Un monte di storia

Sapevate che i network internazionali del Seicento erano i frati cappuccini? A dirlo è Nicolò San Germano, presidente della Fondazione San Martino, durante la presentazione del libro «Il Monte dei Cappuccini e Filippo d'Agliè».

Con questa icastica espressione intendeva dire che, in assenza di Internet, in quell'epoca la trasmissione delle notizie passava attraverso i conventi dei cappuccini, che avevano grandi informazioni e grande potenza, nonché frequenti legami con grandi personaggi politici. Uno di questi fu Filippo San Martino conte d'Agliè, nato a Torino il 27 marzo 1604, morto il 19 luglio 1667 e sepolto per sua volontà nell'orto del convento dei cappuccini. Un nobile personaggio che oltre ad essere poeta, musicista, scenografo e architetto, fu devoto amico della duchessa di Savoia Cristina di Borbone, detta Madama reale, e ricoprì un ruolo politico non secondario nel Ducato in anni tempestosi. 

A raccontare la sua storia insieme con quella del Monte dei Cappuccini, che con il convento e la chiesa di Santa Maria del Monte sembra vigilare sopra le sponde del Po e sopra Torino, giunge questo libro, pubblicato grazie al sostegno della Fondazione San Martino, creata una ventina di anni fa dal padre dell'attuale presidente per conservare le memorie e gli archivi della famiglia San Martino. «Il Monte dei Cappuccini e Filippo d'Agliè» (edizioni Nuova Prhomos, Città di Castello) è scritto da Luca Pier Giorgio Isella con la collaborazione di Guido e Carla Amoretti, Renato Grilletto, Mauro Lanza e dà conto delle scoperte avvenute nel tempo riguardanti il Monte dei Cappuccini e i personaggi, importanti o oscuri, che vi presero dimora; scoperte già riportate in diversi articoli sul nostro settimanale.

Il libro riassume tutto il percorso di ricerca fatto fino ad oggi attraverso capitoli di narrazione storica integrati da cronologie, schede di approfondimento, rielaborazioni grafiche originali e riproduzioni iconografiche. A padre Isella, direttore dell'Archivio provinciale torinese dei cappuccini, il merito di aver promosso e coordinato la ricerca, un passo dopo l'altro, a partire dal 1989, quando fu ritrovato nell'orto del convento il sepolcro di Filippo San Martino.

Il Monte dei Cappuccini e Filippo d'Agliè, dunque, protagonisti del libro: il Monte con le trasformazioni succedutesi nei secoli, scoperte attraverso gli scavi e i ritrovamenti dell'équipe; Filippo d'Agliè, la cui figura è ricostruita attraverso uno studio incrociato di tutte le fonti che lo riguardano, a partire da un suo manoscritto autobiografico («La prigione di Fillindo il costante») per singolare coincidenza ritrovato a Parigi nello stesso anno in cui veniva ritrovato il suo sepolcro al Monte, per arrivare al testamento in cui il Conte chiede che le sue spoglie vengano accolte e seppellite nel luogo più umile del convento dei cappuccini. Intorno ai due protagonisti s'intreccia la storia del Piemonte nel Seicento, con  riferimenti alla storia d'Europa e in particolare alla Francia del cardinale Richelieu, molto interessata a estendere il suo potere al Ducato sabaudo, mentre la Spagna, presente in Lombardia, non voleva perdere il suo primato nell'Italia settentrionale.

