Petrini: Papa Francesco aiuta a proteggere la Terra

«Buonasera, sono papa Francesco». E’ iniziata così, una sera di fine settembre, in un albergo di Parigi, la telefonata tra il Pontefice e Carlo Petrini, fondatore di Slow food e Terra madre, la più grande rassegna mondiale di contadini. A raccontarlo, per la prima volta, dopo le notizie uscite sui più importanti quotidiani italiani, è lo stesso Petrini, ospite a Torino del terzo incontro su «Fragilità: fede, possibilità o risorsa» organizzato dalla Cattedra del dialogo, l’iniziativa culturale promossa dai vescovi del Piemonte.

La sala è piena a riprova della simpatia per questo “cunnese doc” che da oltre vent’anni si batte per la difesa della biodiversità agroalimentare, cioè dei prodotti e dei cibi tradizionali a rischio di estinzione e del lavoro dei contadini che li coltivano. Slow food conta 100 mila associati in 150 paesi del mondo, Terra Madre è presente in 170 paesi, con oltre 2 mila comunità del cibo.

«Non avrei mai pensato alla veneranda età di 65 anni di parlare con un Papa», racconta un Carlo Petrini stupito, commosso e concitato come se quella telefonata fosse giunta appena ieri. E precisa che fino ad oggi ha preferito non riferire nel dettaglio i contenuti, così come suggerito dal suo amico padre Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose. Ma adesso, passati tre mesi, sente di poterne parlare liberamente. E per farlo, sceglie Torino e la Cattedra del dialogo. «Ero a Parigi per una riunione del Coordinamento giovani Sloow food. E una sera, solo in camera d’albergo, arriva una telefonata sul cellulare. “Mittente sconosciuto”, penso che sia un giornalista per chiedermi un articolo. Rispondo. “Sono papa Francesco, voglio ringraziarla per quello che ha scritto...” e siamo entrati subito nell’argomento».

Petrini racconta che un mese prima, dopo aver aderito all’appello del Papa che chiedeva un giorno di digiuno per la pace, aveva spedito al Santo padre un libretto di Terra Madre più l’articolo di commento al viaggio pastorale a Lampedusa che aveva scritto per un quotidiano nazionale. In quell’articolo puntava il dito contro un «Paese dalla memoria corta» e ricordava gli emigrati piemontesi, lombardi e veneti, cinquecento tra uomini, donne e bambini imbarcati sulla Principessa Mafalda e annegati il 27 settembre 1927 davanti a Buenos Aires. «”Anche mio papà e i miei nonni dovevano salire su quella nave”, racconta il Papa al telefono. “Ma arrivarono tardi a Torino, avevano preso un caffè in via Garibaldi e non avevano i soldi a sufficienza per partire. Quindi hanno rimandato il viaggio”. Un viaggio che sarebbe stato fatale...». Non lo sapevo, risponde Petrini al Papa. Poi dice: «Io sono agnostico, ma credo che questa sia una delle prove dell’esistenza di Dio…».

La telefonata, una mezz’ora in tutto, è poi volata via sui temi che stanno a cuore a Petrini e a Bergoglio: la difesa dei popoli più poveri, a cominciare dai migranti, oggi come allora; ma anche la difesa del Creato e dei frutti della terra. Poi di Terra Madre e dell’economia di sussistenza. «Una settimana dopo arriva la lettera del Papa. Dice testualmente: “La ringrazio per il volume e l’articolo ed esprimo la mia gioia per la telefonata di sabato scorso. Esprimo un sentimento di sincero apprezzamento per la sua associazione e la invito a proseguire. C’è tanto bisogno di movimenti che favoriscano la custodia del Creato. E’ una indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, Genesi 2,15, ma a ciascuno di noi per far crescere il mondo con responsabilità e trasformarlo perchè sia un luogo abitabile per tutti”. Ho pensato: questa non è solo una dichiarazione culturale o d’intenti, questa è una dichiarazione politica. Il Papa concludeva: “Le chiedo di ricordarmi nelle sue buone intenzioni”. Firmato: “fraternamente, Francesco”». Petrini non ha dubbi dopo aver letto la lettera e lo ripete commosso al pubblico della Cattedra del dialogo: «E’ cambiato il mondo. C’è un cambio di paradigma non solo predicato, ma osservato anche in un nuovo stile di vita».

