![]() Accesso utente |
Renzi, augurio dovutoRaramente si è vista in Italia tanta concordia nel giudizio sull’incipit di un nuovo governo. I commentatori professionali hanno insistito tutti sul dualismo forma e sostanza, parole e progetti concreti, che avrebbe caratterizzato i discorsi pronunciati da Matteo Renzi al Senato e alla Camera per ottenere la loro fiducia. Era da aspettarselo, era fin troppo facile immaginarselo anche prima dell’evento, sull’esempio e sulla scia di un procedimento per la conquista del potere istituzionale iniziato, dopo la scalata alla segreteria nazionale del Partito democratico attraverso primarie fin troppo trionfali, con l’eliminazione raggelante del precedente governo presieduto certo non indegnamente da Enrico Letta (applaudito dai colleghi deputati al suo arrivo alla Camera durante il dibattito sulla fiducia a Renzi, e abbracciato da Bersani, tornato apposta a Montecitorio dopo l’ictus cerebrale per abbracciarlo, come ha detto). Adesso Renzi è a Palazzo Chigi, e tutti gli italiani sanno che «se fallisce la responsabilità sarà tutta sua». Lo ha detto ai suoi ascoltatori a Palazzo Madama, già annichiliti dall’annuncio di essere gli ultimi senatori a dar vita a un nuovo governo: la Camera alta diventerà altro, la sua aula ospiterà rappresentanti di altre istituzioni, non votati, non retribuiti, non chiamati a legiferare. Così ha in programma Matteo Renzi. In realtà, quel dualismo così prossimo a essere interpretato come una pausa passeggera di un percorso che si sa già come andrà a finire (si propende silenziosamente per il fallimento del renzismo, con una maggioranza di soli 8 voti al Senato e le riserve esplicite di qualche deputato del Pd, come Stefano Fassina) ha una sua insussistenza generata dal carattere stesso del premier più giovane nella storia della Repubblica. Proprio quella frase, «la responsabilità sarà solo mia», lascia intendere che Matteo non accetta per sua natura di essere sospettato di doppiezza e di facilità ai compromessi. Un esempio. Sa che il suo maggiore e più numericamente consistente alleato, Alfano, non desidera una veloce riforma del sistema elettorale per non rischiare che si vada a votare molto presto, il che significherebbe la scomparsa sua e del suo Nuovo centro-destra dal Parlamento; e sa che il peggiore nemico di Angelino è Berlusconi, che invece vorrebbe che si andasse il più presto possibile alle urne. Ma pur sapendo questo, ha detto lunedì che une delle decisioni più immediate sarà proprio la riforma della legge elettorale, come da lui concertata insieme al Cavaliere. Fra un alleato attualmente certo e uno limitato a quella legge, ha mostrato di non avere dubbi. Accetta il rischio. Così dicasi per tutto quello che Renzi ha prospettato in termini per lo più evasivi a proposito dei grandi e gravi problemi del Paese: il fisco, il lavoro, la semplificazione della burocrazia, la scuola, il pagamento dei debiti dello Stato verso le imprese, la massima trasparenza nelle spese pubbliche, senza entrare nel merito di nessuno di essi, nemmeno per quanto riguarda l’aumento dell’imposta sui Bot, suggerito con una “gaffe” dal suo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Delrio. Non ne ha parlato pubblicamente, ma sappiamo che il primo ministro con il quale ha trattato finora testa a testa su uno specifico problema è quello all’Economia, Padoan, il quale conosce come ben pochi altri tutti i segreti delle finanze dello Stato italiano, Bot compresi. Un’altra cosa di cui non ha parlato esplicitamente è l’Europa e il rapporto del nostro Paese con l’Unione, che sarà guidata per sei mesi a partire da luglio proprio dal governo di Roma, in parallelo con le elezioni del nuovo Parlamento di Strasburgo il 25 maggio. Renzi sa benissimo che quella chiamata dei cittadini europei alle urne rischia di travolgere una istituzione oggi messa sotto accusa da una parte consistente di quei cittadini, grazie alla presenza di partiti populisti antieuro, come da noi il M5S e in Francia il Front National di Marine Le Pen. Perché non ne ha parlato? Perché il suo discorso non era rivolto sostanzialmente a un pubblico di natura politica, come quello che aveva davanti a sé, ma a tutti i cittadini italiani, già oberati di preoccupazioni concrete e immediate e che quindi era meglio non coinvolgere su un argomento di complicata ed elettoralmente insidiosa caratura internazionale. Idem dicasi per questioni come la Tav e altre grandi opere di ristrutturazione del territorio, delle quali continuerà a occuparsi uno dei pochi ministri già presenti nel governo Letta, cioè Maurizio Lupi del Ncd. Infine, almeno una parte dei commentatori ha insistito sulla inesperienza di questo o quel ministro, uomo o donna, giovane e mai chiamato a compiti così importanti. Ma anche Matteo Renzi ha solo 39 anni, non avrebbe potuto, per via dell’età, essere nominato da Napolitano senatore a vita, come è capitato a Mario Monti, e dunque non ha trovato nessuna difficoltà a chiamare accanto a sé persone nate dopo di lui: Maurizio Martina (35 anni) all’Agricoltura, Maria Elena Boschi (33) alle Riforma e ai Rapporti con il Parlamento, Marianna Madia (33 anche lei, e incinta all’ottavo mese) alla Semplificazione della burocrazia. Si vede che si fida. Come si fida del nuovo ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi (44 anni) figlia di un notissimo industriale proprietario della Ducati e di altre imprese energetiche con impegni di forniture di mezzi e servizi allo Stato, e a sua volta già presidentessa dei giovani di Confindustria e titolare di molti incarichi nelle aziende famigliari, dai quali si è dimessa. Su «la Repubblica» è stato scritto che avrebbe partecipato recentissimamente insieme al padre a una cena nella villa di Berlusconi ad Arcore, ma lei lo ha negato. Il M5S l’ha accusata in Senato di sostenere un grande conflitto d’interessi e l’on. Fassina ha detto che ne chiederà le dimissioni: ma non c’è nessun reato nel partecipare contemporaneamente al governo e a una proprietà industriale privata famigliare, se lo si fa alla luce del sole e senza inghippi illeciti. Qui arriviamo ai pettegolezzi, e a noi non piacciono. Mentre non è un pettegolezzo ricordare che Matteo Renzi è un cattolico osservante, va a messa tutte le domeniche con la moglie e i tre figlioletti, è stato in gioventù capo scout e per quanto riguarda i “diritti civili” tanto caldeggiati dalla maggioranza del suo partito si è limitato a ripetere, in Parlamento, che punterà a «generici compromessi». E fargli gli auguri per il compito immane che si è assunto vuol dire fare soprattutto all’Italia l’augurio che egli ci riesca. «Velocemente» o non troppo in fretta, purché bene. Beppe Del Colle
|