Sermig, 50 anni d'oro

Cinquant’anni di carità, preghiera, dialogo per la pace. Cinquant’anni al servizio dei poveri, degli immigrati, degli ultimi. Cinquant’anni di sogni trasformati in realtà: dalla lotta alla fame nel mondo all’Arsenale della pace, dalle origini torinesi al Brasile e alla Giordania, con i giovani sempre al centro. Il Sermig di Torino ha festeggiato mezzo secolo di vita, lunedì 3 febbraio, con un incontro all’Arsenale di Borgo Dora dal titolo emblematico, «Rendiamoci conto».

Insieme al fondatore Ernesto Olivero e ai suoi ragazzi, a “rendersi conto” della strada fatta l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, che ha annunciato di stare lavorando «per dare un riconoscimento ecclesiale alla Fraternità e alla realtà di servizio del Sermig». Perché l’Arsenale rappresenta «un nuovo modello di parrocchia, adatto ai tempi», riferimento per la Chiesa del futuro. Quella Chiesa che piace a papa Francesco.

«La preghiera e la parola ci hanno trasformati da piccolo gruppo di amici a fraternità», dice commosso Olivero davanti a un salone gremito, presenti alla serata il generale Carlo Ricozzi, comandante regionale del Piemonte, Marco Testa, pubblicitario e presidente di Assocom, e Andrea Agnelli, presidente delle Juventus. «Viviamo grazie al lavoro di tanti volontari. Se la gente smettesse di aiutarci, chiuderemmo in tre giorni. E invece non falliremo mai, a patto che la preghiera sia il nostro respiro, scorra come sangue di amore e speranza. La strada si apre camminando». Ed è davvero lunga la strada percorsa da quel lontano 24 maggio 1964 quando Olivero sceglieva i poveri e fondava il Gruppo missionario giovani (Sermig), al quale il cardinal Michele Pellegrino («Un padre per noi») offriva poi un tetto in via Arcivescovado, nel cuore della diocesi.

Ma Olivero, un candore da ragazzo e tutta la pazzia dei santi, vuole avere un posto “tutto suo” e bussa a diverse porte finché «occupa illegalmente» il vecchio arsenale militare lungo la Dora, nel cuore di Porta Palazzo, culla di tanti santi sociali. «Ogni giorno andavamo davanti all’arsenale a pregare», racconta, «fino a quando il generale Lodi mi disse: “Hai rotto l’anima, ma mi hai commosso… Entravamo nell’arsenale militare per trasformarlo in Arsenale della pace». Si trattava di un grande edificio di proprietà del Demanio e solo per restaurarlo servivano almeno 100 miliardi di lire. I giovani di Olivero sono senza una lira, ma riescono ad aprirlo e anche a dargli un’anima. Per inaugurarlo nel 1984 chiamano il presidente della Repubblica Sandro Pertini, un amico.

E sono tanti i grandi personaggi della storia e uomini di Dio che hanno amato il Sermig: da frere Roger, il fondatore di Taizé, a dom Helder Camara, l’arcivescovo brasiliano di Recife, da Giorgio la Pira al cardinal Pellegrino a madre Teresa di Calcutta. Poi ci fu l’incontro con Paolo VI, senza alcun appuntamento, come era nello stile di Olivero («I giovani vogliono una Chiesa povera», disse Olivero. «Anch’io», rispose il Papa, «faccia lei quello che ha chiesto a me. L’accompagno con la mia preghiera. Spero da Torino, terra di santi, per una rivoluzione d’amore»). E poi la fiducia conquistata di Giovanni Paolo II, andando a portare soccorso alla moglie di Walesa, quando il leader di Solidarnošc era in prigione e la Polonia presidiata dai carri armati sovietici. Da quel momento Olivero incontrò papa Wojtyla decine di volte («Il suo bene mi fa bene. Venga ogni tanto a trovarmi»). E oggi c’è papa Francesco e la sua idea di Chiesa lontana dalla mondanità, una «Chiesa scalza» direbbe Olivero, che riparte dalle periferie esistenziali, seguendo la via della semplicità evangelica. «Se viene il Papa», ha detto mons. Nosiglia, «gli consegniamo la vostra “Lettera alla coscienza”. Dove tra l’altro si legge: “Per rendere il mondo migliore serve la nostra debolezza. Dio ama i giovani”».