Difesa del Creato, delle popolazioni più povere, del lavoro dei contadini, di una economia dal volto umano che rispetti la natura, senza violentarla. Dice Petrini: «Chiediamo alla nostra Terra sempre di più, la sfruttiamo fino a farla soffrire. E poi ne subiamo i contraccolpi. Dietro alla fragilità degli ecosistemi c’è l’irresponsabilità dell’uomo, il suo uso smodato delle risorse». Se oggi è cresciuta questa sensibilità è perchè sappiamo di aver fatto violenza alla nostra Terra. «Il nostro sistema alimentare in cinquant’anni ha creato uno sconquasso inimmaginabile. L’agricoltura, che ha 12 mila anni di vita, si è sempre distinta per essere un’economia di sussistenza. Oggi basta accendere la televisione per assistere ogni giorno, ad ogni ora, a quella che chiamo “pornografia alimentare”, indice di un disastro di proporzioni bibliche».

La legge del mercato applicata all’agricoltura ha prodotto un mostro. Volete un esempio? «Basta guardare nel nostro Piemonte agli allevamenti intensivi di maiali. La terra è inquinata, le nostre falde acquifere di primo e secondo livello sono inquinate, e quindi anche il Po e le coltivazioni di mais che vengono irrigate lungo tutta la Pianura padana. Un disastro ecologico di proprozioni enormi. Per non parlare della chimica: 120 anni di sostanze gettate nei suoli hanno reso la nostra terra tossicodipendente”. E’ un sistema criminale, dice Petrini, che danneggerà i figli dei nostri figli per generazioni.

Il fondatore di Sloow food snocciola i dati di una ecatombe: abbiano perso il 75 per cento della biodiversità sia nelle specie genetiche, che nelle razze animali. «Chi si ricorda le dolci e profumate pesche di vigna? Non ci sono più, sostituite dalle pesche della California, che non sanno di nulla. Ho girato mezzo mondo e in ogni tv c’è un programma di cucina: ma dove sono i contadini? Sono scomparsi perchè i giovani scappano dalla terra. E come fanno a restare quando un chilo di carote vale 7 centesimi e un litro di latte 32 centesimi? Aveva ragione Pasolini: “Quando il nostro Paese perderà i contadini e gli artigiani, l’Italia non avrà più storia”».

Ma la storia Petrini vuole continuare a raccontarla. E per questo lotta con Slow food per difendere la terra e quindi la biodiversità. «Il nostro mondo ferito si salverà soltanto se cambiamo stile di vita e ritroviamo il senso del limite. E in questo cammino la fragilità, di cui parla il titolo dell’incontro, può davvero aiutarci. A patto che ci si affidi a buone pratiche: dal rilancio dell’economia locale all’agricoltura biologica. Terra Madre mi ha fatto riscoprire il valore della fraternità, valore che spesso è relegato al ruolo di Cenerentola tra libertà e l’uguaglianza. E invece è propedeutica alle altre due. E la fraternità che insegna, educa e apre a percorsi di uguaglianza e liberazione».

Il Papa chiede di prenderci cura della fragilità della terra e dell’uomo. In questo san Francesco d’Assisi è stato un campione, ha ricordato Cettina Militello, teologa, tra le fondatrici della Associazione teologhe italiane, che ha partecipato all’incontro. «La Chiesa per anni ha come disatteso questo insegnamento. I temi etici erano prossimi, ma non toccavano da vicino questo punto. Dal Concilio in poi ci siamo posti il problema del lavoro, della giustizia retribuita, del capitale, del liberalismo e del capitalismo, ma tutto questo non è stato mai tradotto nella cura del Creato. Tema che invece è entrato di diritto nel magistero degli ultimi papi, da Ratzinger a Francesco. L’Evangelii gaudium parte proprio dal discorso dei poveri e degli umili, come paradigma di fragilità».

Riconoscersi fragili allora è riconoscersi creature. Ma nei decenni l’azione dell’uomo ha offeso la terra. Ha fatto deserto, ha ferito la ricchezza della molteplicità della specie. «In Genesi 1 viene affidato alla prima coppia il mondo. Dio non dice “dominate”, ma “coltivate” la terra, cioè producete cultura, cioè abbiatene cura. Il succedersi dell’umanità nel tempo è stata poi sopraffazione, cioè lotta». Fino ai nostri giorni, con l’ubriacatura degli anni Sessanta, che avevano una sola parola d’ordine: accumulare beni e risorse, dimenticando che l’accumulo sfrenato comporta vantaggio per pochi e svantaggio per molti. A partire dagli anni Novanta si è come rinsaviti: la cura del Creato diventa un imperativo morale. Conclude Cettina Militello: «Non si tratta di farci profeti, ma di convertirci a ciò che siamo, perchè la fragilità, anche se ci crediamo immortali, è la cifra del nostro essere nel mondo».

Cristina MAURO

 

 

 

 



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