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De Gasperi e Maritain coraggio e profezia
Capita sempre più spesso che in una fase politica del nostro Paese confusa, incolore e povera di idee e di ideali, ma anche di personaggi indiscutibilmente alti, escano uno dopo l’altro libri di grande interesse in una materia che in passato è stata, al contrario, ricca di idee, ideali, personaggi di spicco. Il più recente è un volume di non grandi dimensioni (in tutto, 78 pagine, divise in dodici brevi capitoli) in cui Piero Viotto, ben noto ai nostri lettori, illustra il rapporto fra due esemplari personalità pubbliche cattoliche del Novecento: «De Gasperi e Maritain Una proposta politica» (Armando editore, 9 euro). Non ci sono prove che i due si siano qualche volta incontrati, sebbene il filosofo sia stato ambasciatore di Francia in Vaticano per alcuni anni nel dopoguerra, quando lo statista trentino era capo del governo italiano. Quello che è certo è che proprio De Gasperi sia stato il primo a segnalare pubblicamente sia all’Italia, sia soprattutto alla Santa Sede, il pensiero di Maritain. Lo fece, come documenta con molte citazioni Piero Viotto, attraverso gli articoli che dal 1929 in poi, in quanto avventizio alla Biblioteca vaticana dopo avere scontato sedici mesi di galera per antifascismo, scrisse con lo pseudonimo Spectator sulla rivista «Illustrazione vaticana» in una rubrica intitolata «Quindicina internazionale». Si badi ai tempi: gli anni Trenta furono quelli del trionfo del regime fascista, che a De Gasperi aveva tolto non solo l’attività politica come segretario del Partito popolare in quanto successore del fondatore Luigi Sturzo, costretto all’esilio nel 1925, ma anche la libertà personale e l’esilio, a sua volta, in Vaticano, con un lavoro umile ma indispensabile a fargli mantenere la moglie e le figlie. Anni tristi anche per molti cristiani cattolici, che non accettavano tanto facilmente i rapporti ufficiali della Chiesa con il fascismo, dopo il Trattato del Laterano e il Concordato. Viotto riporta una pagina del diario di De Gasperi, in cui questi nota, nel marzo del 1932, dopo che il regime ha sottoposto l’Azione cattolica giovanile a una dolorosa persecuzione: «Ho pianto e sofferto e mi auguravo ancora il carcere piuttosto che assistere a tanta incoscienza e vigliaccheria (…). E’ troppo tempo che i precetti della dignità vengono trascurati. Insegnare a stare in ginocchio va bene, ma nell’educazione clericale dovrebbero apprendere anche a stare in piedi (…). A forza di condiscendenze insincere si perde la stima in se stessi». Ma venendo al suo rapporto con Maritain, vale la pena di leggere la pagina del libro di Viotto, ricavata dal volume di ricerca storica per la beatificazione di Giovanni Battista Montini, in cui si ricorda un saggio scritto nel 1935 da De Gasperi per l’«Illustrazione Vaticana» sulle proposte politiche di Maritain, di cui il futuro Paolo VI era un estimatore. Citiamo letteralmente: «L’aspetto interessante di queste pagine era dato dal fatto che l’autore (De Gasperi, ndr) mostrava come il pensiero maritainiano auspicasse un superamento della civiltà di stampo borghese e capitalistico, non diversamente da quanto aveva fatto il movimento cattolico italiano nel solco della dottrina sociale elaborata da Leone XIII». Un «pensiero» che, come è facile rilevare nella storia della guida degasperiana dell’Italia nella fase della ricostruzione postbellica, continuava concretamente a caratterizzare l’opera politico-sociale dei cattolici nella democrazia che avevano contribuito a riportare nel Paese con la Resistenza e a garantire con la difesa dalle minacce del totalitarismo comunista nella “guerra fredda”. Ma non basta. Viotto, che è soprattutto uno studioso e docente di filosofia, è un maritainiano fino al midollo (ha discusso nel 1947 la prima tesi in Italia sull’«Umanesimo integrale» del pensatore cattolico francese) e concentra in molte pagine del libro non solo i riferimenti degasperiani, ma anche gli elementi fondanti del pensiero di Maritain. Questi è sostanzialmente un sostenitore della democrazia che divide lo Stato e la laicità dalla Chiesa e dalla