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Europa, i sì e i noMentre in diversi Paesi dell’Ue ferve l’iconoclastia anti-euro, e Beppe Grillo lancia davanti a quarantamila cittadini in una piazza di Genova (vedi a pagina 2) la proposta di un referendum per l’uscita dell’Italia dalla moneta unica, ecco che in Ucraina scoppia la protesta di decine di migliaia di persone nella capitale Kiev e in altre città, contro la decisione del governo, “succube” della Russia di Putin, di bloccare il negoziato in corso la settimana scorsa a Vilnius, in Lituania, con l’Unione europea a proposito del Trattato di associazione di libero scambio fra l’Ovest democratico e l’Est già comunista del Vecchio contenente: un patto proposto a sei Nazioni uscite 25 anni fa dall’Urss, ma finora accettato soltanto da Moldavia e Georgia. E’ in atto da tempo un aspro braccio di ferro fra la leader dell’opposizione Giulia Timoshenko, già primo ministro e ora ingiustamente incarcerata, che invita i manifestanti a non lasciare le piazze sotto l’incalzare della polizia, e il presidente Viktor Yanukovic, il quale dal canto suo ha in programma un viaggio a Mosca per firmare un accordo che ripristini «relazioni commerciali ed economiche regolari», a cominciare dalle forniture di gas naturale, di cui la Russia ha quasi il monopolio mondiale. Bruxelles ha condannato l’uso «eccessivo e ingiustificato della forza da parte della polizia». La storia dei rapporti fra Russia e Ucraina è qualcosa che si riproduce, in circostanze sempre molto diverse, di secolo in secolo. Non è un caso che papa Francesco abbia salutato qualche giorno prima dello “strappo” di Vilnius «la comunità ucraina» che ricorda l’80° anniversario dell’«Holodomor», la «grande fame» provocata dal «regime sovietico che causò milioni di vittime». Un genocidio rimosso e dimenticato sul quale continua a persistere una cappa di silenzio. «Holodomor» è l’Olocausto ucraino, la carestia che si abbatté sull’Ucraina tra il 1929 al 1933. Il termine significa «infliggere la morte attraverso la fame», perché la carestia fu il risultato di politiche crudeli da parte dell’Unione Sovietica e di Jozif Stalin, il più dispotico e sanguinario dittatore, «macellaio» di popoli e di cittadini, al quale per decenni inneggiarono milioni di comunisti dell’Urss e fuori. Anche il Parlamento europeo lo considera un crimine contro l’umanità. Dopo anni di vessazioni e di imposizione della collettivizzazione forzata contro i kulaki (contadini benestanti e proprietari di una certa estensione di terra che coltivavano con altri contadini alle loro dipendenze), le autorità sovietiche impongono un incremento del raccolto assolutamente irrealizzabile. Il 7 agosto 1932 Mosca introduce la pena di morte o condanne a lunghe pene detentive per qualunque sottrazione di grano, di cereali e di cibo di qualunque entità, anche per uso personale. Quando è chiaro che la produzione non avrebbe raggiunto l’obiettivo fissato dal governo, la colpa viene rovesciata sui contadini. Oltre centomila persone sono condannate: 5 mila giustiziate e oltre 26 mila condannate a dieci anni. Una commissione capeggiata da Vjaceslav Molotov (il sinistro presidente dei commissari del popolo, in pratica il capo del governo dell’Unione Sovietica) sorveglia la requisizione del grano. Egli ordina alla polizia e alle forze di repressione di non lasciare grano nei villaggi ucraini, di confiscare anche barbabietole, patate, verdure e ogni tipo di cibo o bene, comprese le risorse finanziarie. Le brigate d'assalto effettuano incursioni nelle fattorie e le devastano. Così l’Ucraina si trasforma in gigantesco campo di sterminio. In pochi mesi nella campagna ucraina, una regione molto fertile, imperversa una terribile carestia. Il governo sovietico nega l’evidenza e, per prevenire il diffondersi di informazioni sulla carestia, Stalin e Molotov proibiscono i viaggi nella regione del Don, in Ucraina, nel Caucaso settentrionale in quanto «i viaggi per il pane sono organizzati dai nemici dell'Unione Sovietica con lo scopo di fomentare le proteste contro le fattorie collettive». Secondo migliaia di testimoni oculari masse di bambini in fuga dalle campagne sono arrestati e deportati negli orfanotrofi, dove in poco tempo muoiono di fame. Nel frattempo Stalin sta anche sottraendo il potere politico all’Ucraina. In seguito alle lamentele e alle proteste per i disastrosi effetti della collettivizzazione forzata, manda in Ucraina Pavel Postyshev, insieme a migliaia di funzionari russi che eliminano tutti i funzionari ucraini. Nel 1932-1933 le scorte di grano per la popolazione sono ridotte ma, grazie alle buone condizioni climatiche, la mietitura è sufficiente a evitare l’aggravarsi della carestia. Nonostante ciò le requisizioni sono ulteriormente incrementate e continuano anche le esportazioni, necessarie perché il governo sovietico ottenga valuta pregiata con cui rafforzare l'industrializzazione. La popolazione risponde con un'intensa resistenza civile. Le autorità sovietiche reprimono duramente ogni manifestazione di dissenso, deportando intere comunità. Un alto funzionario sovietico confida: «Il raccolto del 1933 fu una prova della nostra forza e della loro resistenza. C’è voluta una carestia per dimostrare loro chi è il padrone. È costata milioni di vite, ma il sistema delle fattorie collettive deve restare. Noi abbiamo vinto la guerra». Tra il 1926 e il 1939 la popolazione dell’Ucraina si riduce da 31 a 28 milioni. C’è discordanza nelle stime delle vittime. Secondo alcuni storici sono oltre 7 milioni di persone; per altri tra gli 1,5 milioni e 5 milioni; per altri ancora 2,5 milioni. Stanislav Kulchitsky, studioso ucraino tra i primi a sostenere la tesi del genocidio, indica una cifra tra 3 e 3,5 milioni. Dopo la disgregazione dell’Urss, il ministro degli Esteri ucraino dichiara alla 61ª assemblea delle Nazioni Unite del 2006 che le vittime erano state 7, 10 milioni tra il 1929 e il 1939 sommando 4,6 milioni di morti, un milione di persone costrette a emigrare, 1 milione di nascite mancate a causa della fame e della ridotta fertilità, un imprecisato numero di emigranti volontari. Resta il fatto che milioni di persone morirono di inedia e l’Urss tace per cinquant’anni: si comincia a parlarne grazie alla perestrojka di Michael Gorbaciov negli anni Ottanta. Ora gradatamente la comunità internazionale sta prendendo posizione e riconosce l’Holodomor come genocidio e come crimine contro l’umanità. Così si sono espressi l’assemblea del Baltico, l’assemblea generale delle Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa, l’Osce, il Parlamento europeo, l’Unesco. In questa luce si capiscono meglio le proteste di decine di migliaia di manifestanti pro-Europa e contro la Russia post-comunista che da settimane scuotono l’Ucraina (diventata uno Stato nazionale indipendente solo nel 1991) nove anni dopo la “rivoluzione arancione” che mandò al potere Giulia Timoshenko. Pier Giuseppe Accornero
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