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Immigrazione, una tragedia di disumanitàC’è la storia struggente di 40 piccoli eritrei scampati alla tragedia di Lampedusa del 3 ottobre scorso che rischiavano di finire in una residenza fatiscente e invece grazie all’aiuto di volontari e operatori Caritas vengono accolti in una struttura della diocesi di Caltagirone. Per loro laboratori di didattica, pittura e anche tanto sport. Un piccolo miracolo costruito in meno di 24 ore. C’è la storia dei “lavoratori stagionali” nel ghetto di Rignano in Puglia, schiavi moderni sfruttati nei campi: 3 euro e mezzo per raccogliere un cassone di pomodori da 300 kg sotto un sole a 40 gradi, 2 euro e mezzo se manca il permesso di soggiorno. Come testimonia padre Arcangelo Maira, direttore della Migrantes di Manfredonia. Ma anche la storia dei 600 braccianti costretti a vivere in una baraccopoli a Saluzzo, nella ricca provincia di Cuneo, nel cuore del Piemonte, e che adesso chiedono più salario e più diritti. E poi c’è la storia dei tanti immigrati «trattenuti» (secondo la definizione delle Prefetture) oppure «ospiti» (secondo la Croce rossa) nei Cie, i Centri di identificazione ed espulsione, costretti a vivere in fabbricati che non sono dei carceri, ma di fatto ne hanno tutte le sembianze, con celle e reti alte per dividere i diversi blocchi, garitte con i militari dell’Esercito. Una struttura voluta dalla legge Turco-Napolitano (allora si chiamavano Cpta, Centri di permanenza temporanea e assistenza), con un periodo di trattamento di massimo 30 giorni, poi prolungato a 60 (legge Bossi-Fini), poi a 180 (legge 125/2000), sino ad arrivare, per iniziativa dell’ex ministro dell’Interno Maroni, a un massimo di 18 mesi. Una “macchina infernale” che costa allo Stato non meno di 55 milioni di euro l’anno. Sono solo alcune delle storie raccolte nel XXIII Rapporto immigrazione di Caritas e Fondazione Migrantes presentato il 5 febbraio all’Auditorium della Provincia di Torino, dopo le tappe di Roma e Milano. Tema «Immigrazione, tra crisi e diritti umani», una sorta di leitmotiv attraverso il quale leggere il fenomeno dell’immigrazione oggi. Per la prima volta, il Dossier non si concentra soltanto sui dati - gli stranieri residenti in Italia sono 5,2 milioni - ma anche sulle storie e sui progetti realizzati con un punto di vista davvero privilegiato: la rete delle 220 diocesi italiane, che da anni lavorano insieme ad associazioni e movimenti a fianco dei migranti. La comunità degli stranieri più numerosa è quella dei romeni (un milione), seguita da marocchini e albanesi. Oltre 786 mila i ragazzini in età scolare, 30 mila in più rispetto al 2012. Fin qui le cifre. Ma la presentazione del Dossier è stata anche l’occasione per un appello lanciato dall’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, su tre questioni scottanti, tre «temi di fondo» che da anni tengono alta la temperatura del dibattito quando si parla di immigrazione: la «cancellazione del reato di clandestinità», la «concessione della cittadinanza ai bambini nati nel nostro Paese» e il «ripensamento dei Cie», strutture che danno più spese che vantaggi. Ha detto l’Arcivescovo: «Va trovata in fretta una soluzione alternativa ai Cie, che superi le lungaggini burocratiche. Perché non si può far restare a lungo queste persone in un limbo che svilisce la dignità umana». Delle emergenze sociali della città il vescovo ne parlerà anche il 5 aprile, in quella che ha chiamato «Agorà sociale, un primo momento di raccolta di idee e proposte tra le realtà ecclesiali. Nei mesi successivi ci confronteremo con le associazioni laiche e con le istituzioni». Intanto è notizia di lunedì 10 febbraio, mentre andiamo in stampa, che il Consiglio comunale di Torino discuterà in aula lunedì prossimo una proposta di mozione per «superare il Cie di corso Brunelleschi» presentata dai partiti del centrosinistra. Nella mozione si legge