religione, ma senza comprometterne l’unità etica rispetto al bene comune e alla libertà dell’uomo, in quanto “individuo” a sua volta diverso ma non contrario alla propria natura di “persona”, che lo coinvolge per natura nella relazione con gli altri. Nel libro «I tre riformatori, Lutero, Cartesio, Rousseau» Maritain, sintetizza Viotto, «critica il democraticismo e rileva che Rousseau confonde la democrazia come mito e la democrazia come forma di governo. Il mito della democrazia come sola legittima forma di sovranità è una assurdità. Infatti una legge non è giusta perché la vuole il popolo (come oggi pensa e dice Grillo, ndr) ma è giusta per sé stessa. Secondo Maritain la società ha bisogno di una autorità e questa si esprime attraverso il popolo, ma risale a Dio, perché si fonda sulla giustizia e sul diritto naturale» (e come non ricordare, qui, Benedetto XVI della Caritas in veritate, ndr). Gli anni trenta sono comunque un coagulo di questioni etico-politiche per la Chiesa e il mondo cattolico soprattutto europeo. C’è la guerra civile in Spagna e c’è l’antisemitismo. Sulla prima Maritain «comprende», scrive Viotto, «che non è che un’anticipazione di un nuovo conflitto mondiale», a causa della politica in corso negli Stati totalitari, in particolare nel nazifascismo, dove all’amore per la patria si contrappone l’odio verso gli altri, «il nemico». In Francia i cattolici si dividono in tre tronconi (vescovi compresi): i filofranchisti, i filogovernativi, gli impegnati a riportare un po’ di pace in nome del Vangelo. Maritain fonda un «Comitato francese per la per la pace religiosa e civile in Spagna», a cui partecipano anche Mounier, Mauriac, Marcel, e in un documento ufficiale osserva: «Sacrilegio massacrare dei preti in odio alla religione, fossero anche fascisti sono sempre ministri di Cristo; sacrilegio pure massacrare dei poveri in nome della religione, fossero pure marxisti sono sempre popolo di Cristo». De Gasperi commenta sulla «Quindicina» del 16 giugno 1937: «Il Comitato si propone: a) di aiutare le opere di umanità, che possono essere intraprese in un territorio straniero; b) di agire sull’opinione pubblica internazionale lottando contro ogni tendenza che esasperi gli odii sollevati ovunque da questa guerra; c) di agire eventualmente sui governi degli Stati europei per via parlamentare o attraverso iniziative dirette». Infine, l’inizio della persecuzione degli ebrei, a cominciare dalla Germania nazista e poi anche in Italia, con le leggi razziali emanate il 25 luglio 1939 e il «Manifesto sulla purezza della razza italiana». L’anno prima, il 7 febbraio, Maritain aveva tenuto a Parigi una conferenza sul tema «Gli ebrei tra le Nazioni». De Gasperi, pur non conoscendo ancora tutto il testo di quella conferenza, nella «Quindicina» del 15 febbraio 1938 pensa che ne vadano «rilevate conclusioni come queste. Piuttosto che affrontare i grandi mali, che fanno strage nel mondo, si preferisce di convogliare le ire degli uomini contro Israele. Come se una comunità potesse essere resa responsabile di colpe individuali e come se i delitti degli uomini venissero tutti commessi dagli Ebrei; in Germania, al contrario, dove l’ebreo è assimilato, egli ha partecipato a tutte le colpe nazionali del dopoguerra e la Germania punisce in lui la propria cattiva coscienza. Certo un problema antisemita esiste, ma poiché esso durerà quanto il mondo, il Maritain pensa che bisognerà trovarvi delle soluzioni nell’intelligenza e nell’amore. La Chiesa ha condannato l’antisemitismo fondato sull’odio di razza. Che cosa possono fare, ha concluso l’oratore, i cattolici degli altri Paesi? Tutto, e soprattutto fare appello alla opinione pubblica, poiché è in noi che risiedono le fonti della storia e per uccidere tutti i germi dell’odio è necessario molto amore». Ci voleva molto coraggio in quegli anni e con quel regime (che continuava a spiarlo) scrivere queste cose su una rivista pubblica, sia pure “vaticana”. De Gasperi di coraggio ne aveva; e anche, come Maritain, aveva molto spirito profetico e intelligenza per trasformarlo in proposte politiche. Beppe Del Colle
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