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Sei mirabili vite martiri di Ebola«Siamo nell’esperienza più forte dell’identificazione a Gesù sulla croce. Le sorelle di Kikwit ci edificano nella testimonianza di fede e di fiducia nell’Amabile Infinito. Non abbiamo notizie sulle famiglie delle sorelle zairesi. Stiamo trepidando e pregando, le comunicazioni con l’esterno sono impossibili visto l’isolamento della comunità. Per il momento nessun’altra notizia se non che l’epidemia si sta propagando nei villaggi». Zaire, 8 maggio 1995, ore 10,14. Alla madre generale delle Suore delle Poverelle - fondate a Bergamo 150 anni fa - giungono notizie sempre più allarmanti dell’agonia e poi della morte di sei suore missionarie a Kikwit, una cittadina nella regione del Bandundu, in Zaire (oggi Repubblica democratica del Congo). Il terribile virus Ebola le uccise insieme a migliaia di persone in Congo e in Africa. Nell’aprile 1995 il mondo scoprì con orrore un morbo che richiamava antiche pestilenze. Le sei suore morirono una dopo l’altra tra aprile e maggio 1995 fra atroci sofferenze. Ebola è un virus molto aggressivo che causa una terribile febbre emorragica, la «febbre rossa». Il primo ceppo fu scoperto nel 1976 nell’ex Zaire: finora sono stati isolati quattro ceppi, tre letali per l’uomo. Si trasmette per contagio animale e tra le persone in contatto con il sangue e i fluidi corporei dei soggetti infetti. Secondo il Comitato internazionale tecnico-scientifico, Ebola a Kikwit colpì 220 persone e 176 morirono in pochi giorni. Quando fu dichiarata la fine dell’epidemia si contarono 315 colpiti e 244 morti. Le suore avevano contratto il male nelle corsie dell'ospedale. Le quattro bergamasche e due bresciane Floralba Rondi, 71 anni, di Pedrengo (Bergamo); Clarangela Ghilardi, 64 anni, di Trescore (Bg); Danielangela Sorti, 47 anni, di Lallio (Bg); Dinarosa Belleri, 59 anni, di Villacarcina (Brescia); Annelvira Ossoli, 58 anni, di Orzivecchi (Bs); Vitarosa Zorza, 51 anni, di Palosco (Bg) lo sapevano bene perché erano tutte infermiere altamente specializzate, eppure non se ne andarono, non abbandonarono quei derelitti, non disertarono il combattimento. «Martiri della carità», le ha definite il vescovo di Bergamo mons. Francesco Beschi: «Non c’è amore più grande che dare la vita come Gesù». I loro nomi, i loro volti e il loro sacrificio balzarono alla ribalta di giornali e televisioni di tutto il mondo perché diedero voce a chi non contava nulla. Dai fax inviati nel maggio 1995 dalle suore in Zaire alla madre generale a Bergamo emergono forti lezioni di vita. «Carissima madre generale, comprendiamo la tua trepidazione, ma siamo totalmente nelle mani di Dio. Nessuna evacuazione può essere fatta. È molto duro per voi e per noi accettare questa separazione dalle sorelle. Avvenimenti dolorosi ci hanno travolto, ma la vita della Congregazione deve continuare: la situazione è abbastanza drammatica soprattutto all’interno. Ma è necessario conservare la calma. A Kinshasa non ci sono focolai e tutte le strade verso l’interno sono bloccate. Anche le sorelle di Kingasani sono isolate in casa senza contatti. Le sorelle dell’interno le abbiamo sentite ora. Suor Daniela e suor Dina non sono troppo bene. Le altre sorelle della comunità salutano e ringraziano. Ma le comunicazioni sono difficili. Con affetto vi abbracciamo. Sul posto stanno dandosi da fare per frenare l’epidemia». La superiora provinciale, accorsa per seguire le suore colpite, manda un fax a una sorella a Kinshasa: «Ci rimettiamo a Dio». Nel 2010 il giornalista de «L’Eco di Bergamo» Paolo Aresi pubblica il libro «L’ultimo dono». Racconta suor Linadele Canclini che, con la congolese suor Charlotte Madiambu e con suor Gabriella Lancini, porta avanti la causa di beatificazione: «Il libro ha suscitato molta emozione. Un paio d’anni fa, al convegno promosso in Vaticano dal Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, molti da tutto il mondo ci chiesero delle suore morte per Ebola». Sul loro «forte esempio» sono state raccolte più di 200 testimonianze e la loro memoria è molto viva tra la gente del Congo, perché hanno incarnato il carisma del fondatore, il beato Luigi Palazzolo: «Stare con gli ultimi sempre, immergersi fra gli ultimi, prenderli per mano senza guanti». Il vescovo di Kikwit mons. Edouard Mununu (che conobbe le sei suore e rimase loro vicino in quei drammatici 33 giorni), sentita la Conferenza episcopale, ha avviato la causa di beatificazione dove confluirà l’inchiesta rogatoriale di Bergamo. Il dramma si svolse nel padiglione 3 dell’ospedale, dove oggi c'è il reparto di pediatria. Suor Floralba Rondi era in Chirurgia e assisteva in sala operatoria. Durante il flagello la congolese suor Nathalie distribuiva i medicinali. Racconta: «Il primo malato sospetto è arrivato ai primi di aprile 1995: veniva da un altro ospedale e aveva la pancia gonfia. Ricordo che, quando lo vidi, qualcosa dentro di me mi disse di non toccarlo». Conclude la madre generale, suor Bakita Sertore: «Tutte le Suore delle Poverelle del mondo affidano alle sei consorelle martiri della carità le giovani vocazioni africane e i troppi poveri che gridano dall’Africa». Pier Giuseppe Accornero
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