Meno immigrati, stessi problemi

Diminuiscono i permessi di soggiorno per gli stranieri extraeuropei in Italia. E in tanti partono dalla Penisola per tornare al Paese d’origine. Sono i dati più rilevanti del XIX Rapporto Ismu sulle migrazioni. I nuovi permessi di soggiorno nell’ultimo anno sono stati in tutto 67 mila, quasi dimezzati rispetto all’anno precedente.

Il calo è dovuto al persistere della crisi economica, che ha indubbiamente tolto sostanza al fenomeno migratorio in Italia. I disoccupati stranieri sono 380 mila, 72 mila in più (+25 per cento) rispetto all’anno scorso, soprattutto nell’edilizia, nei servizi e nel turismo. Sono sempre di più anche gli stranieri che lasciano l’Italia: si stima che nel 2012-2013 siano circa 200 mila coloro che hanno spostato la loro residenza all’estero.

Le richieste di protezione internazionale esaminate dall’Italia dal 1° agosto 2012 al 31 luglio 2013 sono state, secondo il ministero dell’Interno, poco più di 11 mila, il triplo rispetto allo stesso periodo tra il 2011 e il 2012. Ma un numero nettamente inferiore rispetto alla media europea, dove si regista il 38 per cento in più. I Paesi che ricevono più richieste d’asilo sono, infatti, Germania (78 mila nel 2012) e Francia (61 mila).

Tra il 1° agosto 2012 e il 31 luglio 2013 in Italia, però, lo status di rifugiato (valido 5 anni) è stato riconosciuto al 14 per cento dei richiedenti, quello di protezione sussidiaria (valido 3 anni) a un ulteriore 25 per cento, quello di protezione umanitaria (valido un anno) al 25. Solo il 35 per cento delle domande ha avuto esito negativo. Nel primo quadrimestre del 2013 le persone sbarcate in Italia sono state 3,4 mila, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2012 in cui se ne contavano 1,8 mila. Si tratta per la maggior parte di uomini. E il luogo di approdo è, nella maggior parte dei casi, la Sicilia. La principale nazionalità dichiarata dai profughi è quella somala (656 casi contro i 606 dei primi quattro mesi del 2012), seguono l’egiziana e la pachistana (rispettivamente 511 e 486) e infine la gambiana (403, totalmente assenti nel 2012). A seguire Eritrea, Mali e Siria, Tunisia e Afghanistan.

Ma se il lavoro diminuisce, perché gli sbarchi continuano? L’abbiamo chiesto a Ennio Codini, responsabile del settore legislazione della Fondazione Ismu per lo studio della multietnicità. «Innanzitutto», sostiene Codini, «bisogna sottolineare che nel caso degli sbarchi si tratta di richiedenti asilo e non di migranti economici. Non sempre è facile distinguere, ma tra chi arriva sulle nostre coste ci sono molti eritrei, somali, egiziani, siriani: persone che sembrano avere questo tipo di requisiti. Quella che è molto diminuita negli ultimi tempi è invece l’immigrazione meramente economica, che coinvolge asiatici, sudamericani e popolazioni dell’Est: uomini e donne che vengono qui per lavorare e che non scappano da una persecuzione politica o religiosa».

Le procedure di riconoscimento dello status di rifugiato sono però molto lunghe e i migranti che sopravvivono al viaggio devono vivere in condizioni a dir poco precarie. Come si può intervenire?

Per evitare che accadano questi problemi si può agire su diversi fronti. Innanzitutto la prima cosa da fare in tempi rapidi è migliorare il sistema Frontex, ossia il sistema europeo di controllo del Mediterraneo e renderlo più sistematico. I naufragi si potrebbero prevenire con un maggiore controllo dello spazio marittimo. Tra le ipotesi c’è quella di unificarlo e dunque di creare una sinergia tra i diversi Paesi del Sud Europa (Italia, Spagna, Grecia, Francia) che preveda la collaborazione dei diversi partner oltre all’area di stretta pertinenza di ciascun Paese. È vero che questa attività avviene su base volontaria, ma finora nessuno ci ha mai negato il suo aiuto. Così si potrebbe migliorare l’individuazione delle imbarcazioni e prestare un soccorso più tempestivo.

