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Privatizzare: non tutto appare utileIl governo ha dato il via alle prime privatizzazioni. Un piano organico che consentirà all’Italia la riduzione del debito pubblico dopo sei anni di continua crescita. I primi due enti toccati dall’intervento sono Poste ed Enav (Ente nazionale assistenza al volo). «Sono stati approvati due provvedimenti che danno il via libera all'inizio del percorso di privatizzazione. In entrambi casi si tratta di cessione di quote, non del controllo», ha spiegato il presidente del Consiglio, Enrico Letta. Si partirà con il collocamento di Poste, che avverrà entro l’estate. L’intervento andrà comunque concluso entro l’anno. Per le Poste si inizierà con il 40 per cento, da realizzare anche in più fasi successive, mentre di Enav sarà ceduto circa il 49 per cento. «Mi sembra molto rilevante che lo Stato abbia deciso di mantenere il controllo di questi enti: di solito ciò non avviene quando si parla di privatizzazioni, o comunque, non è stato fatto in Italia nelle esperienze precedenti», commenta Ugo Arrigo, professore associato di Scienza delle finanze all’Università Bicocca di Milano. I motivi per cui avvengono le privatizzazioni sono essenzialmente due: ridurre il peso dello Stato nel settore economico e diminuire il debito pubblico. «Nel caso di Poste ed Enav il peso statale si riduce di poco, e anche il valore di questi due enti è interessante, ma piccolissimo rispetto alla velocità di crescita del debito pubblico italiano», aggiunge Arrigo. Negli ultimi tempi, infatti, il debito del nostro Paese è cresciuto di 5 miliardi al mese. Mentre le valutazioni di queste due vendite sono molto più basse. Quella di Poste varia, infatti, tra i 10 e i 12 miliardi e dunque il ricavo della privatizzazione sarà compreso tra i 4 e i 4,8 miliardi. Per l’Enav la valutazione è invece di 1,8-2 miliardi: quindi il 49 per cento che si vuole vendere vale circa 1 miliardo. «Queste operazioni si potrebbero leggere, a mio avviso, nell’ottica di dimostrare all’Unione europea che si sta facendo qualcosa per ridurre il debito pubblico: per fare, insomma, una bella figura nella politica economica alla vigilia del semestre europeo», precisa Arrigo. Dello stesso parere anche Enzo Pontarollo, professore di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano. «Per fare cassa nell’immediato non serve privatizzare. Sarebbe importante, invece, agire innanzitutto sull’evasione fiscale». Gli ultimi dati della Guardia di Finanza in proposito parlano di cifre a più zeri con 51,9 miliardi sottratti alla tassazione, di cui ben 20,7 riguardanti frodi carosello, reati tributari e piccole distrazioni. «Con le privatizzazioni l’Italia vende i “gioielli di famiglia”, strutture che talvolta rendono poco, come la parte di Poste che si occupa di spedizioni, ma altre tantissimo, come BancoPosta. Sono perciò interventi che vanno seguiti molto attentamente», precisa Pontarollo. È da evitare, infatti, che si verifichi un nuovo caso Telecom, dove l’acquirente aveva scaricato sull’azienda il costo pagato allo Stato, costringendola poi a vedere le partecipazioni alle società in America Latina. Se per le Poste, inoltre, la delibera prevede la cessione attraverso un’offerta pubblica di vendita da realizzare anche in più fasi, la quota di Enav potrà essere ceduta con un’ipo (offerta pubblica iniziale) o, in alternativa, con una trattativa diretta. «La vendita di una parte dell’Ente nazionale assistenza al volo è secondo me l’operazione più interessante in questo momento», commenta Arrigo. «Si tratta infatti di un monopolio naturale. Pensiamo che sino agli anni Ottanta questo servizio era svolto dai militari dell’aviazione. È poi un’attività che deve essere continuativa e con altissimi livelli di sicurezza e di efficacia. È giusto, dunque, che ci siano controlli da parte dello Stato, ma intervenire qui significa porsi all’avanguardia in Europa. Solo la Gran Bretagna ha questo ente privatizzato. Potremmo avere proprio un bel fiore all’occhiello». Più complicata, invece, la cessione di Poste, dove convivono società diverse, intrecciate tra loro: qualcuna guadagna, qualcun’altra guadagna moltissimo, altre ancora sono in perdita. «Se la banca è forte grazie a rapporti privilegiati con lo Stato, le spedizioni sono strutturalmente in perdita. Perché un privato dovrebbe tenerle? Inoltre la cessione è inferiore al 40 per cento, dunque non è una vera e propria privatizzazione, ma quasi l’emissione di un’obbligazione a tasso variabile a rendimento alto garantito. Si vuole vendere la gallina che fa le uova. Non si potrebbe chiedere alle Poste un rendimento più alto in attesa di una ristrutturazione interna della società?», si domanda Arrigo. La cessione di una percentuale di Poste a privati, d’altra parte, potrebbe essere utile a migliorare l’andamento del comparto spedizioni. «Questo intervento potrebbe andare a favore di una maggiore efficienza agli sportelli e negli uffici, aspetto che da sempre viene criticato alle Poste. Non dimentichiamo che a questo ente spetta la gestione delle pensioni: è perciò punto di riferimento per molte persone», commenta Pontarollo. Nell’operazione, inoltre, verranno coinvolti anche i dipendenti. Se per l’Enav sono previsti incentivi in caso di offerta pubblica di vendita, ai lavoratori postali, invece, sarà destinata una parte delle azioni. «La partecipazione al capitale (nota anche come «capitalismo popolare» e diffusa soprattutto in Gran Bretagna) potrebbe essere molto utile per motivare i lavoratori e renderli, nel vero senso della parola, “partecipi” delle sorti dell’azienda. Anzi, in questa prospettiva si potrebbe anche chiedere a uno di loro di entrare a far parte del Consiglio di amministrazione, come rappresentante dei lavoratori», precisa Pontarollo. Ma solo nei prossimi mesi si potrà valutare appieno la situazione. «Per il momento il provvedimento è ancora abbastanza generico. Non si sa ancora se le azioni saranno davvero gratuite, se i lavoratori saranno obbligati a prenderle, oppure se sarà una loro libera scelta e, soprattutto, se ci saranno vincoli di non vendibilità. In generale è una buona mossa: forse però è meglio dare ai dipendenti un prezzo agevolato e il diritto di optare per primi», aggiunge Arrigo. Le novità in vista, in ogni caso, interessano tutto il 2014. Dopo questa prima tranche di cessioni, il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha già annunciato che il governo proporrà altri enti, ma ancora non si conoscono i dettagli del progetto. «Si potrebbe vendere a privati la parte commerciale della Rai e la gestione dei treni di Fs, non di certo i binari. Ma in entrambi i casi è necessario prima fare ristrutturazioni interne, che richiedono alcuni anni. Per fare cassa si potrebbe rinunciare anche a partecipazioni piccole di aziende pubbliche, come Eni, Enel, Terna e Rete Gas», conclude Arrigo. Di tutt’altro avviso Pontarollo. «Si potrebbe intervenire a livello locale, più che nazionale, intervenendo, per esempio, sulle municipalizzate, che gestiscono i servizi pubblici come A2A a Milano. La competizione potrebbe permettere a queste società di funzionare in modo migliore e ancora una volta di diventare più efficienti. Se già funzionano, però, penso che sia inutile. Meglio intervenire contro l’evasione fiscale. Se no, continuando di questo passo, tra un po’ arriveremo a venderci anche Portofino». Cristina Conti
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