La finanza uccide economia e lavoro

Mons. Giancarlo Bregantini arcivescovo di Campobasso Bojano, in una Locride sprovvista di vescovo, ha fatto visita, a metà gennaio, al Piccolo Eremo delle Querce in S. M. di Crochi, piccolo gioiello che si incastona in un luogo da fiaba, in mezzo ad una vegetazione rigogliosa, tra le montagne di Caulonia. Moltissime le persone che hanno raggiunto il luogo, dove si è festeggiato il 40° e il 25° di vita religiosa di due consorelle.

Sono trascorsi ormai dieci anni da quando la comunità, accompagnata dall’allora vescovo di Locri Bregantini, ha scelto di lasciare la costa ed entrare nella zona più impervia della Calabria, ispirandosi alla tradizione monastica calabro-greca, che fin dai primi secoli dell'era cristiana ha fecondato la Locride con la preziosa e santa presenza di numerosi testimoni dei monaci basiliani, attraverso la preghiera, il lavoro e la condivisione con la gente delle contrade.

Le suore, esperte iconografe, tengono corsi frequentati da persone provenienti da tutta l’Italia. La sera di giovedì 16 gennaio il vescovo, prima della messa, ha condiviso una riflessione sul tema «La gioia dell’evangelizzare nella Locride, una Chiesa dalle porte aperte». Le precedenti visite, prive del carattere di ufficialità, avvenute a sorpresa e in sordina, confermano lo stile di un uomo di Dio che conosce la discrezione e la libertà del cuore, anche quando questa imponga il sacrificio e l’obbedienza.

Abbiamo potuto accompagnare per un tratto padre Giancarlo, cogliendo le sue impressioni, seguendo da vicino i suoi incontri. Un privilegio che ha consentito una cronaca altra, lasciando spazio anche all’onda delle emozioni e dei ricordi.

Padre, quando torna in Calabria, anche a rischio di ritardare il suo percorso, si preoccupa d’incontrare i suoi amici speciali, come suor Mimma, conosciuta tanti anni fa a Lourdes, e molti altri sofferenti. Perché non rinuncia mai a questi momenti?

Nessuno deve dimenticare il suo passato. Anzi, deve valorizzarlo. Suor Mimma la conosco da quasi venti anni. Attraverso la sua preghiera e l’offerta del suo dolore mi sostiene. Le affido i casi più difficili, come quelli dei sacerdoti in difficoltà. La sua preghiera non è mai vuota. Lei si sente coinvolta. Questo fa sì che non soffra invano. La cosa più brutta al mondo è soffrire soli, senza scopo.

Ricorda santa Teresina che pregava in clausura per i missionari, anche lei viveva una forma di distanza dal mondo.

Testimoniano come si possa fare molta strada interiormente. E riescono a farla fare anche agli altri. Da soli non siamo mai protagonisti. Siamo insieme agli altri e chi soffre ci accompagna. Pensiamo a chi è in ospedale, in case di riposo, in carcere. Dare uno scopo alla sofferenza è togliere la rabbia.

La rabbia è cresciuta nel mondo. Sembra incontenibile.

E’ cresciuta l’assurdità del nostro sistema sociale. Oggi chi è garantito, è garantito. Chi è salito sul treno, è dentro e non vuole uscire; chi non ce l’ha fatta, è fuori. I nostri figli sono sempre più fuori. C’è una difesa assoluta di ciò che si ha e nessuna condivisione. 

Cosa prova appena il treno dal finestrino le mostra il paesaggio calabrese, gli uliveti, il mare, il cielo limpido e terso?

Molta emozione, ho pensato a quando ero qui e l’inverno non si sentiva. A gennaio c’è già il mandorlo in fiore. Questa esperienza mi fa dire che questa terra è un dono di Dio, amata e benedetta da Lui.

Ma la Calabria, lei lo sa, è anche altro. Alcuni anni fa, durante la stesura del libro «Sette lampade tra le pietre e le stelle», le rivolsi una domanda sull’inquinamento con sostanze nocive in Aspromonte. Nessuna prova, ma le scoperte nella Terra dei fuochi fanno temere ancora di più. La mala pianta mafiosa pone a rischio la nostra terra senza scampo?

