Ritornare ai giovani

Invitava i ragazzi ad uscire dalle loro sicurezze per entrare come protagonisti nel grande sogno di Dio. Sempre con la gioia negli occhi e la speranza nel cuore. Perché santità e allegria, diceva don Bosco, sono un binomio inseparabile. Ed erano migliaia i giovani che martedì 30 e mercoledì 31, incuranti del freddo e della neve, hanno seguito l’urna del santo tornata nella loro Torino, dopo aver viaggiato in cinque continenti e toccato 130 paesi.

Un ritorno a casa, dunque. Ma anche l’avvio del grande Giubileo per i duecento anni dalla nascita del «santo dei giovani», che si svolgerà dal 16 agosto 2014 al 16 agosto 2015. Gli appuntamenti più importanti del Bicentenario si conosceranno giovedì 6 febbraio a Roma durante la prima conferenza stampa internazionale indetta dal rettor maggiore don Pascual Chávez. Presenti mons. Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio giustizia e pace, Cristina Chiabotto e Flavio Insinna, che ha interpretato don Bosco in un film per la televisione. Dopo Torino, l’urna è arrivata a Milano, in piazza Fontana, su un tram storico del 1928, per la sua ultima tappa italiana.

Immancabile durante la processione della teca in tutti i luoghi simbolo della grande famiglia salesiana sotto la Mole, quell’atmosfera di festa e di gioia che si respira ogni giorno negli Istituti nati seguendo il carisma di don Bosco: la teca con la scultura in gesso e resina del santo, e la reliquia della mano destra, è stata accolta tra balli, giocolieri e bandiere sventolate da bambini, mamme, papà e nonni in un clima di comunione e di spiritualità fraterna. E infatti in tutte le scuole salesiane, dalla materna alle superiori, gli studenti hanno ricordato la figura del santo con momenti di gioco e di preghiera, senza dimenticare l’immancabile merenda con pane e salame in cortile. Perché anche questo, una semplice merenda, può servire per «fare famiglia» e imparare a crescere come «buoni cristiani e onesti cittadini». Un binomio tornato di attualità oggi, come antidoto ai cattivi maestri e ai cattivi esempi.

Così come è servito il pellegrinaggio mondiale della teca voluto da don Chávez, nono successore di don Bosco, che nel messaggio di saluto, l’ultimo come rettor maggiore, dopo 12 anni, ha chiesto ai giovani di essere i protagonisti irrinunciabili e determinanti della «nuova primavera» che sta attraversando la Chiesa. «I profeti di sventura che decretavano l’inverno della Chiesa devono ricredersi. Oggi la Chiesa vive una nuova primavera, che ha il volto e il cuore di papa Francesco. Il sogno di una Chiesa libera dalla mondanità, dalla chiusura in sé stessa, dal clericalismo e dal maschilismo, deve essere anche il sogno di voi giovani…». E poi l’appello: «Si tratta di impegnarsi per cause nobili, positive e di grande valore morale, per le quali valga la pena di spendere la vita. Ve lo chiede papa Francesco, ve lo chiede don Bosco, ve lo chiedo io in questo ultimo messaggio, come un testamento spirituale da custodire gelosamente nel vostro cuore e da realizzare nella vita».

Quei valori imparati dietro ai banchi di scuola o all’oratorio si devono portare a casa, sul posto di lavoro, nella società. Perché duplice è il compito dei figli di don Bosco: essere fedeli a Dio, ma anche impegnati come laici nel mondo. Che significa: promozione ed educazione dei giovani, tutela della vita e della famiglia, dei diritti umani e della pace, apertura al dialogo interculturale e interreligioso. Il successo della processione con migliaia di persone a venerare il «santo dei giovani» è tutto qui. E pazienza se qualcuno scrive che il culto delle reliquie è il frutto di una fede popolare. La verità è che l’insegnamento e la testimonianza di don Bosco sono ancora vivi e forti nelle nostre comunità, grazie anche all’impegno educativo delle Figlie di Maria Ausiliatrice, e rappresentano un punto di riferimento per molti.

