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Industria Italia tutta da ricostruire«La nascita di Fiat Chrysler Automobiles (Fca) non fa che confermare, con maggiore evidenza, quanto da tempo era noto, e cioè che la confluenza di Fiat e Chrysler in un nuovo gruppo globale dell’auto implica un distacco da Torino. La città non è più la base di riferimento del nuovo gruppo, che incorpora la realtà italiana entro un diverso contesto operativo e strategico». A dispetto di tante versioni un po' edulcorate su quanto sta accadendo nel mondo Fiat e riguardo alla presenza torinese del grande gruppo automobilistico, Giuseppe Berta offre una cruda e realistica lettura degli ultimi avvenimenti che hanno visto protagonista la casa del Lingotto. Berta, docente all'Università Bocconi di Milano e studioso di economia industriale, ritiene che «questo mutamento, di natura e di prospettiva, sia del resto implicito nella nuova sigla, che è in inglese. Si dirà che la parola automobiles è immediatamente comprensibile a tutti: certo, ma lo è anche in italiano. D’altronde, i due soggetti del passato, Fiat e Chrysler, sono appaiati perché il pubblico americano non avrebbe accettato che la fusione implicasse la scomparsa del loro storico marchio». Professore, il trasferimento della sede fiscale in Gran Bretagna può considerarsi un primo disimpegno? La scelta di fissare la sede fiscale di Fca a Londra è coerente col carattere globale del gruppo, che ricerca le condizioni di miglior vantaggio a livello internazionale, senza badare alla localizzazione. Il Regno Unito è stato scelto per il vantaggio che assicura sul piano della tassazione dei dividendi e il Lingotto non ha esitato a usufruirne. Così come non ha esitato a preferire l’Olanda come sede legale, perché la legislazione olandese tutela maggiormente le prerogative degli azionisti di controllo. Si tratta nell’uno e nell’altro caso di opzioni legittime, ma che lasciano trasparire come non ci sia più un occhio di riguardo verso l’Italia. D’altra parte, il nostro Paese fa troppo poco per dare opportunità particolari a chi investe e non ha fatto nulla per trattenere l’ex Fiat. Cosa si poteva fare? Certo non era possibile condizionare le decisioni della Fiat come ha fatto il governo francese con la Psa (Peugeot-Citroën). Anzitutto perché l'Italia non dispone dei capitali necessari e anche perché, se pure li avesse avuti, l'Unione europea sarebbe stata meno tollerante, riguardo ad un intervento pubblico, a causa del nostro debito. Peraltro non è affatto detto che la strada scelta dalla Francia sia necessariamente la migliore. Quali alternative potevano emergere? Magari si poteva fare qualcosa di diverso, avviando una seria politica industriale che precisasse innanzitutto il ruolo strategico della produzione automobilistica nel nostro sistema produttivo. E a questo sommare un maggior impegno nella creazione dell’area di libero scambio tra Europa e Stati Uniti allo scopo di favorire l’export di auto, che nella nuova strategia Fiat costituirà un tassello importante. Quali prospettive, dunque, per gli stabilimenti e le produzioni italiane? Il destino di lungo periodo della produzione automobilistica in Italia è, a mio giudizio, legata soprattutto al successo del cosiddetto “polo del lusso”, che dovrebbe diventare l’asse più qualificante della presenza degli impianti di Fca nel nostro Paese. Il primo passo di questa strategia, che tende a riposizionare il prodotto nella gamma più alta, si è avuto con l’avvio dello stabilimento Maserati di Grugliasco, da cui attualmente escono la Quattroporte e la Ghibli. Questi modelli stanno conoscendo una brillante affermazione nel mondo se, come pare, gli ordini per il marchio Maserati ammontano già a 40 mila vetture per il 2014. Ma ora viene la parte più difficile e importante dell’operazione: il rilancio del marchio Alfa Romeo, che dovrebbe congiungersi a quello Maserati e completare così la configurazione del “polo del lusso”. Nei prossimi anni si vedrà se questa