I clienti delle donne di tutti

Sommerso, tanto quanto largamente diffuso. Conosciuto, eppure per molti aspetti ignoto. Per lo più evidente, ma non di facile lettura perché dalle mille sfaccettature che ne rendono impossibile una codificazione unica.

Il fenomeno della prostituzione rappresenta un universo ancora da scoprire, con elementi poco studiati che necessitano di approfondimento. Una realtà sulla quale interrogarsi, a partire innanzitutto dai clienti, di cui poco si conosce e si parla. Con questa prospettiva originale che getta un faro sulla sfera maschile, per comprenderne profilo e  motivazioni, il Progetto prostituzione e tratta del Gruppo Abele ha organizzato nei giorni scorsi a Torino, primo nel suo genere in Italia, il seminario «Il cliente, questo conosciuto…». L’intento della due giorni, inserita nell’ambito del progetto Etts, «Lotta alla tratta di persone e al turismo sessuale», è stato quello di capovolgere per certi versi la problematica, soffermandosi sui clienti, per poi ricondurre l’analisi alle donne vittime di tratta, in una riflessione generale. Sviluppando infine ipotesi su quali risposte fornire in termini culturali, normativi e sociali ad un fenomeno che cambia e si attualizza.

«Nelle grandi città, come nei piccoli paesi, assistiamo ad un proliferare dell’offerta del sesso a pagamento che indubbiamente implica una domanda altrettanto forte», ha spiegato Leopoldo Grosso, psicoterapeuta e vicepresidente del Gruppo Abele, «per questo abbiamo ritenuto importante tracciare i diversi profili dei clienti. Esaminando anche i possibili interventi, e non mi riferisco al concetto di punibilità del cliente che, certo, ha comunque una parte di responsabilità. Qualche spiraglio di luce giunge dai nostri sportelli, dove negli ultimi tempi si è rilevata una maggiore sensibilità degli uomini a mettersi in discussione». E ha proseguito: «La questione è alquanto complessa e coinvolge tutti gli ambiti, da quello sessuale a quello culturale, dall’economico al sociologico. E’ una sintesi di tutte le problematiche». Proprio esplorando i vari aspetti, nonché scandagliando tra gli studi elaborati sul tema, gli esperti intervenuti al seminario torinese hanno provato a fornire un quadro di riferimento con possibili soluzioni sul “che fare”.

Dati certi non ce ne sono. Ancora troppo pochi gli uomini che si raccontano e al tempo stesso oscuro il numero effettivo delle donne che si prostituiscono. Tuttavia, comparando le ricerche, è attendibile stimare che i clienti siano circa 2,5 milioni. La maggior parte sono adulti, italiani, eterosessuali, con un grado di scolarità medio alto e, nella metà dei casi, sposati. Uomini considerati normali, dunque. Tra le professioni più rappresentate spiccano i militari, marinai, pescatori, camionisti, uomini d’affari. Queste caratteristiche non sono comunque generalizzabili perché tra i clienti si riconoscono svariati profili, così come variegate sono le motivazioni. Risulta perciò semplicistico e fuorviante tracciare un identikit. Infatti, accanto al gran numero di uomini con partner fissa che cercano soddisfazione nei rapporti a pagamento, ci sono altre e diverse tipologie.

Per citare quelle più rappresentate, pensiamo agli uomini soli che hanno difficoltà ad instaurare un legame affettivo stabile, ai giovani per cui il sesso mercenario assume ancora valore di elemento iniziatico, ai clienti con disabilità o violenti. «In questo vasto panorama», ha evidenziato Grosso, «rientra trasversalmente tutto il mondo maschile». Sulla diversità dei clienti conviene la sociologa Chiara Saraceno. «Metterli sullo stesso piano non aiuta a comprendere», ha detto, «perchè sono uno diverso dall’altro, con esigenze diverse e diverse concezioni della sessualità e della donna». E ha aggiunto: «Non è necessariamente vero che, per il solo fatto di pagare, abbiano tutti una visione squalificata dell’essere femminile, forse ce l’hanno della sessualità o addirittura di se stessi. Non sono capaci di tenere insieme sessualità e affettività o credono di non essere capaci a costruire una relazione vera».

Un aspetto allarmante emerso dal dibattito torinese è l’aumento della ricerca di rapporti a pagamento con minorenni, che negli ultimi anni oscillano, a seconda dei territori monitorati, dal 5 al 12 per cento. La conferma di questa tendenza giunge anche dal maggior coinvolgimento di minori nel turismo sessuale. Per questo tipo di prostituzione i clienti italiani si posizionano in tutti i Paesi di destinazione tra i primi quattro e cinque posti in classifica, mentre per il Kenya sono tristemente balzati al primo posto.

Difficile comprendere le ragioni profonde che alimentano la ricerca di sesso a pagamento. «Vi sono due fattori significativi», ha sintetizzato Silvano Petrosino, filosofo e semiologo dell’Università Cattolica di Milano, «uno congiunturale, legato alle condizioni storiche, e uno strutturale, per cui l’uomo ha sempre cercato una risposta all’inquietudine che lo caratterizza, trasformandolo da fatto naturale in qualcosa di più, in un simbolo. Questo tema ha poi il suo compimento nell’espressione più evidente di questa dinamica che è il potere. Non c’è dubbio che ad accrescere l’idea del possesso e del consumo come risposte all’inquietudine dell’uomo, seppure fallaci, contribuisca la nostra società capitalistica».

La ginecologa e psicoterapeuta Luciana Tumiati ha chiamato in causa la rivoluzione legata alla caduta degli stereotipi maschile e femminile, che talvolta ha portato ad un’inversione di ruoli. «Il rischio in cui possiamo incappare», ha detto, «è che ognuno si senta obbligato ad assumere su di sé, oltre ai compiti tradizionali del proprio genere, anche quelli dell’altro, vivendo il sesso come una sorta di esperienza confusa in cui diventa difficile capire chi siamo e cosa vogliamo essere. Di certo è importante dare a ciascuno la possibilità di esprimersi, senza però dover necessariamente rientrare in una gabbia che sovente la società esige e preconfeziona su di noi».

Che fare, dunque, per arginare il fenomeno? «La domanda di pura violenza va punita e arginata», ha puntualizzato la Saraceno, «per il resto occorre lavorare su entrambi i piani: quello della prostituta, perché sia protetta, rendendo più difficile la tratta e lo sfruttamento, e quello del cliente, agendo nell’ambito delle relazioni». Per Ivano Dal Conte, responsabile dell’ambulatorio malattie sessualmente trasmissibili dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, la soluzione passa attraverso interventi multidisciplinari di tipo educativo, comportamentale, legislativo e medico. «Su tutto, però, è fondamentale mantenere viva la riflessione», ha concluso Grosso, «specialmente sulla sfera maschile per capire quali strumenti possano disincentivare la domanda. Bisogna andare nelle scuole e trasmettere ai ragazzi una corretta educazione, non solo sessuale, ma anche inerente la generalità dei ruoli nella società». La sfida, ora, si gioca sulle nuove generazioni.

Sarah Tavella

 



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