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I bambini vanno difesi non solo dalla violenzaLe persone prudenti lo fanno sempre. Quando firmano un contratto esaminano bene tutto lo scritto, anche le noticine a pie’ di pagina, quelle scritte piccole piccole e che si fa fatica a leggere. Possono nascondere clausole che stravolgono tutto il contratto. Così abbiamo fatto anche noi esaminando le conclusioni del Comitato Onu per la difesa dei minorenni. Dopo aver letto il pesante attacco che questo Comitato ha fatto alla Santa Sede, continuando la lettura abbiamo trovato le famose “appendici” che si sono rivelate preziose per capire il perché di quel tono e delle richieste fatte alla Santa Sede. In queste “appendici” si parla di omosessualità di contraccezione, di aborto. E si chiede senza mezzi termini che la Santa Sede riveda le sue posizioni al riguardo. Perché? Viene spontaneo chiedersi cosa c’entrano la omosessualità, la contraccezione, l’aborto con il problema dei diritti dei minori; e nasce il sospetto che l’invito rivolto alla Santa Sede di modificare il suo insegnamento sulla omosessualità, sulla contraccezione e sull’aborto nasconda un altro intento: quello di approfittare del discorso sugli abusi ai minori per portare avanti altri temi che stanno a cuore alle persone che compongono il Comitato. E’ vero che qualunque fatto della vita può essere messo in relazione diretta o indiretta con la vita dei minori. Ma non è certamente la promozione dell’omosessualità, della contraccezione e dell’aborto che tutela i minori dagli abusi. Al contrario: chi promuove questi comportamenti causa la massima ingiuria al minore, perché gli impedisce di esistere. L’omosessualità non procrea, la contraccezione impedisce la procreazione, l’aborto elimina il procreato. Per questo nasce il sospetto che le persone che hanno inserito queste raccomandazioni finali non pensassero solo ai minori e alla loro difesa, ma portassero avanti le tesi delle lobbies che da sempre osteggiano il pensiero della Chiesa su questi argomenti e sfruttano ogni occasione per minare nell’opinione pubblica questo insegnamento. Un tale atteggiamento, strumentale, non depone ad onore del Comitato Onu. Il Comitato Onu. Il comitato sui diritti dell’infanzia è stato creato e approvato dall’Onu nel 1989. Ne fanno parte molti Stati, tra cui la Santa Sede. Ogni cinque anni alcuni Stati vengono convocati e sottoposti ad esame per verificare se rispettano le regole della carta dei diritti dell’infanzia e le norme stabilite dall’Onu al riguardo. Nel gennaio scorso questo esame è toccato anche alla Santa Sede. La delegazione, guidata dall’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, ha presentato il pensiero e le norme che la Santa Sede ha prodotto in questi ultimi quindici anni sulla tutela dei diritti dell’infanzia per evitare ogni forma di abuso e di strumentalizzazione dei minori: non solo la pedofilia, ma anche altri abusi come la vendita di bambini, la prostituzione, la pornografia infantile, i bambini-soldato, il lavoro minorile e altre forme di sfruttamento del minore. La Chiesa sta portando avanti una linea di grande severità nei confronti di tutti coloro che in qualunque modo attentano al bene e allo sviluppo equilibrato dei minori, nonostante le accuse, spesso fondate, di errori commessi nel passato. Il Comitato sembra ignorare il cammino della Santa Sede al riguardo; anzi la accusa di non avere al suo interno leggi e comportamenti efficaci per tutelare i diritti dei minori. Ma le “appendici” finali dimostrano che la preoccupazione degli estensori del documento non era solo quella di verificare le norme di tutela dei minori all’interno della Santa Sede, ma era un’occasione e un pretesto per dare una immagine negativa della Chiesa e delle sue posizioni riguardo temi scottanti. Per capire il pensiero della Chiesa su questo argomento basterebbe leggere gli ultimi grandi documenti della Chiesa sull’argomento (ricordiamo in particolare la «lettera circolare della Congregazione per la fede, per aiutare le conferenze episcopali nel proporre linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti dei minori da parte dei chierici» del 3 maggio 2011) e l’ultima decisione di papa Francesco di istituire una Commissione apposita che dovrà, come ha detto il card, Sean Malley, arcivescovo di Boston, «riferire circa lo stato attuale dei programmi per la protezione dell’infanzia; formulare