strategia, che richiede grandi capacità ma anche considerevoli risorse, avrà avuto successo. L’industria italiana deve sperare che le cose vadano bene. Venendo alla politica economica, quali misure potrebbero davvero favorire la ripresa? Da noi la crisi economica picchia più forte che negli altri Paesi perché l’Italia non ha più un assetto produttivo ben definito. Dobbiamo ricostruire un’architettura economica e produttiva, lungo precisi assi strategici, ma ciò esige lungimiranza da parte delle istituzioni e richiede che si tracci una gerarchia di priorità. Oggi questa manca totalmente, come si è visto in modo lampante durante il dibattito sulla Legge di stabilità. Il Jobs act, recentemente proposto dal Pd, può essere una risposta adeguata? Del cosiddetto Jobs act sappiamo ancora troppo poco perché si possa darne un giudizio ponderato. A giudicare dalle intenzioni pare trattarsi di un complesso di misure che hanno lo scopo di semplificare l’assetto del mercato del lavoro, spezzandone le segmentazioni interne. Se sarà così, ben venga. Ma non è certo la legislazione a creare i posti di lavoro. Essi possono venire soltanto da un rilancio dello sviluppo che la normativa sul mercato del lavoro può solo cercare di accompagnare. E oggi anche le previsioni positive sul Pil non lasciano intravedere speranze per l’occupazione, a causa dell'esiguità del tasso di crescita. Alitalia: un'intesa con Etihad può essere una soluzione? Un accordo internazionale per l’Alitalia doveva essere realizzato anni fa, quando le condizioni sarebbero state molto migliori. Ora bisogna accontentarsi di quanto c’è sul mercato. Un partner arabo potrebbe mettere fine alle prolungate sofferenze di quella che un tempo è stata la nostra compagnia di bandiera e che non ce la fa più a campare con i propri mezzi. Naturalmente anche un accordo di questo genere avrà delle conseguenze, per esempio sul nostro sistema aeroportuale. Che idea si è fatto del caso Electrolux? L’Electrolux rappresenta un caso da manuale. Per sopravvivere, le produzioni industriali del nostro Paese devono forzatamente spostarsi verso i segmenti di alta gamma con prodotti di qualità che incorporano elevato valore aggiunto. Quello che, a ben vedere, sta tentando di fare il Lingotto. Nel caso dell’industria degli elettrodomestici significa che noi non possiamo competere con chi produce le stesse cose a costi più bassi. Il nostro Paese dovrebbe invece confrontarsi con la sfera della domotica, vale a dire della regolazione intelligente e a distanza delle apparecchiature e degli utensili di casa. Altrimenti saremo continuamente alle prese con altri Paesi che lavorano a costi concorrenziali rispetto ai nostri. Cuneo fiscale: qualcosa è stato fatto, quale è la sua valutazione in proposito? Se si vuol tentare di abbattere il cuneo fiscale sul costo del lavoro bisogna affrontare la questione con ben altra energia. Ciò che ha fatto il governo ha soltanto valore simbolico, perché non incide sulla sostanza del problema. A mio avviso, non si tratta dell’unico modo possibile per favorire il rilancio delle funzioni produttive, ma certo il peso fiscale di cui sono gravate le prestazioni di lavoro rappresentano un deterrente a investire in Italia, come ha appena mostrato il caso Electrolux. Il fatto è che per aggredire il cuneo fiscale ci vogliono risorse assai più ingenti e tempi piuttosto rapidi, altrimenti la battaglia è persa in partenza. Improvviso cambio della guardia Letta-Renzi a Palazzo Chigi. Quale è la sua valutazione? Trovo incomprensibile questa crisi di governo, di cui nessuno ha spiegato le ragioni. Non si capisce quale sarà il programma del nuovo esecutivo, quali le priorità e i contenuti dell'azione politica. Il quadro è dunque quanto mai incerto e c'è solo da augurarsi che tutto si possa chiarire nei prossimi giorni, perchè siamo in una situazione di grave emergenza produttiva e occupazionale. E il Paese attende delle risposte. Aldo Novellini
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