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Fra Europa e Usa grande sfida sul cervelloL’impressione è che si sia all’inizio di una nuova sfida scientifica, al pari della corsa alla Luna tra americani e russi. Tanto sembra riproporre la competizione tra l’Unione europea e gli Stati uniti sul cervello, rispettivamente con i progetti di ricerca Hbp (Human brain project) e Brain (Brain research tthrough advanced innovative nanotechnologies). Sebbene i risultati potrebbero essere davvero importanti, l’opinione pubblica stenta a comprendere la reale portata in termini di sviluppo e di ricchezza. Basti pensare che il progetto Genoma, per ogni euro investito, ne ha fruttati ben 140. Con Brain gli scienziati statunitensi si sono posti l’obiettivo di mappare l’attività dei 100 mila neuroni presenti nel cervello umano. «Puntiamo», ha detto il presidente degli Stati uniti, Barack Obama, «a scoperte significative relative a come è possibile curare malattie psichiatriche e neurologiche grazie ad una nuova generazione di strumenti che consentono di studiare i segnali emessi in quantità superiori, ed a velocità maggiori, di quanto finora avvenuto». La ricerca prevede, nella prima fase, la creazione di macchine molecolari in grado di monitorare l’attività cerebrale a livello di singola cellula. L’obiettivo sarà conseguito con l’adozione di nanosensori sensibili ai campi elettrici abbinati con sistemi ottici e tecnologie wireless. «Brain», dice Piergiorgio Strata, presidente dell’Istituto nazionale di neuroscienze, presso l’Università di Torino, intervistato da «Scienza in rete», «non nasce dal nulla, ma riunisce una serie di progetti che sono già iniziati, primo fra tutti quello sul connettoma umano, lanciato nel luglio del 2009 con lo scopo di costruire una mappa virtuale che farà luce sulle connettività anatomiche e funzionali del cervello». Il «connettoma» è l’insieme di tutte le connessioni presenti nel cervello, ossia di tutti i collegamenti che i neuroni realizzano mediante le sinapsi. In teoria il connettoma potrebbe spiegare la personalità, il quoziente di intelligenza e gli aspetti peculiari della identità di un individuo. «Sebbene questa idea circoli da tempo», spiega Sebastian Seung nel libro «Connettoma», «i neuroscienziati non sanno ancora se sia vera. La posta in gioco però è enorme, perché se la teoria fosse vera, curare i disturbi mentali vorrebbe dire in buona sostanza riparare i connettomi». Di diversa natura l’impostazione del progetto di ricerca europeo. L’Human brain project intende realizzare un cervello artificiale capace di riprodurre alcune capacità di quello umano. «L’obiettivo», spiega in un articolo su «Le scienze» Henry Markram dell’Ecole Polytecnique Federale di Losanna, coordinatore della ricerca, «è di creare, rimontando i pezzi, una simulazione completa del cervello umano. Un cervello digitale sarà una risorsa per tutta la comunità scientifica: i ricercatori prenoteranno per usarlo e condurre i propri esperimenti, come già accade con i telescopi più potenti. In questo modo potranno verificare le teorie sul funzionamento del cervello in condizioni normali e patologiche». Anche il progetto europeo non nasce dal nulla, da tempo, infatti, a Losanna, era in atto il Blue brain project con lo scopo di costruire un modello unificante di struttura cerebrale, la colonna corticale, la cui architettura è stata riprodotta in tutto il cervello; una strada di ricerca alternativa per creare una simulazione del cervello umano sulla base delle conoscenze biologiche. Fatto sorprendete è che, stimolata elettricamente, la colonna corticale ha avuto un comportamento assimilabile al cervello, dimostrando la bontà dell’intuizione. «Nella colonna», osserva Henry Markram, «si sono diffusi gli spike, i potenziali d’azione, il linguaggio del cervello, e la colonna si è comportata come un circuito integrato. I potenziali d’azione si diffondevano tra uno strato e l’altro oscillando, proprio come accade nelle sezioni del cervello in vivo. Era un comportamento non programmato nel modello, ma che emergeva dall’architettura del circuito, che rimaneva attivo persino dopo l’interruzione della stimolazione: aveva sviluppato per breve tempo una dinamica interna, un modo tutto suo di rappresentare l’informazione». L’Human brain project amplierà gli studi avviati dal Blue brain project integrando i dati sul cervello raccolti in ogni parte del mondo, per individuare schemi o regole che descrivano l’organizzazione cerebrale. «Dobbiamo tradurre», scrive ancora il coordinatore del progetto, «in forma di equazioni matematiche i processi biologici descritti da queste regole e sviluppare il programma per risolvere le equazioni su un supercomputer. E sviluppare il programma che costruirà un cervello conforme alla biologia». Non mancano le obiezioni sia sull’uno che sull’altro progetto. I critici dello studio europeo osservano che è impossibile realizzare le 100 mila miliardi di connessioni presenti nel cervello umano; che i processi computazionali utilizzati dall’uomo potrebbero essere differenti e che lo spazio per l’immagazzinamento dei dati è enorme, dell’ordine di 300 mila petabyte l’anno. Quelli dell’altra sponda dell’oceano, invece, puntano il dito sulla centralizzazione del progetto Brain. Gary Marcus della New York University sostiene che la ricerca «è troppo intricata e ha troppi aspetti diversi per essere affidata ad un unico piano di studio centralizzato: meglio creare diversi filoni di ricerca indipendenti per decifrare il linguaggio usato dal cervello nell’impartire comandi, capire come i neuroni sono organizzati in circuiti cerebrali, individuare il modo in cui i geni contenuti nelle cellule influenzano il comportamento». Obiezioni, tutto sommato, condivise anche da Piergiorgio Strata, il quale osserva che «la ricerca curiosity driven, spesso affidata a piccoli gruppi che operano in relativa autonomia, ha sempre portato a idee rivoluzionarie, che spesso sono arrivate in maniera imprevedibile». Inoltre, non meno preoccupanti sono le obiezioni sul piano etico che gli studi neuroscientifici implicano. Da un lato Henry Markram si chiede se «è responsabile costruire un cervello virtuale composto da un numero maggiore di colonne corticali con una capacità di elaborazione di milioni di volte superiore a Deep Blue, il computer Ibm esperto giocatore di scacchi»; dall’altro Gilberto Corbellini, sul «Sole24ore», informa che «mentre la ricerca e i temi nell'ambito delle neuroscienze di base si apprestano a diventare ancor più specialistici, ma con lo sforzo di ricomporre in una comprensione più unitaria e fondata la conoscenza di noi stessi, l'attenzione è già molto, ma molto alta per le implicazioni degli studi neuroscientifici sulle risposte comportamentali che hanno rilevanza per la convivenza sociale». Quello che si prospetta, dunque, è un futuro carico di aspettative, soprattutto nel settore delle cure delle malattie neurologiche altamente invalidanti, e di inquietudini sul piano etico, su cui occorre mantenere alta la guardia con una informazione scientifica corretta, puntuale, ma non acritica. Pasquale Pellegrini
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