E poi?

Per velocizzare l’iter, invece, si potrebbe sviluppare una sperimentazione di Extra Borders Procedures, ossia di procedure oltre confine, come è già avvenuto per la Svizzera e l’Austria: dare la possibilità cioè a chi fugge di presentare una domanda presso la diplomazia italiana dello Stato più vicino a quello di partenza. Per esempio, se uno parte dall’Eritrea potrebbe presentare la domanda a Khartoum, la capitale del Sudan, alla rappresentanza italiana. In un secondo momento a Roma si potrebbe verificare che la domanda non sia manifestamente infondata e che dunque ci siano i requisiti per ottenere l’asilo politico. In caso positivo verrebbe concesso il visto e l’interessato potrebbe prendere un comodo volo di linea per raggiungere il nostro Paese, spendendo anche meno. Certo, non è una soluzione adatta ai grandi numeri, Austria e Svizzera l’avevano messa in atto a Baghdad e Kabul, ma sicuramente potrebbe alleviare la pressione sulle nostre coste. L’ideale, poi, sarebbe creare un filtro fuori dai confini dell’Italia. Potrebbero sostenerci, per esempio, la Libia e la Tunisia. Basterebbe realizzare una rete di centri di accoglienza dove i richiedenti asilo possano presentare la loro domanda e dove si possa rilasciare il visto, anche verso altri Paesi europei, a chi ne ha i requisiti. Così si potrebbero anche azzerare gli sbarchi sul medio e lungo periodo.

Le recenti, scandalose immagini del centro di permanenza temporanea di Lampedusa hanno fatto il giro del mondo. Cosa si può fare per accogliere i richiedenti asilo in modo più dignitoso?

Sicuramente andrebbero fatti interventi particolari anche sui centri di prima accoglienza: strutture deboli e che non garantiscono condizioni igieniche adeguate. I trattamenti sanitari sono importanti, ma anche la tutela della dignità, la possibilità di lavarsi, di riposare, di avere a disposizione strutture riscaldate. Andrebbero rivisti i bandi con cui vengono assegnati gli appalti: il personale che ci lavora dovrebbe essere specializzato. Sarebbe importante anche creare una rete di strutture tra Sicilia, Calabria e Puglia e considerare l’isola di Lampedusa esclusivamente come luogo di transito. Il governo è già intervenuto in questa direzione.

In che modo?

Quest’estate sono stati varati due provvedimenti sui centri di seconda accoglienza, che hanno triplicato i posti a regime da gennaio con un aumento del 40 per cento in caso di emergenza. Non dimentichiamo, però, che la permanenza di molti immigrati a Lampedusa è dovuta anche al fatto che sono testimoni giudiziari. Per la Bossi-Fini, infatti, così come era già stabilito dalla legge Turco-Napolitano, esiste il reato di favoreggiamento o di sfruttamento dell’immigrazione clandestina: quindi gli immigrati trattenuti dovranno testimoniare contro coloro che li hanno portati illegalmente in Italia. Un motivo in più, se ce ne fosse bisogno, per tenerli in condizioni dignitose.

Cosa fare per migliorare l’integrazione di chi ottiene lo status di rifugiato?

“Chi ottiene questo status viene inserito in percorsi che comprendono lo studio della lingua italiana, l’orientamento e la formazione al lavoro. Dopodiché, in un momento di crisi economica rimangono, come per gli italiani, le difficoltà a trovare un’occupazione. Una maggiore accettazione e accoglienza del diverso, però, possono sicuramente migliorare l’integrazione degli stranieri.

Cristina Conti

 



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