Scuola, Renzi promette (dopo tante delusioni)

Una boccata d’ossigeno per la scuola, stremata da anni dai tagli imposti da Tremonti e Gelmini. Così si potrebbe sintetizzare il proposito del nuovo presidente del Consiglio Matteo Renzi di porre al centro dell’azione di governo il rilancio dell’immagine e della funzione della scuola italiana. Se Renzi, con il contributo del neoministro dell’Istruzione Stefania Giannini, riuscirà anche solo in parte a realizzare l’ambizioso programma che in sede di presentazione del governo ha sinteticamente illustrato, si potrà sicuramente parlare di una vera e propria svolta nella vita scolastica italiana.

Il progetto di Renzi si articola in sostanza su tre punti. In primo piano c’è l’esigenza di mettere in sicurezza o ripulire quel terzo di istituti decisamente fuori legge oppure in precarie condizioni. «La scuola deve essere non solo sicura, ma anche bella», ha dichiarato Renzi: non si può davvero dargli torto, perché la cura per l’edificio scolastico è il simbolo della stima e della sollecitudine di una società verso l’istruzione.

Secondo il presidente del Consiglio si potrebbe già approfittare delle prossime vacanze estive per cominciare a ristrutturare un cospicuo numero di scuole. Sarebbe anche un modo per dare lavoro al mondo dell’edilizia, concorrendo a farla uscire, almeno parzialmente, dall’attuale crisi.

Un secondo capitolo riguarda il rilancio dell’immagine sociale dell’insegnante, rilancio che, a sua volta, dovrebbe essere agganciato a una concezione meritocratica della professione legata alla valutazione dell’attività docente. Il ministro Giannini ha anticipato, in alcune interviste, l’intenzione di spostare una parte delle risorse destinate agli scatti automatici di stipendio verso gli insegnanti migliori, ponendo in tal modo la parola “fine” a un trattamento economico che, nel bene e nel male, appiattisce tutti allo stesso modo.

Verso i docenti andrebbe, poi, avviata una forte iniziativa in termini di formazione continua. «Nessuna professione come quella degli insegnanti», ha detto Stefania Giannini, «ha bisogno di essere continuamente sollecitata e ripensare la propria attività. Mi riferisco non solo agli aspetti info-telematici, ma ben più sostanziosamente a tematiche come quelle relative alle pratiche dell’insegnamento, ai nuovi contenuti culturali e alla gestione della relazione con gli allievi».

Infine la parte più sostanziosa del piano riformatore di Renzi riguarda la rivisitazione del sistema scolastico con una particolare attenzione alla scuola media (giudicata l’«anello debole» della scuola italiana, anche se in proposito i pareri degli esperti non sono univoci) e al rilancio dell’autonomia scolastica in modo da far transitare l’istruzione pubblica da un sistema «statale» e un sistema «della società civile».

Non è necessario essere qualificati esperti per capire la vastità e la complessità del piano scolastico che ha in mente il presidente del Consiglio. L’idea non è tanto quella, almeno parrebbe, di inoltrarsi per i marosi di un ennesimo progetto di riforma globale (vedi i fallimenti di Belinguer prima e di Moratti dopo), quanto di intervenire su alcuni segmenti ritenuti particolarmente strategici (edilizia, insegnanti, scuola media, autonomia).

Resta da chiedersi con senso realistico, ponendoci ora nelle vesti dell’“avvocato del diavolo”, quali difficoltà potrebbero intralciare quanto il governo si prefigge di attuare.

In via preliminare molti osservatori hanno fatto notare che, per la terza volta di seguito, al ministero dell’Istruzione è stato chiamato un ex rettore. Stefania Giannini ha infatti governato l’Università per stranieri di Perugia dal 2004 al 2013, quando Monti l’ha inclusa nelle liste di Scelta civica. Molto esperta di politica universitaria, la Giannini stessa ha dichiarato di essere alquanto digiuna di questioni scolastiche e ha assicurato di «lavorare come una sgobbona per imparare in fretta». Forse le sarà sufficiente farsi accompagnare da esperti competenti. Certo è che Renzi dovrà scontare una fase, più o meno ampia non sappiamo, di apprendistato del suo ministro.

I sindacati della scuola, dal canto loro, non hanno perso tempo per innalzare barriere contro le dichiarazioni della Giannini in merito alla premialità prevista per i docenti più bravi. Le vicende degli ultimi anni sono piene di buone intenzioni in tal senso, tutte infrante contro le resistenze sindacali contrarie a vedere compromessa l’eguaglianza di trattamento. I sindacati già diffidano delle rilevazioni dell’Invalsi, figurarsi quelle compiute sul lavoro dei docenti.

Tentò, a suo tempo, Berlinguer e mal gliene incolse, perché la Cgil chiese la sua testa e dovette lasciare il ministero. Provò anche Moratti, ma senza esito alcuno. Infine la Gelmini, più prudentemente, avviò una semplice sperimentazione (nota con il titolo «Valorizza») che andò in porto a fatica, scontando la netta opposizione dei sindacati. Il prof. Profumo non diede corso ai risultati acquisiti, lasciò perdere, ben capendo che non avrebbe portato da nessuna parte.

In tutti i principali Paesi europei si premiano in vario modo i docenti migliori. In Italia, invece, resiste il mito egualitarista di eredità sessantottina: tutti pagati poco, ma tutti uguali. Tanti auguri al ministro Giannini, ma non sarà facile smontare questo pregiudizio.

Non meno arduo appare il proposito di potenziare l’autonomia delle scuole mediante un nuovo sistema di reclutamento che dia la possibilità ai singoli istituti (o a una rete di istituti) di scegliere i maestri e i professori più corrispondenti alle esigenze specifiche locali. Si tratta di un’ottima idea, che riprende quanto già in uso nelle scuole partitarie, le cui possibilità di attuazione furono esplorate nella scorsa legislatura da un progetto firmato dall’ex sottosegretario della Moratti, on. Valentina Aprea. Gli esiti furono, anche in questo caso, infausti e dopo lunghe discussioni il progetto finì nel cestino.

Le resistenze alla fine delle graduatorie dei supplenti e incaricati furono di varia origine: sindacali a tutela di chi è già incluso nelle graduatorie stesse, ma anche di parte leghista (Bossi pretendeva una sorta di reclutamento su base regionale) e infine non secondarie furono le pressioni della burocrazia ministeriale, contraria alla eventualità di essere estromessa dalla possibilità di esercitare un controllo sui concorsi.

Quanto alla riforma della scuola media le opzioni in discussione in sede di esperti svelano intenti diversi: chi vorrebbe articolare il ciclo primario in due scuole scolastiche diverse (quattro anni di elementari e quattro di medie), chi lo vorrebbe elementarizzare con un ciclo unico settennale, chi infine preferirebbe lasciare le cose come stanno, con interventi mirati a rafforzare le debolezze attuali del triennio medio.

Non vorremmo aver dato l’impressione di un certo scetticismo rispetto ai progetti di Renzi e Giannini. Ma ribadiamo quanto abbiamo detto all’inizio: se anche solo una minima parte dell’ambizioso programma andasse in porto sarebbe già da ritenere un risultato più che positivo. Per intanto, godiamoci un po’ d’aria nuova.

Giorgio Chiosso

 



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