Ogni tappa del tour «Don Bosco è qui» è stata un successo. Nella mattinata del 30 gennaio tra gli studenti dell’Istituto Agnelli e poi a San Salvario, nella chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di largo Saluzzo, nel cuore multietnico di Torino. Poi è stata la volta di San Giovanni Evangelista per un nuovo momento di preghiera, e quindi al liceo Valsalice, dove studenti ed ex allievi hanno vegliato il santo per tutta la notte. Lo storico istituto ha ospitato le spoglie di don Bosco dalla sua morte fino al 1929, quando vennero trasferite nella basilica di Maria Ausiliatrice. La giornata del 31 gennaio è cominciata con la processione all’ospedale che porta il suo nome, il San Giovanni Bosco, in Barriera di Milano, seguita dalla venerazione animata dalla Pastorale universitaria in Cattedrale. Da qui in serata è partita la processione nelle strade del centro storico (un percorso più corto rispetto al programma a causa della neve) che si è conclusa a Maria Ausiliatrice, con il pensiero della buonanotte pronunciato dal rettor maggiore, proprio come faceva don Bosco, alla fine di ogni giornata, con i suoi ragazzi.

A don Bosco non sono mancati i colpi di genio. E se vivesse oggi, la prima cosa che farebbe sarebbe quella di crearsi un profilo sui social network per raggiungere i ragazzi della generazione 2.0. Ne è certo don Moreno Filipetto, salesiano, responsabile della web radio e della web tv «ValsOnAir» che trasmette da Valsalice («Se oggi don Bosco fosse qui il suo cortile sarebbe anche digitale. Don Bosco ricordiamolo era sempre al passo con i tempi»). Ne è certa la casa editrice Elledici, che da un anno ha lanciato EllediciLab, un progetto che coniuga educazione, formazione e cultura, nato da una sinergia con l’Associazione italiana maestri cattolici e la partecipazione della cooperativa sociale AnimaGiovane e dell’associazione Altresì. «I giovani hanno bisogno di parole di speranza e di incoraggiamento», ama ripetere don Chávez. «A casa, a scuola, nella società. Se tagli le ali ai giovani, ipotechi il futuro del tuo Paese. E da loro che verrà la soluzione alla crisi. I giovani sono il nostro presente e il nostro futuro».

E proprio ai giovani si è rivolto l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, parlando anche di lavoro, durante l’omelia ai Vespri in Cattedrale e poi durante la messa a Maria Ausiliatrice. «Don Bosco ha promosso gli oratori, le scuole professionali e concreti sbocchi di lavoro per i giovani, mettendo sempre al centro la persona con le sue necessità culturali, etiche e civili. Oggi per continuare su questa strada però è necessario che le risorse sia del pubblico che del privato sociale, invece di essere confinate in un welfare che si avvale di sussidi sempre meno adeguati alle necessità, siano considerati investimenti produttivi per le opere educative». Quattro gli ambiti principali secondo l’arcivescovo: le famiglie monoreddito e quelle in difficoltà per il lavoro; le scuole statali e paritarie, e quelle di formazione professionale; le strutture di accoglienza per universitari; gli oratori e i centri giovanili delle parrocchie e dei quartieri.

E poi l’appello diretto per il lavoro, perché Torino e la società tutta non possono permettersi di perdere intere generazioni di giovani. «Mi faccio voce dei tanti ragazzi che mi interpellano su questo», ha detto Nosiglia, «e chiedo alle istituzioni locali e alle forze produttive del nostro territorio di stringere un patto con scelte concrete realizzabili subito per offrire sbocchi di lavoro ai giovani che lo chiedono. Non possiamo continuare a lamentarci o attendere che il governo centrale si muova più decisamente. Qui nel nostro territorio occorre dare segnali di una inversione di tendenza che offra ai nostri giovani la certezza di non essere abbandonati, in un campo così decisivo del loro, ma anche nostro, futuro».

Dopo il richiamo alle istituzioni e agli educatori affinché non si propongano come «cattivi maestri», mons. Nosiglia lancia un appello alla sua stessa Chiesa, esortandola a «tornare tra i giovani». «Don Bosco, che anche per la Chiesa è maestro, stimola a cambiare il modo di rapportarsi con i giovani. Egli ci fa comprendere che non sono i giovani che devono tornare alla Chiesa, è piuttosto questa che deve tornare tra i giovani». Deve aprire le porte a tutti, dice l’arcivescovo. «Forse allora scopriremo che nei ragazzi considerati più lontani ed estranei c’è più campo di quello che si pensa: campo di ascolto e di sintonia con il messaggio e la testimonianza del Vangelo».

Ai giovani che hanno seguito l’urna di don Bosco a Torino e in ogni parte del mondo l’augurio di don Chávez vola ancora una volta sulle ali della speranza: «Sognate in grande e seguite il vostro sogno con gioia, entusiasmo e convinzione».

Cristina MAURO



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