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La storia capovolta
E’ addirittura incredibile che la pubblicazione di un libro, «Ammazziamo il gattopardo», scritto da un giornalista inglese, Alan Friedman, abbia suscitato per ventiquattr’ore, lunedì scorso, un tumulto di reazioni, pro e contro, per delle “rivelazioni” del tutto scontate e anche ben note a chiunque abbia vissuto dentro l’infinito chiacchiericcio della politica italiana soprattutto negli anni nefasti del berlusconismo (e del suo “anti”).
Sul «Corriere della Sera» (che appartiene alla medesima Rizzoli editrice del volume) due pagine hanno presentato i “progetti” che il Presidente Napolitano avrebbe preparato nell’estate del 2011 attraverso un colloquio con Mario Monti, al quale avrebbe chiesto se fosse disponibile ad accettare la presidenza del Consiglio nel caso di caduta del governo di allora, presieduto da Silvio Berlusconi.
Su quel colloquio, di cui non si precisa la data, Friedman ha collezionato tre interviste: una con De Benedetti, una con Prodi, e una con lo stesso Monti (sia pure piuttosto reticente, per rispetto verso la privacy istituzionale del Capo dello Stato) in cui il fatto viene sostanzialmente confermato. Dunque, Napolitano si stava preoccupando per un eventuale “dopo Berlusconi”.
Di qui la tempesta. Grillo che fulmina il Presidente con la ben nota richiesta del suo impeachment, di cui il comitato parlamentare per la messa in stato d’accusa ha votato immediatamente l’archiviazione con 28 «sì», cinque «no» (quelli del M5S) e la non partecipazione di Forza Italia al voto. La stessa Forza Italia che si precipita comunque a parlare di «complotto» in termini anche piuttosto duri e si riserva di valutare l’archiviazione. Berlusconi che non chiede esplicitamente la cacciata di quell’autorità (che lui stesso ha voluto far rivotare per un secondo mandato al Quirinale) ma ritorna a denunciare la “congiura” internazionale ordita dalla Merkel e Sarkozy fino a Obama con il concorso delle grandi banche e delle lobbies d’affari internazionali contro di lui, e di riflesso contro il suo governo alle prese con la crisi economica e finanziaria.
La risposta a tutto questo non può essere che la più semplice possibile. Nessun «complotto», nessuna «congiura», ma, come ha scritto lo stesso Napolitano al «Corriere della Sera» nella lettera pubblicata il giorno dopo, «fumo, soltanto fumo». Chiunque abbia il minimo ricordo dell’estate-autunno del 2011 sa benissimo che per Berlusconi e per il suo governo non c’era più il minimo riconoscimento di stima internazionale, soprattutto in Europa, e la fiducia parlamentare stava mancando anche in Italia, con la spaccatura di Fini, l’uscita di una ventina di deputati dal Pdl e l’urto fra il ministro dell’Economia Tremonti e il “ falco” Brunetta, ma anche quello fra Bossi e lo stesso Berlusconi a proposito della riforma delle pensioni.
Una data è al centro di questa storia chiarissima: il 7 agosto la Banca centrale europea invia una lettera al Cavaliere premier, a firma del governatore Trichet e del suo immediato successore Draghi, con cui si precisano sei misure di riforma economico-finanziaria indispensabili per ottenere gli aiuti di quella istituzione comune europea. Il contesto è più che allarmante: crolli ripetuti di Borsa, salita continua dello spread fra i buoni tedeschi e quelli italiani, che a novembre salirà fino alla punta massima di 575 punti.
La conclusione è ovvia, a ragion veduta. Napolitano non ha nessuna colpa da scontare con un impeachment assurdo. Non poteva fare altro che immaginare, nella frenetica seconda metà del 2011, un cambio a Palazzo Chigi senza drammatiche conseguenze sulla continuazione della legislatura, che avrebbe accentuato i guai della crisi.
Mario Monti sembrava allora, a giudizio di chi lo conosceva sia come docente universitario ed esperto come pochi altri di materie economiche, sia come personaggio di levatura internazionale in seno alla Commissione europea, la persona adatta a raccogliere un’eredità tanto difficile da gestire, anche se gli mancava un mandato politico-parlamentare (non per nulla Napolitano lo nominò senatore a vita il 9 novembre, il giorno dopo la perdita della maggioranza assoluta alla Camera da parte del governo nel voto sul Rendiconto finanziario). Berlusconi si dimise il 12 novembre.
Il resto è fin troppo noto. E adesso la richiesta archiviata di impeachment di Napolitano da parte di Grillo è poco più di una barzelletta, mentre fra Renzi e Letta, del medesimo partito ma divisi sulle prospettive di entrambi, sembra accentuarsi giorno dopo giorno un dissidio che può portare a una crisi di governo tale da far sciogliere le Camere e rendere necessarie nuove elezioni anche prima che sia approvata la nuova elegge elettorale.
Tutto sta cambiando in questi giorni, mentre domenica si vota in Sardegna per il Consiglio regionale (manca il M5S, che aveva preso la maggioranza dei voti alle “politiche” dello scorso marzo e che si è diviso inutilmente nella scelta del candidato alla presidenza regionale). Anche da quel voto si capirà cosa ci attende nelle prossime settimane.
Beppe Del Colle
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