Cristo ci ha insegnato a cosa serve il soffrire

Il 4 dicembre su «la Repubblica» il giornalista Corrado Augias ha risposto ad un lettore che gli scriveva scandalizzato per la frase che papa Francesco aveva rivolto a un gruppo di bimbi polacchi afflitti da malattie gravi. «Voi fate tanto bene alla Chiesa con la vostre sofferenze, sofferenze inspiegabili. Ma Dio conosce le cose e anche le vostre preghiere». Una frase ritenuta dal lettore agghiacciante, anche se detta in «buona fede». Avrebbe dovuto invece esortarli, suggeriva il lettore, a confidare nella medicina che guarisce i mali, e aggiungeva, venenum in cauda, «anche se questo significherà che non potranno più fare il bene della Chiesa con le loro sofferenze».

Il signor Augias ha risposto dicendo tre cose. Anche lui ritiene: a) discutibili le parole del Papa; b) il Papa avrebbe dovuto confortare questi piccoli dicendo che la scienza avrebbe risolto i loro problemi, anche se riconosce i limiti di questa proposta; c) è d’accordo con il lettore che invita la Chiesa a non ostacolare la ricerca della scienza medica.

Quanto alla prima: il signor Augias non ha capito il significato delle parole del Papa, e lo dimostreremo. Quanto alla seconda: non è di grande conforto dire a queste piccole creature: «Tenetevi il male in attesa che la scienza li risolva» senza sapere come e quando, e sapendo che per chi è affetto da malattie rare o inguaribili questa proposta non è di alcun conforto. Quanto al terzo: dovrebbe citare almeno un caso in cui la Chiesa ha impedito il progresso delle scienze mediche, a meno che non si tratti dei casi in cui la scienza per guarire l’uomo vada contro l’uomo. Al signor Augias muoviamo il rimprovero che non è corretto giudicare con le categorie dell’agnostico il Papa, che, come uomo di Chiesa, parla con il linguaggio della Chiesa a persone che fanno parte della Chiesa.

Il pensiero del Papa

Proviamo a capire il significato delle parole del Papa, il quale oltre ad essere Papa è un buon cristiano. Anzitutto ricordiamo che il problema del male non nasce con Agostino (l’unde malum citato da Augias), ma è nato con l’uomo e ne troviamo una trattazione nel libro di Giobbe. Giobbe è un uomo saggio e giusto; e quando una serie di mali si abbatte su di lui, apre un contenzioso con Dio: «Perché devo essere percosso dal male se mi sono comportato sempre bene?». Non trova la risposta, ma conclude che non può mettere sotto processo Dio per i mali che lo affliggono. Infatti i mali non vengono da Dio, ma dalla stessa natura corruttibile dell’uomo e dalla sua storia. Ne abbiamo ancora oggi un conferma: le guerre, la shoah, le persecuzioni, la corruzione, il malgoverno e la malasanità, le emissioni di anidride carbonica, le Taranto, la Thyssen, l’uso dell’amianto, le dipendenze dall’alcol, dalla droga, dal gioco, le mille malattie, ecc. non sono il prodotto di Dio, ma della corruttibilità dell’uomo, quando non sono addirittura il frutto di scelte nefaste dell’uomo.

Ed ecco allora la seconda domanda: perché all’uomo “toccano” tanti mali? La risposta di Dio è chiara: perché l’uomo ha preteso di fare a meno di Dio, e Dio ha rispettato la sua scelta, lasciandolo in balìa della sua natura di creatura intelligente e libera, ma con grandi antinomie che nascono proprio dalla sua perfezione. Si trova continuamente con la sua intelligenza e libertà di fronte al bene e al male, e spesso invece di scegliere il bene e di contenere e sanare il male, lo alimenta, diventando homo homini lupus. E allora, ecco la terza domanda, come uscire da questa situazione? Affidandosi alle diverse scienze? Certamente. Dio lo ha insegnato dicendo «riempite la terra e dominatela», cioè con il vostro ingegno mettete tutto l’universo a servizio della vostra vita. Ma non basta. Sia perché la scienza dell’uomo è impotente di fronte a tanti mali, specialmente i mali di natura spirituale; sia perché l’uomo continua a soffrire anche quando spera nei futuri risultati delle scienze. Per questo la proposta di confidare nelle scienze non risolve in modo radicale il problema del male.

Il cristiano ritiene che la vera soluzione venga da Gesù, il Dio fatto uomo, non perché si sostituisce ai medici e agli scienziati, ma perché oltre a stimolare l’uomo nell’impegno della lotta al male, dà un senso alla sofferenza. Come? Si addossa tutti i mali dell’umanità, da quelli fisici, a quelli psicologici, a quelli spirituali, eccetto il peccato, e con una alchimia possibile solo a Lui li trasforma da maledizione in strumento di salvezza. Non libera l’uomo dal male e dai mali (anche se con i miracoli ha dimostrato di essere più forte del male e addirittura della morte), ma lo mette in condizione di dare un valore a ciò che in sé non ha valore, anzi attenta al suo bene.