suggerimenti per nuove iniziative da parte della curia, in collaborazione con vescovi, conferenze episcopali, superiori religiosi e conferenze dei superiori religiosi, laici, religiosi, religiose e sacerdoti con competenza nella sicurezza dei fanciulli, nei rapporto con le vittime, nella salute mentale, nell’applicazione delle leggi». La notizia è del 5 dicembre 2013, più di un mese prima dell’incontro della delegazione della Santa Sede con il Comitato, ma nulla di tutto questo viene ricordato nel documento inviato alla Santa Sede. La Chiesa si è liberata della falsa idea di promuovere il bene comune e l’immagine della Chiesa stessa non intervenendo sufficientemente nei confronti di chi abusa dei minori. Oggi dice apertamente che non si deve partire dalla preoccupazione di proteggere l’immagine della Chiesa e di qualunque altra istituzione, ma dal bene della persona. Chi attenta in qualunque modo contro il minore deve essere denunciato e messo in condizione di non nuocere più e di rimediare al male fatto. Su questa linea si muove oggi tutta la legislazione e la prassi della Chiesa, con interventi che sono quasi sempre più severi di qualunque altra legislazione in proposito. Il Comitato sembra non avere preso coscienza di quanto la Chiesa oggi dice e fa, e a lei si rivolge con il tono di chi sveglia un dormiente e un irresponsabile che non ha preso ancora coscienza di quello che deve fare per evitare questi abusi. La risposta della Chiesa. Lo stesso Mons. Tomasi avanza il dubbio che il documento sia stato preparato prima ancora dell’incontro del Comitato con la delegazione della Santa Sede, avvenuto a Ginevra nel gennaio scorso e che «ha dato in dettaglio risposte precise su vari punti, che non sono state poi riportate in questo documento conclusivo o almeno non sembra siano state prese in seria considerazione». E aggiunge che «delle organizzazioni non governative, che hanno interessi sulla omosessualità, sul matrimonio gay e su altre questioni, hanno certamente avuto le loro osservazioni da presentare e in qualche modo hanno rafforzato una linea ideologica». La Santa Sede ha risposto immediatamente ribadendo il suo impegno a difesa e protezione dei diritti del fanciullo, assicurando che le osservazioni fatte dal Comitato sarebbero state prese in seria considerazione, ma nello stesso tempo ha denunciato il tentativo di interferire nell’insegnamento della Chiesa cattolica sulla dignità della persona umana e nell’esercizio della libertà religiosa. Appendice. Penso che sia opportuna una ulteriore riflessione. La Chiesa è una comunità di salvezza, e anche quando emana leggi per l’organizzazione interna e per i rapporti con l’esterno non può dimenticare che la sua legislazione e la sua prassi devono ispirarsi alla consapevolezza di non essere una semplice entità giuridica guidata dalla giustizia, ma una comunità salvifica guidata dall’amore. Anche la legge e gli interventi della legge devono tener conto di questa sua caratteristica essenziale. In parole povere. Quando affronta il problema della pedofilia e di qualunque altro tipo di abuso dell’infanzia, deve guardare i fatti e agire su di essi in una prospettiva salvifica. Si sforza di vedere tutto con gli occhi di Dio. E Dio vede non solo la vittima, ma anche il persecutore come suoi figli: sono entrambi oggetto del suo amore. E se stringe tra le sue braccia la vittima, stringe tra le sue braccia ancor più il persecutore, perché ancor più della vittima ha bisogno del suo amore per convertirsi e riparare il male che ha fatto. Per la Chiesa la pena, la richiesta di riparare il male fatto e di mettersi in condizione di non ripeterlo sono una punizione, ma una punizione che deve portare alla sua redenzione. Lo Stato può pensare solo in termini di giustizia e agire di conseguenza, ma la Chiesa deve pensare in termini di amore anche quando agisce attraverso la giustizia. Per questo il suo intervento non può limitarsi a riportare le cose nell’ordine della giustizia. Dio ama tutti, anche coloro che delinquono, e di tutti vuole la salvezza. E a chi dice che il pedofilo non è un peccatore ma un delinquente, interviene dicendo che per lo Stato è un delinquente, ma per Dio è un peccatore bisognoso di misericordia. La Chiesa si allinea con Dio, intervenendo con un’azione che tiene conto tanto della giustizia quanto della misericordia. Giordano Muraro o.p.
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