che le Commissioni consiliari durante i sopralluoghi hanno constatato «la presenza di 85 persone, 73 uomini e 12 donne». A fronte dei 210 posti, quelli utilizzati sono 98, «i restanti sono inagibili per motivi di sicurezza: in seguito alle rivolte (mediamente due al mese e nei periodi estivi anche di più) gran parte delle aree sono state bruciate e rese inutilizzabili». Un trattenuto su tre usa ansiolitici e antidepressivi. Alti i costi: «l’ampliamento di tre anni fa è costato 14 milioni di euro, cioè 78 mila euro a posto letto». Nel 2011 è stato rimpatriato il 57 per cento degli stranieri, 650 su 1.100 circa trattenuti. Fin qui il caso di Torino, salito agli onori delle cronache per la visita del senatore Pd Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato, la settimana scorsa. Dei 12 Cie aperti in Italia solo cinque sono ancora operanti, ma il loro numero è destinato a scendere: la capienza sta crollando, i costi di gestione rimangono alti e il numero dei rimpatri (pochi) non bastano più a giustificarli. Dura la posizione del Rapporto Caritas-Migrantes. Spiega Oliviero Forti, dell’Ufficio immigrazione: «E’ facile capire come il tema della crisi è collegato a quello dei diritti umani. Se pensiamo ai Cie comprendiamo come la crisi, ma soprattutto la miopia istituzionale, possano far scivolare un cittadino straniero nell’irregolarità e quindi aprirgli i cancelli di un luogo di detenzione a cui mancano i presupposti di legittimità costituzionale. Il paradosso del Cie è che esso implica un’imponente spesa pubblica per misure sostanzialmente inefficaci e inadeguate ad assicurare il rispetto dei diritti umani dello straniero». Purtroppo per dieci anni l’Italia è stata vittima di facili demagogie, pronte a giocare sull’archetipo del «migrante povero e pericoloso» e a giustificare «luoghi di contenimento che di fatto privavano i migranti delle libertà personali». Il peso della crisi e la tutela dei diritti umani sono stati i temi al centro del Rapporto. Se nel mondo l’immigrazione cresce (oltre 232 milioni di persone hanno lasciato il proprio paese, nel 2000 erano 175 milioni), in Italia il fenomeno «continua, ma non cresce»: gli immigrati più che venire da fuori sono dentro le nostre città, con nuovi nati e più ricongiungimenti familiari. La maggior parte, 61 per cento, vive al Nord, il 24 al Centro e il 14 nel Sud e nelle isole. La Lombardia si conferma la regione con il maggior numero di presenze (oltre 1 milione), seguita da Veneto, Emilia Romagna e Lazio (tutte intorno a 480 mila), e Piemonte (384 mila). La provincia di Roma con 383 mila immigrati supera quella di Milano (358 mila) e Torino (195 mila). La crisi ha picchiato duro su tutte le comunità di stranieri. Il rischio di povertà, spiega il Dossier, interessa circa la metà delle famiglie, con un’incidenza più che doppia rispetto alla situazione degli italiani, con tratti particolarmente gravi per alcune comunità. Dalla perdita del lavoro allo sfratto dalla casa il passo è breve. Così come l’aumento delle occupazioni abusive. «La crisi», ha detto mons. Giancarlo Perego, direttore generale Migrantes, «rischia di indebolire l’uguaglianza, la giustizia sociale, la tutela della dignità e dei diritti delle persone, le pari opportunità: a rischio sono i principi costituzionali e la stessa democrazia. L’Europa presidia i suoi confini solo sul piano della sicurezza, i diritti dei lavoratori sono stati rinnegati, dalle imprese di Prato alle campagne della Pianura padana o della piana del Sele, di Rosarno o della Lucania, senza dimenticare il lavoro domestico». Da qui l’invito di papa Francesco, ricordato a conclusione del Dossier della Caritas, di declinare un alfabeto diverso delle migrazioni: non più paura, esclusione, sfruttamento, ma parole di rispetto come accoglienza, ospitalità e soprattutto tutela della dignità della persona. Cristina Mauro
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