  In questo contesto Filippo di san Martino, primo ministro di Cristina di Borbone, che era sorella del re di Francia Luigi XIII, cercò di salvaguardare l'autonomia del Ducato mantenendolo equidistante dalle due potenze. Per questo fu odiato dal Richelieu, che lo descrisse in questi termini: un giovane piemontese insolente, avaro e senza cuore, senza onore e senza esperienza (è da notare che il termine «piemontese» nella Francia dell'epoca non era propriamente lusinghiero). L'onnipotente ministro di Luigi XIII lo fece incarcerare alla fine del 1640, anno in cui il Ducato aveva vissuto giorni tremendi. Il libro ricostruisce gli eventi che portarono al massacro del 12 maggio 1640, nel corso della cosiddetta "guerra dei cognati": una guerra che opponeva a Cristina di Borbone, vedova di Vittorio Amedeo I, reggente per il figlio, i cognati principe Tommaso e cardinal Maurizio; la Francia di Richelieu era schierata a favore della Madama reale, la Spagna a fianco dei due cognati. Nel 1640 i Francesi posero l’assedio a Torino e il 12 maggio  riuscirono a entrare nella piazzaforte fortificata del Monte, fondamentale per avere il controllo della città. In quella orribile giornata i soldati francesi massacrarono più di  350 persone, in parte militari e quasi la metà civili dei borghi vicini che si erano rifugiati nella chiesa e nel convento. Il libro ricostruisce il quadro storico e reinterpreta il momento più famoso di quella tragica giornata, quando un «inaspettato fuoco» avvolse un soldato francese che, dopo avere sparato sul tabernacolo, aveva afferrato la pisside per estrarne l'ostia consacrata.

 

Il libro è dedicato al generale Guido Amoretti, storico e antropologo scomparso nel 2008, che in vita diede un importante contributo alle ricerche archeologiche. La figlia Carla, che gli è subentrata, rivela che dal letto d'ospedale il padre le aveva ancora dettato un approfondimento, che troviamo nel testo alle pagine 278-285. Carla Amoretti ha eseguito i grafici che raffigurano le trasformazioni avvenute nella chiesa nei secoli e l'evoluzione dei piani di calpestio della sommità del Monte a partire dall'anno 1000. I contributi tecnici specifici sono stati elaborati da Mauro Lanza, ingegnere e direttore del cantiere, e da Renato Grilletto, antropologo che si è occupato delle spoglie ritrovate negli scavi, riuscendo a trarre da esse informazioni storiche inedite.

Alla fine di luglio del 1989 avviene il ritrovamento, nel giardino del convento, di Filippo d'Agliè. Spesso  il lavoro d'identificazione procede per indizi, a volte minimi, fino a quando, per fortuna o per abilità, ci si trova di fronte alla prova decisiva. Grilletto e padre Isella ritrovano, nel corso degli scavi, uno scheletro che aveva i piedi rivolti verso la chiesa, il capo dall'altra parte, reclinato un pochino a sinistra, come se guardasse Torino. Racconta Grilletto: «Io e Luca ci siamo guardati, abbiamo detto: è lui». Le prove? La presenza di chiodi, che implicavano una cassa, all'epoca oggetto molto costoso, appannaggio solo di persone benestanti, e, soprattutto, una delle due pipe ritrovate accanto allo scheletro, che dai fregi e dalle sigle venne riconosciuta come dono di Cristina a Filippo. Vent'anni dopo, nel 2010, i resti di Filippo d'Agliè hanno avuto degna sepoltura, collocati sulla parete destra del vestibolo della chiesa.

«Fra i suoi molti pregi, il libro ha quello di recuperare un bel tratto di storia sabauda e di testimoniare il rapporto della città con il Monte», ha osservato Aldo Garbarini, direttore generale dell'Ufficio Cultura del Comune di Torino, «e inoltre è frutto di un lavoro che ha coinvolto soggetti diversi»; tra questi il Museo della Montagna, che dal 1984 ha sede in quella che era l'ala occidentale del convento, e a tale riguardo il direttore Aldo Audisio sottolinea che il Museo non è qui per caso; la sua collocazione fu in qualche modo preparata nel 1874, quando il sindaco di Torino Felice Rignon decise di installare un'edicola con cannocchiale sulla terrazza che guarda l'arco delle montagne per ben 450 chilometri. La ricerca dell'équipe, naturalmente, non si fermerà qui.

 Gianna Montanari

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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