel campo della politica economica, non si possa più procedere con il fallimentare sistema di un aumento ulteriore della pressione fiscale. Neanche per soddisfare esigenze improrogabili, come la riduzione del costo del lavoro», ha detto il presidente del Nuovo centro-destra Renato Schifani. Dello stesso avviso anche Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord. «Il governo Renzi-Merkel pensa di tassare i Bot. A me pare un'idea folle, demenziale, suicida», ha commentato.

I dati sui portafogli degli italiani, intanto parlano chiaro. Meno del 2 per cento dei risparmiatori detiene titoli azionari e, secondo la Banca d’Italia, il 7 per cento delle famiglie italiane ha in tasca un’obbligazione emessa dal Tesoro, anche se il dato è in diminuzione: nel 2000 erano l’11,7 per cento e le consistenze erano decisamente superiori.

Intanto sono iniziate a circolare le prime stime sui ricavi che arriverebbero da questa operazione. Premettendo che è davvero difficile delineare stime affidabili in questo campo, secondo i dati forniti dalla Banca d’Italia si potrebbe ipotizzare da un rialzo al 20 per cento dell’aliquota sui rendimenti dei titoli di Stato (tre volte circa le consistenze del precedente ritocco all’insù) e da un rialzo al 25 per cento della tassazione sugli altri strumenti finanziari, un gettito aggiuntivo per il fisco tra i 4 e i 6 miliardi e mezzo di euro l’anno. Ma per far incassare così tanto bisognerebbe intervenire a prescindere dal capitale investito, se si vogliono trovare le coperture coerenti per gli obiettivi previsti. A meno che non si vogliano anche toccare altre voci. E comunque sarebbe un obiettivo molto lontano dai 10-12 miliardi di euro necessari per la riduzione del cuneo fiscale.

Ma una mossa di questo genere è davvero utile all’economia in questo momento? L’abbiamo chiesto ad Andrea D’Alonzo, ricercatore di Economia e Finanza dell’Università Bicocca di Milano.

Tassare i Bot può essere così significativo per le casse dello Stato?

Per valutare questa iniziativa nel modo corretto bisogna fare innanzitutto una precisazione. In questo caso, infatti, si è parlato di fare una manovra di 10-12 miliardi per ridurre il cuneo fiscale di 5-6 punti percentuali. Per raggiungere questo obiettivo serve un pacchetto di misure non variabili. Mentre i Bot lo sono: dipendono dal mercato e dall’emissione che viene decisa di volta in volta. Non stiamo parlando di una patrimoniale. È bene considerare, poi, il legame tra l’aumento dell’aliquota e il gettito prodotto. In questo momento i nostri titoli di Stato godono di un buon appeal a livello europeo, mentre l’innalzamento dell’aliquota produrrebbe un minore collocamento nelle aste agli investitori pubblici e privati. Ci sarebbe inoltre un aumento del rendimento con conseguenze negative sul debito pubblico. E comunque all’interno della manovra il ricavato di questa operazione non risolve il problema: servono più soldi.

Ormai il rendimento dei titoli di Stato è calato ai minimi, non c’è il rischio che si privilegino altre forme di investimento (polizze vite, fondi...) sicuri e più remunerativi?

Il rischio c’è ed è ovvio, perché gli investitori non avrebbero alcun interesse nell’investimento. I Bot sono tassati in Italia del 12,5 per cento, il massimo rendimento è del 3 per cento lordo, da cui vanno tolte l’imposta, l’inflazione e le spese delle commissioni bancarie. C’è il rischio che gli investitori vadano altrove alla ricerca di prodotti più remunerativi. Non dimentichiamo, poi, che l’articolo 47 della Costituzione dice che bisogna favorire e proteggere i risparmi privati degli investitori.

Tassare le grandi rendite finanziarie non potrebbe essere più conveniente per lo Stato in questo momento?

A questo proposito bisogna fare una distinzione. Dal punto di vista dell’equità sociale tassare le grandi rendite finanziarie è assolutamente corretto, perché in Italia l’investimento in titoli di Stato è preferito dalle famiglie. Le grandi rendite dei patrimoni speculativi investono in altro. È vero che i titoli di debito pubblico spesso sono contenuti anche in altri strumenti finanziari, ma il grosso degli investitori sono i piccoli risparmiatori. Teniamo conto, però, che i patrimoni speculativi sono più tassati all’estero che da noi: alzare la tassazione anche qui vorrebbe dire perdere capitali importanti e sicuramente ora come ora non possiamo permettercelo.

Quali altre opportunità ci sono dunque di fare cassa senza gravare sempre sui soliti piccoli risparmiatori?

In questo momento, a mio avviso, elevare le tasse non è la sola strada possibile per ridurre il cuneo fiscale. Il vero problema dei nostri conti pubblici è la restrizione della spesa pubblica. Non bisogna tanto fare cassa, quindi, quanto spendere di meno per ponderare i conti dello Stato. Non si può pensare di trovare quella che io chiamo la “tassa d’oro”, quella cioè in grado di sistemare tutti i problemi da sola. Sono necessarie riforme strutturali a partire dalla riduzione della spesa pubblica che deve essere rifondata. E quando parlo di spesa pubblica non intendo solo le “auto blu” o gli stipendi troppo alti dei dirigenti pubblici, ma innanzitutto l’efficienza della pubblica amministrazione. Un tema di cui si parla da anni e per cui si è fatto ancora troppo poco.

Cristina Conti



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