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Le due Svizzere del referendumDomenica 9 febbraio la maggioranza dei cittadini svizzeri che si sono scomodati a votare (la partecipazione, risultata «eccezionale», ha di poco superato il 55 per cento degli aventi diritto) ha accolto una proposta sostenuta dalle firme di oltre 100 mila aventi diritto, denominata «Contro l'immigrazione di massa», per ottenere che «la Svizzera gestisce autonomamente l'immigrazione degli stranieri» (testo della proposta), con l'obbligo per le autorità federali di rinegoziare e adeguare entro tre anni i trattati internazionali che contraddicono quanto deciso dalla maggioranza del popolo. La decisione popolare è scaturita dopo una campagna di informazione e di discussione accesa tra i fautori della situazione attuale (la Svizzera applica la «libera circolazione delle persone» con gli Stati dell'Unione europea) e quanti invece, vogliono una politica restrittiva, con un risultato sostanzialmente di parità tra fautori e contrari: infatti i voti positivi sono stati il 50,34 per cento, quelli negativi il 49,66, con uno scarto di meno di 20 mila voti su un totale di poco meno di 3 milioni di elettori (1.463.954 voti affermativi, 1.444.428 voti negativi). Nel fascicolo messo a disposizione del Consiglio federale, ad illustrazione dell'oggetto in votazione, la contrapposizione delle tesi tra fautori e contrari all'immigrazione straniera era sostanzialmente posta su due livelli diversi: per il Consiglio federale (e gran parte dei partiti politici e dell'economia) «l'economia svizzera necessita da sempre di lavoratori stranieri» e «questa misura ridurrebbe il margine di manovra delle imprese svizzere»; per il comitato dell'iniziativa, al contrario, «l'attuale immigrazione incontrollata rappresenta una minaccia per la nostra libertà e sicurezza, per la piena occupazione, per il nostro paesaggio e, non da ultimo, per il nostro benessere». Da una parte le necessità dell'economia, dall'altra ostacoli e minacce alla vita di tutti i giorni... La divisione a metà del voto popolare (che dovrebbe ragionevolmente moderare i canti di vittoria e i giudizi negativi o positivi anche a livello internazionale) nasconde tuttavia due divisioni più profonde e preoccupanti per l'avvenire della Confederazione svizzera; la maggioranza ha prevalso nei cantoni di lingua tedesca (cui si è aggiunto il Ticino italofono) contro quelli di lingua francese, ai quali si sono aggiunti i due ricchi cantoni di Zurigo e Basilea; cioè una divisione tra due culture e tra città e campagna, perché anche la maggior parte delle città della Svizzera tedesca ha respinto la proposta, accolta nei cantoni di idioma tedesca solo grazie al massiccio voto favorevole delle zone periferiche e meno ricche. Il risultato del voto, al di là delle immediate valutazioni a caldo, sembra essere stato accolto con un certo realismo dalle autorità e dagli ambienti politici ed economici elvetici, che dovranno ora, entro tre anni, elaborare la legislazione d'esecuzione del nuovo articolo costituzionale che prescrive che «il numero di permessi di dimora per stranieri in Svizzera è limitato da tetti massimi annuali e contingenti annuali», comprendenti anche i richiedenti d'asilo e con limitazioni per i frontalieri e il cosiddetto «ricongiungimento familiare». Non si tratta, quindi, di bloccare completamente l'immigrazione in Svizzera (negli ultimi anni il saldo attivo delle immigrazioni è stato di 80 mila nuove presenze all'anno, per una popolazione totale attorno agli 8 milioni di abitanti), ma regolare i nuovi arrivi «per gli stranieri che esercitano un'attività lavorativa (...) in funzione degli interesse globali dell'economia svizzera e nel rispetto del principio di preferenza agli svizzeri». Dopo aver stabilito, d'accordo coi “vincitori” della votazione, il numero di nuovi lavoratori stranieri da accogliere, occorrerà approntare un notevole apparato burocratico e di controllo per applicare i principi selettivi discriminatori in modo efficace ed evitare che le limitazioni siano aggirate con assunzioni fuorilegge. Inoltre, sarà necessario concordare con i rappresentanti dell'economia la ripartizione tra i diversi settori (industria, agricoltura. turismo, finanze, sanità) che oggi dipendono dall'apporto di stranieri più o meno qualificati. Il solo settore agricolo, ad esempio, necessita di 20 mila lavoratori all'anno. Altra difficoltà da superare è quella dei rapporti con l'Unione europea, dovendo la Svizzera, come prescrive il nostro dettato costituzionale, adeguare e rinegoziare il trattato che regola la circolazione delle persone, trattato che è collegato con numerosi altri accordi che in questi ultimi anni hanno aperto sempre più spazi di attività comuni con gli Stati della Ue. E' impossibile in questo momento, mentre ancora la Svizzera non ha applicato le limitazioni sulla libera circolazione delle persone, prevedere quali saranno le conseguenze. Negli ambienti politici ed economici sembra prevalere un cauto ottimismo, fondato da una parte sui vantaggi che anche i Paesi europei traggono dai buoni rapporti con la Svizzera (per l'Italia basta citare i 60 mila lavoratori che ogni giorni vengono in Ticino a prestare la loro opera) e sulle abilità diplomatiche dei negoziatori svizzeri. Tuttavia le preoccupazioni di natura economica sulle quali si concentra l'attenzione della classe dirigente sembrano far dimenticare le motivazioni, certamente più profonde e meno esplicite, che hanno portato più della metà dei votanti (un quarto dei cittadini) a opporsi alle indicazioni del governo e di gran parte della dirigenza politica, economica e sindacale; tali motivazioni dovrebbero essere attentamente ricercate e valutate, perché ad esse non potranno rispondere che molto parzialmente le misure di contenimento della popolazione straniera, popolazione che non viene subito diminuita dalle nuove disposizioni. Infatti per i fautori dell'iniziativa «Contro l'immigrazione di massa», «tutti i giorni facciamo i conti con le conseguenze di questa evoluzione funesta: disoccupazione in aumento, treni sovraffollati, strade congestionate, aumento di prezzo dei terreni e degli affitti, perdita di terreni agricoli preziosi, pressione sui salari, criminalità straniera, abusi in materia d'asilo, una mutata cultura di gestione aziendale e una percentuale elevata di stranieri a carico dell'assistenza sociale e delle altre assicurazioni sociali», come si legge nel fascicolo federale. Molte di queste affermazioni sono esagerate e rappresentano una pura distorsione dei fatti (mentre è mancata, da parte di politici e media, un’adeguata controinformazione), tuttavia è evidente che per porre limiti e correzioni al disagio espresso, occorrerà ben altro che semplice abilità diplomatica da parte delle autorità ''sconfitte'' . E il contenimento delle immigrazioni potrà persino accentuare alcuni disagi sopra elencati se la mancanza di lavoratori qualificati conducesse a delocalizzazione di imprese, alla riduzione del commercio interno, persino a difficoltà nel sistema assicurativo venendo meno i contributi della massa dei giovani lavoratori. Ai vincitori, insomma, resterà solo la ''gloria'' momentanea di aver ''sconfessato'' i politici, mentre resteranno (quasi identici) i motivi della protesta. Come resta intatto il ''pericolo musulmano'' anche dopo che la maggioranza ha deciso la proibizione di costruire i minareti, in una neppure lontana votazione ''di protesta''. Alberto Lepori
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