L’Arsenale della pace che sorge nel quartiere più multietnico della città è oggi un «monastero metropolitano» dove andare a pregare, una cittadella di cultura e formazione, una casa sempre aperta 24 ore su 24 che accoglie immigrati in cerca di un futuro migliore, rifugiati in fuga da guerre e carestie, tossicodipendenti e alcolisti pronti a costruirsi una vita nuova, malati di Aids e senza fissa dimora che altrove non troverebbero rifugio. E invece la porta dell’Arsenale è sempre aperta, grazie all’incessante lavoro di centinaia di amici e volontari: «Il Sermig è sostenuto al 90 per cento dal loro lavoro», ricorda Olivero, mentre sui maxischermi dell’Arsenale scorrono le immagini in bianco e nero del video «Una storia di Dio in mezzo agli uomini» con i volti di quanti nel tempo hanno costruito un cammino di solidarietà e di pace. Storie di vita vera, storie di chi ha accolto persone scomode, curato malati che nessuno voleva, trasformato le idee in fatti. Come ama ripetere Olivero: «I sogni si fanno da soli, ma quando si è in tanti possono diventare realtà».

E la realtà del Sermig la raccontano i dati: 21 milioni di pasti distribuiti, 13 milioni di notti di ospitalità, 335 mila visite mediche gratuite; ma anche 2.800 azioni umanitarie in 90 paesi del mondo dal Libano al Mozambico, dalla Bosnia al Ruanda, 77 missioni di pace, 750 aerei carichi di aiuti; e ancora studi e progetti di auto-sviluppo in 140 paesi, 5 mila allievi ai corsi di alfabetizzazione, progetti di formazione e avvio al lavoro, l’Università del dialogo, la Scuola di musica e anche due squadre di calcio. Poi due nuove comunità: l’Arsenale della speranza (1986) a San Paolo in Brasile per i sofridores de rua, «una struttura che da fine Ottocento e fino agli anni Cinquanta ha accolto oltre un milione di migranti italiani»; e l’Arsenale dell’incontro per i disabili (2003) a Madaba, in Giordania, dove si curano musulmani e cristiani. Esempi concreti di pace, «perché la convivenza si impara dal basso», dice Olivero. E la storia gli dà ragione: per la sua fama di mediatore il fondatore del Sermig nel 1988 è stato chiamato in Libano, in piena guerra civile, per una missione di pace, invitato dal patriarca maronita Nasrallah Sfeir.

Ma come ha fatto Olivero ad aprire tre Arsenali e fondare una Fraternità? «Sono sempre andato dietro all’attimo presente che il Signore mi offriva. E ho sempre risposto di sì». Come dire, non si è mai preoccupato per quello che mancava, ha sempre vissuto seguendo il disegno della Provvidenza. E credendo nella forza della preghiera. «Perché il bene», ha detto nel suo intervento il generale Ricozzi, «è uno straordinario moltiplicatore di bene». C’è un’emergenza? Il Sermig risponde. Tra le tante, ne ricordiamo una, quando all’inizio degli anni Novanta, in piena crisi immigrazione, Olivero apre la struttura alla città: centinaia gli stranieri in coda nel cortile dell’Arsenale in attesa della agognata regolarizzazione. Era la prima volta in Italia che una regolarizzazione veniva gestita “insieme” ai volontari. Come sempre Olivero si dimostrava un pioniere, capace di guardare lontano.

E anche adesso che il Sermig compie cinquanta primavere, ecco l’ennesima visione. «Quest’anno anche la moglie del presidente Obama, Michelle, compie 50 anni. L’abbiamo invitata a festeggiare con noi». In attesa di sapere se la first lady accetterà l’invito e mentre gli amici del Sermig uscivano dall’Arsenale a incontro concluso, davanti al portone di piazza Borgo Dora, sotto una pioggia incessante, abbiamo visto arrivare alla chetichella un uomo e una donna normali, con un pacco pieno di vestiti e un altro ricolmo di viveri, rappresentanti di quei torinesi che hanno fatto propria la regola della «Restituzione», tanto cara a Olivero. Il futuro del Sermig, ne siamo certi, passa proprio da qui.

Cristina MAURO



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