Una politica sempre più lontana dal bene comune

Quando il presidente Napolitano ha detto, rivolgendosi agli ospiti istituzionali riuniti lunedì scorso al Quirinale per gli auguri di Natale e buon anno, che l’Italia corre «il rischio di tensioni e scosse sociali», ha sintetizzato perfettamente lo stato psicologico, politico, etico ed economico del nostro Paese.

E quando ha fatto appello all’opposizione berlusconiana perché non rinunci a una “larga intesa” con la maggioranza di governo almeno a proposito delle riforme costituzionali indispensabili, a cominciare da quella della legge elettorale, ha indicato con estrema ed evidente preoccupazione un futuro pieno di «incognite non facilmente decifrabili», fra le quali il «precipitare cieco verso nuove elezioni dall’esito più che dubbio». Cioè, è facile capirlo, verso uno stallo fra tre poli equidistanti e inconciliabili, centro-destra imperniato su Forza Italia, centro-sinistra sul Pd, e il M5S, nessuno dei quali in grado di raggiungere una maggioranza stabile (senza “inciuci” di coalizioni obbligate) e quindi la gestione del governo.

Il discorso del Capo dello Stato ha avuto toni drammatici, del tutto inconsueti in quelle circostanze, in quel luogo e davanti a un pubblico come quello, politico-istituzionale. Al punto che più volte è diventato un appello fortemente personalizzato e indirizzato a far capire che Giorgio Napolitano, ottantottenne, non ha nessun desiderio di rimanere sulla poltrona che occupa e che, ha ripetuto, non ha potuto evitare con una rielezione che non desiderava.

Non ci si deve stupire se, dopo questa premessa, egli ha dichiarato di sentirsi comunque in dovere di esprimere anche nel prossimo futuro «ogni mia ulteriore valutazione della sostenibilità, in termini istituzionali e personali, dell’alto e gravoso incarico affidatomi». Che cosa ha voluto dire con questo? La risposta non è difficile: Napolitano non accetta le critiche che sta ricevendo da settimane per i suoi interventi nella politica corrente, in cui qualcuno cerca di individuare la sua completa adesione a un sistema di “larghe intese” che cerca di mettere insieme forze politiche fra loro opposte per realizzare le riforme che ritiene necessarie.

Sulla scia del titolo «Viva il re!» dell’ultimo libro di Marco Travaglio (un librone di oltre seicento pagine di cui parleremo più ampiamente appena avremo finito di leggerlo…) Napolitano è visto innanzitutto da Beppe Grillo come un monarca assoluto antidemocratico di cui il Parlamento deve votare l’impeachment; sostenuto in questo da Berlusconi e dai suoi fidi che da tempo parlano di suoi veri e propri «colpi di Stato» in difesa dei governi Monti e Letta, da lui voluti dopo aver costretto il Cavaliere alle dimissioni nel novembre del 2011.

Napolitano non ha mancato, lunedì, di rivolgersi direttamente a Berlusconi. Dopo aver rivolto al suo partito l’appello a contribuire lealmente alle riforme istituzionali, ha detto testualmente: «La severità delle sanzioni inflitte può indurre l’interessato e la sua difesa a tentare la strada di possibili procedimenti di revisione o proporre ricorsi in sede europea. Ma non autorizza a evocare immaginari colpi di Stato o oscuri disegni cui non sarebbero state estranee le nostre più alte istituzioni di garanzia. Queste estremizzazioni possono solo provocare guasti alla vita democratica». Il Cavaliere ha risposto a spron battuto: «Non ha più remore, passa sopra a tutto, e adesso non dovrei neppure difendermi».

Uno dei suoi parlamentari ha aggiunto (dopo aver ricordato che il Capo dello Stato non ha concesso la grazia all’ex premier, mentre avrebbe potuto farlo) che egli «non esercita un ruolo di garanzia, non è un arbitro imparziale, e non è estraneo alla realizzazione del disegno politico-giudiziario e mediatico che ha portato alla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore». E il capogruppo di FI Renato Brunetta: «Sostenendo il governo, travalica il ruolo assegnatogli dalla Costituzione» e, a proposito della legge elettorale da rivedere, «le sue parole appaiono irrispettose della sentenza della Corte (sul porcellum, ndr) le cui motivazioni converrebbe attendere, salvo che Napolitano non le conosca già, o peggio voglia condizionarne la stesura».

Detto tutto questo, risulta ormai sempre più difficile sia a Enrico Letta di proseguire nel suo lavoro per una uscita positiva dalla crisi economico-finanziaria con una maggioranza ridotta e sempre soggetta ai dubbi tentatori filoberlusconiani del Nuovo centro-destra di Alfano; sia a Matteo Renzi, neo segretario del Partito democratico, di immaginare quindici mesi di impegni parlamentari per le riforme del sistema istituzionale e di sostegno del mondo del lavoro, delle imprese, della cultura e via dicendo. E’ quanto ripete nei suoi continui voli pindarici su e giù per il Paese, fino a offrire a Grillo merce di scambio anche piuttosto costosa per il Pd, pur di averne il consenso sulla nuova legge elettorale, ma ricevendone sempre irridenti (e inconcludenti) «no».

A nostra memoria, si prospetta il peggiore fine anno della storia politica repubblicana. Vorremmo sbagliarci, non solo per noi, ma più intensamente per il bene comune dei concittadini. Nel Buon Natale che rivolgiamo nonostante tutto ai nostri lettori c’è naturalmente la speranza; e vorremmo saperla esprimere con la «tenerezza» di cui parla ogni giorno papa Francesco. Che il Bambino Gesù ci aiuti, tutti quanti.

Beppe Del Colle



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