![]() Accesso utente |
Li salva Don BoscoAveva 8 anni quando le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) lo hanno sequestrato e lo hanno addestrato, gli hanno insegnato a sparare con il kalashnicov, a lanciare le bombe molotov, a tagliare la gola di un nemico con il pugnale. Poi lo hanno buttato nella mischia. Come tutti i bambini, ignorando i pericoli, Pedro non aveva paura di nulla. Le Forzas armadas revolucionarias de Colombia, o Ejército del pueblo, sono un’organizzazione guerrigliera comunista di ispirazione marxista-leninista fondata nel 1964, la più vecchia dell’America Latina, che si è macchiata di stragi a catena e di un’infinità di nefandezze. Ora a Cuba vanno avanti, fra mille difficoltà, i negoziati di pace con il governo di Bogotà. I guerriglieri rapivano i bambini e ricattavano i genitori: o glieli affidavano o li uccidevano. Con la morte nel cuore i poveretti dovevano cedere. È successo anche alla mamma di Pedro, bambino-soldato molto apprezzato: aveva coraggio da vendere e mostrava grande sprezzo del pericolo. Quando è stato più grandicello i guerriglieri gli hanno affidato i prigionieri da sorvegliare. Così per otto anni, nella foresta amazzonica della Colombia, Pedro si è macchiato dei più orrendi crimini. La sua grande fortuna è stata una retata dell’esercito colombiano, che ha catturato lui e tanti altri infelici. Li hanno caricati su un aereo e li hanno portati in un carcere nella capitale. È stata la sua fortuna e la sua salvezza. In cella ringraziava i militari per averlo sottratto a quell’inferno e perché sapeva che lo avrebbero mandato alla «Città don Bosco» di Medellìn. A 16 anni entra nel Centro perché la violenza ora gli fa ribrezzo, vuole cambiare vita e rinascere. All’inizio è duro disfarsi della ferocia alla quale lo hanno addestrato: vuole sempre un coltello a portata di mano e anche di notte lo tiene sotto il cuscino; spesso ha gli incubi e si sveglia urlando; è scontroso con gli educatori; non socializza con gli altri, è violento. Ma quando c’è da lavorare il legno ci sa fare e ci da dentro. Oggi Pedro ha quasi 30 anni, è un ottimo falegname, ha una piccola impresa che produce mobili; ha moglie e un figlio; quasi tutti i giorni torna alla «Città» a trovare i ragazzi, i volontari, gli educatori e i sacerdoti che per tre anni sono stati la sua famiglia. «Città don Bosco» è il più grande centro della Colombia per ragazzi e ragazze che fanno fatica e che hanno alle spalle montagne di problemi. Ogni giorno ne ospita un migliaio; 450 vi risiedono stabilmente: ex guerriglieri, figli di famiglie sfollate a causa della guerra civile, bambini di strada, minori costretti a lavorare nelle miniere, ragazzi disadattati, giovani emarginati, ex spacciatori al soldo dei «cartelli». Un tempo c’era quello famigerato di Medellìn dove i più potenti e sanguinari boss «cocaleros» reclutavano i giovani e li trasformavano in sicari. Oggi i «cartelli» sono in disarmo. La lavorazione e il traffico di droga sono concentrati soprattutto nella foresta amazzonica e le Farc si sono trasformate in narcoguerriglieri. Nel dipartimento di Putumayo, nel sud della Colombia, tempo fa hanno vietato l’apertura delle chiese. Le proteste della popolazione, dei sacerdoti e del vescovo le hanno fatto riaprire, ma solo al sabato e alla domenica. A Medellin, Armenia, Barranquilla, Cali, Cartagena i giovani delle fasce più deboli non hanno prospettive di lavoro e, quindi, sono estremamente vulnerabili: spesso arruolarsi nei gruppi della guerriglia e nei clan della malavita è l’unico modo per sopravvivere. In queste città i Salesiani aiutano i giovani a non entrare nella guerriglia e nella malavita, o a uscirne. Lo fanno insegnando ai giovani un mestiere, come hanno fatto con Pedro. Lo hanno imparato, dall’altra parte del mondo, da quel prete torinese, nato quasi 200 anni fa a Castelnuovo d’Asti, paese di santi, che diceva: «L’educazione dei giovani è affare di cuore» e che, per primo nella nostra storia, ha stilato un «contratto di apprendistato» tra un ragazzo di Valdocco e un padrone. Pier Giuseppe Accornero
|