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Natale di speranza nonostante tuttoGesù è venuto per abbattere i muri e per dirci che solo nell’incontro solidale si crea un mondo di pace e di giustizia per tutti. Quello che stiamo per celebrare è un Natale diverso dagli altri, è un Natale difficile, ma pur sempre un Natale ricco di speranza, perchè il Figlio di Dio è con noi e la sua venuta non è scontata, ma sempre nuova. «Non temere, io vengo in aiuto» (Is 41,13). Ha concluso così, l’arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia l’omelia della messa per il mondo del lavoro in occasione del Natale, venerdì scorso in un Santo Volto gremito. Pochi giorni prima, con la lettera all’arcidiocesi dal titolo «Una casa amica» aveva «bussato alla porta» dei torinesi per ricordare il valore e l’importanza della famiglia: è in famiglia che si impara il difficile mestiere del vivere, la fatica del lavoro, l’impegno a tessere rapporti umani e profondi; è in famiglia che si sperimenta lo spirito dell’accoglienza; ed è sempre in famiglia che ci si misura sulla carità, riconoscendo in ogni povero l’immagine di Gesù. Alla crisi che ha colpito il sistema Paese e in particolare Torino, una città che fatica a trovare una via di uscita con fabbriche che chiudono, imprese che falliscono e famiglie che a Natale fanno i conti con la cassa integrazione, il vescovo risponde ricordando che su Dio si può sempre contare, anche se a volte le prove e le difficoltà della nostra vita ci abbattono e ci scoraggiano. «Siamo qui riuniti a pregare insieme, questa sera, per quanti oggi si apprestano a vivere il Natale con profonda preoccupazione nel cuore e vivono una prova dura, perchè il Dio difensore dei poveri e dei dimenticati li aiuti a superarla e a gestirla con serenità, solidarietà e fiducia». Ed è su questa fiducia, che mons. Nosiglia invita a camminare. Cercando vie di amore e di pace, nonostante tutto. «Non lasciamoci espropriare del Natale, di una festa che appartiene alla più importante e forte tradizione delle nostre famiglie e che, anche se celebrata in un momento carico di incognite va comunque accolta come motivo di speranza e vissuta con gioia insieme con i nostri ragazzi, anziani, amici e tutta la comunità». Ed è un invito accorato a ritornare in famiglia per abbracciare gli affetti più cari, senza dimenticare però chi vive in difficoltà, dai poveri agli ammalati agli anziani. «Penso a chi soffre nella propria casa situazioni di divisione», ha detto l’arcivescovo di Torino, «incomprensioni gravi nel rapporto di coppia o con i figli o i propri genitori anziani; ci sono tanti che devono affrontare in casa gravi problemi di disabilità o malattie anche gravi di congiunti o vivono solitudini profonde senza legami affettivi e amicizie sincere. Penso anche a quanti vivono in coppia senza vincoli stabili e riconosciuti, o chi condivide un nuovo vincolo dopo un’esperienza coniugale fallimentare. Molti sono anche ormai coloro che soffrono la mancanza di un lavoro o l’impossibilità di pagare l’affitto di casa. Molti anche gli immigrati e i rifugiati privi di una famiglia, perchè l’hanno lasciata nel loro Paese». C’è infine chi vive sulla strada, senza una casa o anche solo un posto per dormire. A tutti mons. Nosiglia ricorda che c’è una casa aperta e amica: la parrocchia, «famiglia di famiglie». Come a Gesù, Giuseppe e Maria non è stato risparmiato niente e le prove dure le hanno sopportate e affrontate con la forza della fede fino alla fine della loro vita terrena, così anche noi dobbiamo trovare la forza di superare situazioni che giudichiamo «difficili e impossibili» attraverso la forza della preghiera. «La preghiera», ha ricordato l’arcivescovo, «è la forza più grande, efficace e potente che abbiamo. Di Dio possiamo fidarci, a lui dobbiamo affidare la nostra vita e i nostri problemi, egli ci ascolta e infonde nel cuore la sua grazia. I santi sociali hanno ben capito questa dinamica, creando delle “opere” che costituissero un esempio, un modello concreto per favorire il cambiamento». Mons. Nosiglia non si riferisce solo alle opere di carità, ma anche e soprattutto alle opere di formazione. E, in particolare, alla formazione professionale, che può aiutare tanti giovani ad avvicinarsi al mondo del lavoro. «Aiutare i ragazzi ad orientarsi, sostenendo così la famiglia in questa difficile azione educativa, è una delle carità più grandi», ha detto. Etica del lavoro, che salvaguardi la centralità dell’uomo. Ma anche etica della comunione, che si apra al dialogo, all’incontro e alla collaborazione tra tutti gli attori sociali. E’ questo l’invito che è salito forte al termine dell’omelia al Santo Volto. «Dobbiamo riscoprire insieme le dimensioni del rischio e del coraggio. Dobbiamo scommettere sulla sinergia. Oggi non possiamo più permetterci di pensare a scompartimenti stagni: quello di cui il nostro Paese ha bisogno è che i singoli comparti dialoghino e trovino il modo di pensare facendo sistema integrale. Il dialogo è la chiave. Un nuovo sistema di “welfare integrato” è stato uno degli ambiti su cui la Settimana sociale dei cattolici italiani, lo scorso settembre, ha riflettuto maggiormente, proprio perchè è su questo ambito che si gioca il futuro dei giovani e delle famiglie». I giovani vedono un mondo adulto che non dialoga veramente e lo sentono estraneo. Hanno ragione, dice l’arcivescovo e si chiede: «Quale speranza può provenire da un atteggiamento individualista e autoreferenziale?». Come comunità cristiana «continuiamo a dire che non è l’uomo per il lavoro, ma il lavoro per l’uomo». Come comunità ecclesiale «sentiamo la responsabilità di dare testimonianza di solidarietà, ma anche di coraggio, nelle scelte individuali e familiari (stili di vita), sia in quelle che ci rendono aperte della società civile». E ricorda l’agorà sociale che la Chiesa torinese ha promosso durante questo anno pastorale.Se anche questo Natale «è diverso dagli altri», perché segnato dalla crisi, sarà comunque un Natale «ricco di speranza», se sapremo aprire la porta della nostra casa e del nostro cuore a chi vive nella sofferenza, nel dolore, nella malattia, nella povertà. Allora, solo allora, la paura della crisi e della solitudine si trasformerà in speranza. Cristina MAURO
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