![]() Accesso utente |
Mazzonis, un artista in cerca di assolutoQuando lo incontravo per le vie del borgo Vanchiglia mi salutava togliendosi il cappello, con un gesto ormai inconsueto. Sempre elegantissimo, un loden verde con mantellina d'inverno, un impermeabile chiaro in primavera e l'immancabile cravattino, Ottavio Mazzonis, pittore e scultore, era una figura indimenticabile. Una mostra da non perdere, in questi giorni a Torino, «Arte Sacra» al Collegio San Giuseppe, ci ripropone il suo profilo d'artista. Da non perdere perché è la prima personale allestita dopo la morte dell'artista nel 2010. Un artista che pochi conoscono fuori dal giro degli addetti ai lavori, un pittore che ha vissuto per l'arte e ha lasciato opere di assoluta bellezza. La mostra s'inserisce nel percorso espositivo nato dalla collaborazione fra il Collegio San Giuseppe di Torino, dei Fratelli delle scuole cristiane, e Donatella Taverna e Francesco De Caria, una coppia nella vita e nella passione per l'arte. «Arte Sacra», curata da fratel Alfredo Centra, direttore del Collegio, Francesco De Caria e Donatella Taverna, Silvia Pirracchio, presidente della Fondazione «Ottavio Mazzonis», presenta una sessantina di opere di argomento religioso. Ottavio Mazzonis era nato a Torino nel 1921 nello storico Palazzo Mazzonis (ora sede del Museo di arte orientale) in via San Domenico 11, discendente di una nobile famiglia. Il padre Federico, barone di Pralafera, faceva parte di quell'aristocrazia piemontese che aveva saputo rinnovarsi attraverso un'attività industriale o agricola, ed era proprietario di un'industria tessile; coltivava interessi nel campo della chimica e dell'astronomia ed era un grande collezionista d'arte. La madre Elisa Desio Boggio, apprezzato soprano prima del matrimonio, riceveva nel suo salotto grandi musicisti come Arturo Toscanini. Naturale che in tale ambiente Ottavio sviluppasse i suoi talenti nel campo delle arti figurative. Formatosi alla scuola dell’ottocentista Luigi Calderini, figlio del pittore e critico d'arte Marco Calderini, assimilò la lezione della grande tradizione pittorica europea, ispirandosi a Velazquez e Tiepolo, per giungere a una personalissima rielaborazione artistica, che si apre alle prospettive inquietanti della sensibilità moderna. Infatti nelle sue creazioni di carattere sacro e profano da una parte riconosciamo la leggerezza e luminosità delle scenografie del Tiepolo, dall'altra notiamo come il disegno e il colore diventino sempre più rarefatti, fino giungere al confine dell'informale. Fece il suo apprendistato presso Nicola Arduino, un pittore d'arte sacra ingiustamente dimenticato, allievo di Giacomo Grosso, che decorò molte chiese a Torino e in Piemonte: oltre che discepolo, gli fece anche da modello, come si può scoprire nel santuario della Consolata a Torino, dove in un grandioso dipinto, posto in una cappella laterale a sinistra, raffigurante san Carlo Borromeo, san Giuseppe con il Bambino e san Francesco Saverio, per la figura di san Giuseppe posò il giovane Ottavio Mazzonis. L'arte sacra fu un filone importante della sua produzione, ma non l'unico, anche se si può dire che la ricerca dell'assoluta bellezza, che caratterizza la sua opera in molti versanti, nasca sempre da una ricerca di Assoluto, che lo mette in contemplazione della verità. Mazzonis fu anche scultore e amico di Giovanni Taverna, al quale lo univano la comune passione e la medesima concezione dell'arte. La figlia Donatella ricorda le visite con il padre nel suo studio e l'affinità fra i maestri, talmente profonda che non c'era bisogno di parole per esprimerla. Fratel Alfredo chiama «Sacre conversazioni» le opere esposte, rifacendosi alla tradizione dell'arte sacra e sottolineandone il carattere di dialogo contemplativo tra il divino e il terreno. Ne è esempio il pezzo forte della mostra, «Giovanni Battista de La Salle», del 1990, la grande pala d'altare che celebra il santo fondatore dell'Ordine, proveniente da Villa Flaminia, la sede romana dei Fratelli delle scuole cristiane, in cui, nota fratel Centra, «il santo è rappresentato nella sua dimensione più autentica: un bel volto austero, ma sereno; la mano destra tiene un libro con il gesto di chi è avvezzo alla cultura. I bambini e i giovani che lo circondano respirano serenità. [....] Mazzonis in questa opera rifugge da ogni tratto di letteratura devozionale e compone una scena protetta da possibili intrusioni, sospesa in una pacata perennità, eppure provvista del fremito della giovinezza simboleggiato dal vortice di nubi nel cielo». L'opera è accompagnata da una nutrita serie di disegni e bozzetti preparatori, che ci dicono l'attenzione dell'artista ad ogni particolare e il suo non lasciare niente al caso o all'improvvisazione. La personalità di Mazzonis si rivela in un bellissimo «Autoritratto» del 2004, che lo mostra con gli occhi socchiusi e il volto un po' crucciato e sdegnoso: perfetta immagine dell'artista da vecchio, afflitto dalla sofferenza, forse, per non essere riuscito a creare il «capolavoro assoluto» e a trasmettere la sua lezione al mondo artistico contemporaneo. Questo era un vero e proprio assillo per Mazzonis, il quale, rimanendo di proposito fedele alla grande tradizione classica, veniva poco considerato (se non ignorato) da coloro che inseguono le mode del momento e poco valutano le esperienze che a tale patrimonio si ispirano. Quale considerazione avesse Mazzonis per l'arte prezzolata si vede nella «Cacciata dal tempio», una composizione dinamica e turbinosa, dove è chiara l'allusione a chi fa dell'arte un semplice prodotto di mercato. In due bellissime Maternità, una «Madonna con Bambino» del 1975, proveniente da Villa Flaminia, e una «Maternità inedita» del 1990, apprezziamo la maniera con cui Mazzonis si ispirava all'arte classica, attualizzandola e personalizzandola: nella Madonna del '75 spicca la dimensione verticale e Maria, un po' altera, sa bene la grandezza del bimbo che tiene fra le braccia; nella «Maternità» del 1990 le due figure disegnano una composizione curvilinea, in una dimensione più terrena e più tenera. Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Ottavio Mazzonis e di poter entrare nel suo studio, alto sulle rive del Po, dalle pareti altissime. Si entrava in silenzio, con la consapevolezza di trovarsi di fronte all'arte nella sua purezza: si ammiravano grandiose pale di argomento sacro o profano, allegorie, ritratti. Ci riceveva con quel tratto signorile che era innato in lui e che conviveva con la modestia e l'umiltà del suo essere artista, un artista molto severo verso se stesso, sempre in ricerca, col sogno di realizzare il «capolavoro assoluto», come ci ricorda Silvia, che per trent'anni è stata a fianco del maestro e ricorda di lui il tormento di non riuscire a realizzare in pieno i suoi intendimenti artistici. Noi invece pensiamo che li abbia realizzati. La mostra, «Ottavio Mazzonis. Arte sacra», è aperta fino al 17 marzo al Collegio San Giuseppe (via San Francesco da Paola 23) a Torino. Orario: da lunedì a venerdì, 10-12 e 16-18. Sabato 10-12. Ingresso libero. Gianna Montanari
|