Fiat-Chrysler una scelta e le sue sfide

L’accordo Fiat-Uaw per salire al 100 per cento di Chrysler ha avuto riscontri generalmente favorevoli negli ambienti finanziari e industriali: essi hanno visto poste le premesse per il sorgere di un’unità competitiva nel complesso mercato mondiale dell’auto. E’ fuori dubbio infatti che s’aprono, anche per il nostro Paese, le possibilità di essere compresenti nel contesto delle grandi organizzazioni produttive, da anni in considerevole regresso nella realtà nazionale, salvo limitate, positive eccezioni (Finmeccanica, Eni), anch’esse peraltro interessate da difficoltà originate dalla crisi e da vicende collegabili alla complessità della gestione politica.

Da anni s’era capito che la possibilità di essere positivamente presenti nello scenario industriale mondiale era sempre più condizionata dalla necessità di una sufficienza dimensionale atta a consentire il necessario volume di ricerca, di base e applicata, per affrontare investimenti produttivi consistenti e per organizzare una diramazione generale in mercati variamente dislocati sul pianeta con cultura e abitudini di volta in volta assai diverse. La Fiat s’è mossa correttamente in questa direzione e l’annuncio odierno configura dunque l’acquisizione prossima dell’obiettivo cercato.

Una conferma è giunta dalla reazione positiva della Borsa, con un rialzo consistente e immediato del valore del titolo benchè seguito da un’immediata presa di beneficio; in realtà però i valori di Borsa tendono a rispondere più alle suggestioni e agli umori del momento che non all’effettiva consistenza dei cosiddetti «fondamentali». Ad influire positivamente è stata probabilmente l’informazione secondo la quale l’accordo non è stato fondato su un aumento di capitale, ma sulle risorse al momento esistenti.

Con il completamento concreto dell’accordo il nuovo gruppo automobilistico proseguirà il suo inserimento nel contesto industriale internazionale, nel quale si troverà a competere con altri operatori già attrezzati sulla scala necessaria e certamente attivi nella definizione di modelli nuovi, soprattutto in termini di prestazioni e di compatibilità ambientale e sicuramente non rinunciatari delle posizioni già acquisite o rientranti comunque nei loro piani strategici. Pur consapevoli delle ottime chances tecnologiche dell’impresa torinese, in specie per quanto riguarda i motori, per essa è fuori dubbio la necessità di investire, soprattutto con l’obiettivo di innovare per assicurare l’elevata qualità che può fare la differenza in un contesto internazionale. In questa prospettiva occorreranno necessariamente rilevanti risorse finanziarie con l’esigenza conseguente di far fronte a fabbisogni di capitale da rendere compatibili con il contenimento o meglio con la riduzione di un indebitamento molto consistente: secondo una nota di Citigroup esso salirà a 13,8 miliardi di dollari (circa 10 miliardi di euro), una cifra che ricorda l’ammontare di una quasi finanziaria per il nostro Paese.

Non è quindi da escludere, in prospettiva, un aumento di capitale destinato a chiamare in causa la Exor (finanziaria della famiglia Agnelli), detentrice del 30 per cento del capitale, ovviamente, com’è sperabile, interessata a mantenere il controllo del gruppo. E’quindi importante che dalla gestione possa derivare un flusso di cassa positivo anche per rendere appetibile al mercato una possibile richiesta di sottoscrizione di nuove azioni: dallo scorporo della Fiat Industrial (Bernardo Bertolli, dipartimento di management dell’Università di Torino) la generazione di cassa è stata però negativa, né è migliorata sostanzialmente considerando l’insieme delle presenze del gruppo in Europa, America e Brasile; possibili miglioramenti possono essere prevedibili con la prossima ultimazione dello stabilimento di Pernambuco.

Il management del gruppo sarà quindi chiamato ad affrontare sfide non facili, superabili con la configurazione di un’offerta di prodotti in grado di confrontarsi utilmente con una concorrenza assai agguerrita che vede il sorgere di competitors, assai ben attrezzati, operanti in aree del mondo prima considerate come pure opportunità di sbocco (produttori cinesi, coreani). La considerazione ha peso anche in considerazione dell’interrogativo che accomuna le forze sindacali sulle ricadute prospettiche della fusione sull’economia italiana, nell’ambito della quale la presenza della Fiat è da alcuni anni in regresso, mentre è dato constatare l’avvento di costruttori stranieri anche al di fuori di quelli noti da tempo.

Tenuto conto delle difficoltà che accomunano tutta l’industria nazionale per gli oneri elevati per il ricorso alla finanza, per il costo del lavoro unitario penalizzante, a livello unitario, stante l’incidenza ben nota del cuneo fiscale e per il basso livello della produttività, per le farraginosità e ostacoli burocratici o infrastrutturali, non si vede come tali spiazzanti condizioni possano essere superate se non con l’immissione sul mercato di prodotti a più elevato valore, in grado di assorbire detti oneri anomali. In questo senso divengono comprensibili lo spostamento della produzione sia verso la fascia del lusso (Maserati, Suv Levante, Minisuv), sia verso le produzioni tipiche della casa torinese ma arricchite di confort e di capacità di servizio superiori alla consuetudine.

Le informazioni disponibili sembrano indicare l’intenzione di procedere lungo strategie di questo tipo; la storia dell’impresa torinese con i successi del passato incoraggia a sperare che i risultati attesi possano essere acquisiti. Attendiamo dunque la conferma di tali speranze dei cittadini non solo torinesi e dei lavoratori. Soprattutto di quelli che ancora attendono il rientro duraturo nei loro posti di lavoro.

Giovanni Zanetti

 



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