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Difendere la vita per avere futuroIn un Paese, come l’Italia, in cui ci sono circa quattro milioni di cittadini tra inoccupati e disoccupati (meno 40 per cento di giovani) e circa otto milioni di famiglie che non arrivano alla fine del mese per coprire, sul piano finanziario, il costo reale della vita, sembrerebbe fuori luogo parlare di «generatività responsabile» come atto fondamentale e collaborativo per assicurare un futuro di speranza affidabile, per cambiare in meglio le condizioni di vivibilità, degne degli uomini globali e delle donne planetarie. Eppure, «generare futuro» è diventato l’imperativo categorico per le coppie eterosessuali, che non vogliono rassegnarsi a una specie sofisticata di “eutanasia comunitaria”: è questo, in sintesi, il senso del Messaggio (datato 4 novembre 2013) del Consiglio episcopale permanente dei pastori d’Italia, che, ancora una volta, ci presentano il valore storico e salvifico del «Signore della vita» (cf Sap 11,26) e la vita umana come vocazione aperta alla grazia della Provvidenza, alla meraviglia dello stupore e alla relazione creativa del bene tra i fratelli e le sorelle. Concetto ribadito nel Messaggio per la XXXVI Giornata nazionale per la vita dal titolo «Generare futuro» che si apre con le parole di papa Francesco: «I figli sono la pupilla dei nostri occhi… che ne sarà di noi se non ci prendiamo cure dai nostri occhi?». In Italia, il tasso o percentuale di natalità è 1,3 ovvero ogni coppia eterosessuale (sposata in Chiesa, al Comune o di fatto) genera un figlio più un terzo di vita umana: si tratta di un tasso che mortifica sia «l’umanesimo costituzionale» sia «l’umanesimo cristiano», perché le politiche nazionali sulla famiglia, intesa come soggetto attivo e moltiplicatore della società, sono di basso profilo etico e non conformi al dettato della Carta repubblicana del 1948. Ciò succede, inoltre, perché si privilegia l’individualismo assoluto, nato dal libertarismo idolatrico e dal narcisismo onnipotente: individualismo e libertarismo che, ormai, l’Occidente non è più in grado di garantire nelle loro legittimazioni teoriche e pratiche. La crisi della nostra società frammentata, pluralista, multietnica, liquida e umorale non è una crisi soltanto finanziaria ed economica perché questa è soltanto l’effetto e non la causa della crisi: causa che è, invece, legata alla «crisi dell’educazione ai valori» e, segnatamente, alla crisi dell’educazione morale e dell’educazione all’amore. «Per porre i mattoni del futuro siamo sollecitati ad andare verso le periferie esistenziali della società, sostenendo donne, uomini e comunità che si impegnino», come afferma papa Francesco, per un’autentica «cultura dell’incontro». Educando al dialogo tra le generazioni potremo unire in modo fecondo la speranza e le fatiche dei giovani con la saggezza, l’esperienza di vita e la tenacia degli anziani». I vescovi, che sono in Italia, sono, quindi Pastori per una «società unita» e non per una «società disunita»: sono per un autentico umanesimo integrale e solidale. Attivare la cultura dell’incontro per favorire l’istituzione di un nuovo matrimonio e la formazione di una nuova famiglia non è, perciò, un problema di semplice socializzazione dinamica e policentrica ma è, soprattutto, una profezia sociale fondata su «relazioni umane di qualità e di legami stabili»: relazioni tese a instaurare un originale cammino prematrimoniale e un motivato e solido percorso amoroso, testato sull’empatia sentimentale, razionale e comunionale. «La cultura dell’incontro», prosegue il Messaggio, «è indispensabile per coltivare il valore della vita in tutte le sue fasi: dal concepimento alla nascita, educando e rigenerando di giorno in giorno, accompagnando verso l’età adulta e anziana fino al suo naturale termine, e superare così la cultura dello scarto… L’alleanza per la vita è capace di suscitare ancora autentico progresso per la nostra società, anche da un punto di vista materiale. Infatti, il ricorso all’aborto priva ogni anno il nostro Paese anche dell’apporto prezioso di tanti uomini e donne. Se lamentiamo l’emorragia di energie positive che vive il nostro Paese con l’emigrazione forzata di persone (spesso giovani) dotate di preparazione e professionalità eccellenti, dobbiamo ancora di più deplorare il mancato contributo di coloro ai quali è stato impedito di nascere. Ancora oggi, nascere non è una prospettiva sicura per chi ha ricevuto, con il concepimento, il dono della vita. E’ davvero preoccupante considerare come in Italia l’aspettativa di vita media di un essere umano cali vistosamente se lo consideriamo non alla nascita, ma al concepimento». Senza «cultura integrale e solidale della vita» della persona umana non c’è futuro credibile per il nostro Paese, sempre più egoista, egocentrico e “introverso”. Di qui nasce, allora, la necessità - innanzitutto per le comunità parrocchiali, interparrocchiali (o zonali) e diocesane e per le aggregazioni laicali di antica e nuova tradizione (associazioni, gruppi, movimenti, comunità, centri, enti.) - di accompagnare la vita delle persone lungo il corso tortuoso e completo del suo fluire storico, dal concepimento al giorno dell’incontro speciale col Signore. Fino a pochi anni fa, le questioni sociali connesse a “generare il futuro” o a “generare futuro” si limitavano a considerare queste questioni dall’angolo visuale della bioetica prenatale e premortale: oggi, invece, il campo di riflessione e di applicazione della bioetica si è enormemente e giustamente allargato e tocca i momenti salienti e cruciali che determinano la trasformazione delle condizioni di vita concreta degli esseri umani e dei cittadini. Il bio-diritto, la bio-politica, la bio-pedagogia sono, per esempio, soltanto tre nuove dimensioni cognitive del nuovo dibattito pubblico sul valore della vita e della morte e, più in profondità, sul valore assiologico del vivere e del morire: dibattito che, in base al «principio conciliare di laicità cristiana» (Gaudium et spes, 36), va istruito e alimentato, criticamente, pure con la collaborazione culturale di «un laicato maturo, responsabile e aperto ai veri valori umani e ai valori della cittadinanza condivisa». Laicato, cioè, che immette nei circuiti della formazione dell’opinione pubblica i valori evangelici e contaminanti della gratuità, del dono, del perdono, del sacrificio, dell’orazione e della contemplazione. In questa luce, di laicità positiva e aperta alla vita, urge un’adeguata, capillare e differenziata educazione all’arte di amare (E. Fromm), che coincide, nella sostanza esistenziale, nell’educazione all’arte di vivere. In conclusione, vivere senza amare ed essere amati è il vero dramma del nostro tempo e del nostro futuro: con l’amore, invece, anche la vita fiorisce e profuma la sua casa, abitata da altri fiori che cercano il sole della verità, della giustizia, della libertà e della solidarietà. Tommaso Turi
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