Ci sono tre cose incredibilmente strane in questa vicenda. Intanto lo strapotere della malavita. Stando a quello che si sa, non capisco il comportamento della magistratura: se sapeva da molti anni perché ha criptato queste dichiarazioni? Se è vero che 15 anni fa si sapeva, è gravissimo, non sono cose da criptare. Il giorno dopo bisognava avvertire il sindaco, coinvolgere la gente, scavare e verificare. Se è vero, si sarebbero potuti evitare molti guai, perché evidentemente i veleni hanno lavorato. Infine, è curioso che i paesi non abbiano risposto. Solo adesso, grazie a don Patriciello e altri, la gente ha iniziato a fare sua questa problematica. Quando il territorio lo senti tuo, nessuno lo viola.  Siamo legati alla logica del mio, la crisi ha ripiegato l’uomo su se stesso.

Vede qualche possibilità di venirne fuori da questa crisi che tocca l’uomo nel suo profondo?

Vediamo il Papa, lui viene da una terra segnata da una crisi più grave della nostra. Ma proprio lì, lui ha imparato un metodo opposto al nostro: la coperta è corta, ognuno si arrangi. Invece, lui dice: io sto con i più poveri. Loro aiutano me, mi purificano; io aiuto loro che diventano i miei maestri e insieme condividiamo la realtà. La crisi è affrontata. Imparo a essere più sobrio, divento più solidale, capisco di  più il Vangelo, instauro alleanze autentiche e non interessate con le persone.

La sua riflessione nella Locride ha preso spunto dall’Evangelii gaudium di papa Francesco.

Si può vivere sereni anche con meno. Il Papa ci insegna che è più importante la persona dello spread. La finanza uccide l’economia e così uccide il lavoro. I soldi sono gestiti da pochi per interesse di pochi. Una santa ribellione a questo sistema è necessaria, ci dovremmo mobilitare. Non significa “bruciare” la Borsa, ma non occorre dire tutti i giorni che lo spread sale, ma fermarsi sui problemi veri della gente.

Lei ha parlato del rischio che una Chiesa ansimante, che incapace di stare al passo, lasci solo Bergoglio. Rimarrà solo il Papa?

Il Papa non resterà solo. Non solo, ma davanti. Davanti deve esserlo. Non potrà essere imitato in maniera plateale. Sarà come Gesù.

I giovani spesso chiedono di parlare con lei, e lei li incontra sempre. Una scelta pastorale di attenzione alle esigenze dei piccoli, dei poveri, degli emarginati, categorie oggi incarnate dai giovani.

Il problema dei giovani è il più difficile da risolvere. Conosciamo drammi, lacrime, rabbia. Se san Francesco tornasse oggi non abbraccerebbe più un lebbroso ma un giovane precario, da anni licenziato e ripreso: tre, sei stages non pagati. Bisogna prendere contatto con questa realtà, imparando tre cose. Ho molto valorizzato il brano di Luca 5, dove Gesù vede le reti vuote di Pietro. Davanti alle reti vuote, Gesù ci insegna un metodo. Prima si siede sulla barca e insegna, cioè la formazione, la scuola, le idee, la verità, gli obiettivi, le motivazioni. Poi dice: gettate le reti, giocate in alto, cioè il coraggio, il rischio di reinvestire da parte di chi crede nel futuro dei ragazzi; non a parole, ma con i soldi investiti per loro. La vicinanza del mondo dell’imprenditoria, l’artigianato, i contadini che mandano le arance in Trentino. Ci sono delle belle esperienze oggi: il coraggio sta premiando. Con lo studio tu impari l’idea, con il coraggio la metti in pratica. Ma c’è un altro aspetto importante. Quando la barca si riempie, una delle due chiama l’altra in aiuto. Ecco la reciprocità, la solidarietà. Tre cose decisive: l’innovazione, il coraggio per intraprendere, la solidarietà tra le esperienze. Tutto questo ci chiede di valorizzare il territorio, mettere in rete le cose belle, farne parlare i giornali. Non è detto debba franare tutto. C’è anche la roccia. Dove c’è la roccia c’è Cristo, c’è Pietro che è chiamato a confermare. Anche il vescovo, i genitori, i giornalisti. Bisogna confermare, oggi, capisce?

Ida Nucera



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