L’insegnamento di Gesù

E’ da queste premesse che il Papa è partito quando ha rivolto quelle parole ai piccoli che gli stavano davanti. E’ come se avesse detto: «Voi soffrite e vi stanno curando per guarire, ma sappiate che la vostra fede di cristiani vi dice che, mentre attendete la guarigione dalle cure, la sofferenza che vi tormenta può diventare un dono per voi e per l’umanità, se la vivete in unione alle sofferenze del Figlio di Dio fatto uomo». Non solo; ma il cristiano crede che la sofferenza di chi soffre diventa per la Chiesa e per tutta l’umanità l’occasione per trarre dal cuore dell’uomo l’amore, che è l’esperienza più alta e nobile della sua esistenza. Infatti Gesù ha dato come criterio della riuscita o del fallimento della nostra vita le opere di misericordia corporali e spirituali. Da notare: opere, non parole scritte sui giornali o pronunciate dalla cattedra. Opere di crescita, di progresso, a tutti i livelli: da quello fisico/sanitario, a quello psico/affettivo, a quello spirituale.

La Chiesa si è sempre attivata per curare e sostenere l’uomo in sofferenza. Basta pensare a tutte le opere di aiuto, assistenza, cura che in ogni tempo ha messo in atto per diventare il buon samaritano che si piega sull’uomo ferito dalla vita: dal riscatto degli schiavi, alla cura degli ammalati, all’assistenza degli appestati, alla protezione dei mentecatti, all’assistenza del “mostri” (quelli che il Cottolengo chiamava i suoi «buoni figli») che tutti rifiutano. Non si accontenta di parole di conforto e di compassione, ma passa all’azione, anche oggi con le tante Madri Teresa di Calcutta, con i tanti padri Pio che confortano nel confessionale e costruiscono le case della sofferenza, e con le innumerevoli associazioni caritative.

Ma la Chiesa, appoggiandosi all’insegnamento di Gesù, va oltre, e fa qualcosa che nessun altro è capace di fare: dà un senso alla stessa sofferenza, non perché quelli che soffrono stiano nella loro sofferenza (e le tante sue opere lo dimostrano), ma perché anche per tutto il tempo che soffrono e che sperano nella guarigione la sofferenza non resti un semplice male, ma si trasformi in un fatto salvifico. Al punto che il sofferente può dire con San Paolo: «Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo» (Col. 1, 24). Il male non è più soltanto strazio e disperazione, ma è anche strumento di salvezza.

L’errore del signor Augias

Qual è l’errore del signor Augias? E’ duplice. Anzitutto interpreta il pensiero e la prassi dei cristiani con le sue categorie di agnostico. E’ il grande peccato che troppo spesso si commette nei confronti di una corretta ermeneutica, la quale insegna che si deve giudicare un pensiero e una prassi partendo dall’interno del mondo di chi la vive. E’ come se un italiano giudicasse ridicolo l’abbigliamento degli esquimesi partendo dalla sua esperienza di abitante nel clima mediterraneo. Le pellicce e gli igloo sono realtà ragionevoli nel clima artico e diventerebbero ridicole nella riviera romagnola. Il secondo errore, dimentica che le opposizioni e le diversità sono di varia natura. C’è quella di contraddizione in cui una elimina l’altra (luce e tenebre, essere e non/essere), e quella di contrarietà che ammette la coesistenza dei diversi, come avviene per esempio nei fiori, in cui la rosa, pur essendo diversa, non elimina la margherita e tutti gli altri fiori. Applicando questi principi alle parole di papa Francesco dobbiamo anzitutto dire che non sono «agghiaccianti», anzi sono perfettamente coerenti se collocate nella vita dei credenti, e chi vuole valutarle non deve partire dalle parole, ma dalla fede che le ispira. In secondo luogo: non c’è contraddizione tra la proposta dell’agnostico che dice di affidarsi al medico e la proposta cristiana che dice anch’essa di affidarsi al medico, ma aggiunge che si può dare un senso alla sofferenza, vivendola in unione alle sofferenze salvifiche del Figlio di Dio fatto uomo.

Anche da un punto di vista razionale, cosa è meglio? Consolare l’afflitto dicendogli che deve continuare a soffrire in attesa di una guarigione che non si sa se verrà e quando verrà e in certi casi certamente non verrà, oppure prospettargli la possibilità di dare un senso alla stessa sofferenza mentre si sottopone alle cure, o mentre patisce sofferenze per la quali non esiste rimedio? Anche se non si è credenti, la proposta della Chiesa può essere considerata come un “placebo” di natura spirituale e non come l’occasione per creare conflitti e gettare discredito sulla Chiesa e sui credenti.

Giordano Muraro o.p.



SIR | Avvenire.it | FISC

PRELUM Srl - P.I. 08056990016